GALLERIE
Dal
di sotto.
Gli
scrittori di avventure lo sanno bene: ambientare un racconto sottoterra
significa
conferirgli immediatamente un potere evocativo di gran lunga superiore
di
quello dei racconti "solari"."Visita l'interno della terra e,
guardandoti in
giro,
scoprirai la pietra dell'occulto", dicevano i seguaci dell'ALCHIMIA;
simbolicamente
"visitare l'interno della terra" significava "guardare dentro se
stessi",
ma la frase può essere interpretata anche in modo letterale. Proprio
sottoterra
si trovano le "pietre nascoste" che costituiscono i TESORI e i filoni
di
minerali; sottoterra si svolgevano i riti di iniziazione ai culti misterici;
sottoterra
riposano i morti; sottoterra si trova il collegamento tra le civiltà
che
ci hanno preceduto e la nostra. E' sottoterra che, attraverso labirintiche
gallerie
fitte di trabocchetti, i signorotti medioevali riuscivano a trasferirsi
in
luoghi sicuri nel momento del pericolo, e i moderni dittatori si rifugianio
in
attrezzatissimi bunker al riparo dai bombardamenti atomici; è sottoterra che
Cristiani
si nascondevano nelle CATACOMBE; è sottoterra che, secondo la
tradizione,
si trovano le immense gallerie che collegano Agharti con i centri di
culto
dell'"Antica religione" sparpagliati nel mondo; è sempre sottoterra,
infine,
che scorrono le misteriose correnti terrestri che, per alcuni,
costituiscono
le vene del nostro pianeta.
Da
Ansedonia a Damanhur.
Il
volume Città sotterranee di Fabrizio Ardito elenca ben "quindici itinerari
sotto
strade e piazze d'Italia". Sotto ogni città vive e pulsa, infatti,
un'altra
metropoli, fatta di cunicoli, di acquedotti, di cisterne, di cave
abbandonate
da secoli, di abitazioni dimenticate, di tunnel della Metropolitana,
e,
soprattutto, di misteri: i misteri di un altro mondo che spesso riflette
quello
della superficie (cunicoli, fognature, passaggi sovente portano cartelli
con
il nome delle vie sovrastanti), perennemente immerso nelle tenebre e
popolato
da una vasta umanità indaffarata. La disciplina della "speleologia
urbana"
si sta rapidamente diffondendo in numerose città e sono sempre in
maggior
numero gli ardimentosi che, al buio delle grotte, preferiscono quello
dei
sotterranei costruiti dall'uomo. Quali sono gli itinerari che Fabrizio
Ardito
consiglia agli aspiranti speleologi urbani? Li elenchiamo nello stesso
ordine
in cui sono descritti nel volume: i segreti del porto di Cosa, presso
Ansedonia;
le mura venete di Bergamo, le cisterne di Cagliari; alla ricerca del
Tesoro
di porsenna a Chiusi; le gallerie di Torlonia; l'acquedotto di Lanuvio;
le
cave, le cisterne e le sedi dei culti mitriaci di Napoli; l'acquedotto di
Narni;
nel cuore della rupe di Orvieto; i sotterranei di Roma; i "bottini"
(serbatoi)
di Siena, la città sotto cui, circondato da leggende, scorre il fiume
Diana;
le cisterne di Todi; i condotti presso il Trasimeno; gli acquedotti di
Trieste;
le vie d'acqua di Velletri. E - aggiungiamo noi - l'immensa e
percorribilissima
rete fognaria di Milano, o il sottosuolo di TORINO,
particolarmente
denso di misteri di carattere magico, o ancora l'incredibile
città
sotterranea della comunità Damanhur "presentata al mondo" il 14
Ottobre
1992
da un servizio di "Canale 5".
La
struttura di quest'opera nel sottosuolo di Valchiusella, nel Canavese, è
imponente:
tremila metri cubi di spazi utili, con uno sviluppo di trenta metri
nel
sottosuolo (l'equivalente dell'altezza di una casa di undici piani), una
disposizione
in cinque livelli collegati tra loro da centocinquanta metri di
gallerie;
quattro grandi ambienti a rappresentare simbolicamente i principi
contrapposti
maschile e femminile, l'acqua, la terra, il cielo; una cupola in
vetro
dal diametro di otto metri e mezzo e dalla superficie di cento metri
quadrati.
In ogni ambiente si trovano mosaici, vetrate, affreschi, per un totale
di
ottocentosettanta metri quadrati di superfici decorate; colori, materiali e
orientamento
del "Tempio di Damanhur" sono stati scelti per attingere il maggior
beneficio
possibile dalle correnti terrestri su cui esso sorge. Ma il fatto più
sorprendente
è che il fantastico complesso non è stato edificato da qualche
civiltà
del passato, bensì ai giorni nostri (vi si trova, tra l'altro, un
potente
sistema di areazione, in grado di cambiare completamente l'aria cinque
volte
ogni ora); per quindici anni tutti gli appartenenti della comunità
("Fratelli
che vivono insieme aiutandosi costantemente con la fiducia, il
rispetto,
la chiarezza, l'accettazione e la solidarietà reciproci") sono stati
coinvolti
in un lavoro paziente e segreto, in quanto, incredibile ma vero,
nessuno
degli abitanti della zona si è mai accorto di ciò che stava accadendo
A
differenza di ciò che si trova in superficie, soggetto a distruzioni e
rimaneggiamenti,
molte opere ipogee sono sostanzialmente integre; e, nel nostro
paese,
le loro tipologie e le tecniche costruttive con le quali sono state
realizzate
sono tra le più varie d'Europa. Basta pensare a quante culture si
sono
avvicendate sul nostro territorio: nuragica, etrusca, fenicia, greca,
celtica,
romana, senza dimenticare l'influsso culturale e architettonico
esercitato
dal vasto mondo dell'Islam.
Di
rame e d'argento
A
Rocca San Silvestro, in provincia di Livorno, si è svolto in questi ultimi
anni
uno dei più estesi scavi archeologici del Mediterraneo per studiare
l'insediamento
medievale specializzato nell'intero ciclo dell'estrazione e della
lavorazione
dei metalli. Lungo le pendici boscose del colle su cui sorgono i
ruderi
del borgo fortificato si aprono pozzi e gallerie scavati per inseguire le
vene
di galena argentifera. Rocca San Silvestro dista circa trenta chilometri da
un
grande centro per la produzione del rame e dell'argento: il bacino fra
Montieri
e Massa Marittima, il cui Statuto minerario è uno dei più antichi
I
maestri dell'acqua.
La
Roma imperiale era servita da circa quattrocentotrenta chilometri di
acquedotto,
tre quarti dei quali scavati sotto terra. Il primo grande acquedotto
introdotto
in città è l'Acqua Appia (312 a.C), il cui percorso é quasi
interamente
in 'speco sotterraneo'. L'acqua fluiva all'interno di una galleria
con
una pendenza non superiore all'uno per cento; l'accorgimento consentiva al
liquido
di scorrere senza erodere il fondo del condotto, fattore che alla lunga
avrebbe
causato il cedimento delle pareti.
Dove
scorre la Diana
Sopra,
piazza del Palio e gli spendidi palazzi medioevali; sotto, un'altra
città,
immensa e sconosciuta, dove, secondo la tradizione, scorre nascosto anche
il
magico fiume Diana. Per visitare il sottosuolo di Siena occorre farsi
accompagnare
da una guida specializzata, detta popolarmente "bottinino". Si
scende
da una botola presso una fonte, e poi, per quattro chilometri, ci si
addentra
tra le spettacolari e mostruose escrescenze calcaree dell'acquedotto, o
meglio,
dei "bottini" (non da botte intesa come recipiente per l'acqua",
bensì
da
"volta a botte"). L'acquedotto costituiva, nel Medioevo, anche una
provvidenziale
via di fuga, e, durante l'ultima guerra, costituirono un rifugio
Acquedotti
ipogei si trovano dovunque: utilizzato fino al 1945, quello romano
della
Formina prelevava l'acqua da una sorgente di Narni, che raggiungeva la
capitalo
dopo un tortuoso percorso di oltre tredici chilometri. La Formina è
ancora
in buona parte visitabile, con gallerie adorne di stalaniti e
panneggiamenti
calcarei dai colori variegati; purtroppo alcune costruzioni ne
hanno
distrutto alcuni tratti, privati hanno aperto brecce per irrigare gli orti
e
cacciatori hanno interrotto i cunicoli per ricavarvi trappole per gli istrici.
Trieste,
l'antica Tergeste romana, possedeva ben tre acquedotti, dei quali
rimangono
pochi tronconi; sul tracciato di uno di essi é stato tracciato
l'acquedotto
settecentesco denominato Teresiano. Per quasi due millenni l'acqua
dell'Acquedotto
del Setta ha rifornito, senza quasi bisogno di manutenzione, la
città
di Bologna. Restaurato nel secolo scorso e adeguato alle esigenze del
capoluogo
emiliano, è tutt'ora in funzione, tanto che gli è stata dedicata una
mostra:
"Acquedotto 2000. Bologna, l'acqua del duemila ha duemila anni".
Completamente
sotterraneo, preleva l'acqua a più di venti chilometri dall'antica
La
tecnica dei "Muqanni"
Un
tempo lo scavo di un pozzo comportava il problema di portare in superficie
l'acqua
potabile; fino a quando la tecnolgia non ha permesso di utilizzare pompe
a
motore, esso risolto con l'uso di carrucole e secchi oppure con lo scavo di un
"qanat",
ovvero di una galleria che conduce l'acqua di falda del pozzo fino al
luogo
di affioramento e fruizione. Questa tecnica era utilizzata in tutte la
Regioni
orientali: battezzati con nomi diversi ("Keriz" in Irak e Turchia,
"Feledi"
in Arabia Saudita, "Kanayet" in Siria e Giordania; "Foggara"
in Tunisia
e
Algeria, "Rettara" in Marocco), "qanat" sono stati rinvenuti
dal Pakistan fino
alla
Sicilia. Nell'isola i "Qanat" si chiamano "Ngruttatu"; vi
furono introdotti
dai
"Muqann" ("Maestri d'acqua") tunisini durante la dominazione
islamica.
Attualmente
a Palermo rimangono decine di chilometri di queste gallerie che, in
alcuni
casi, benché assolutamente prive di manutenzione, proseguono silenziose
Pur
arricciando il naso, non si può ignorare l'importanza delle opere fognarie,
di
solito accuratamente evitate dagli speleologi. La condotta fognaria più nota
è
la "Cloaca Maxima" di Roma. Costruita circa duemilacinquecento anni or
sono, è
ancora
attiva e la volta originaria, in conci squadrati di grandi dimensioni,
non
mostra segni di cedimento. Vanto dell'ingegneria e della tecnologia degli
antichi
romani, le cloache della capitale sono state esplorate e studiate a
partire
dal secolo scorso al fine di raccogliere elementi per la ricostruzione
del
tessuto urbano dell'urbe in età imperiale.
Anche
a Pavia parte della rete fognaria è stata costruita ai tempi dell'antica
Roma
e, a quanto sembra, funziona tutt'oggi.
Ingegneria
etrusca.
I
territori che un tempo videro lo sviluppo della civiltà etrusca (e,
successivamente,
latina) sono percorsi da una fitta ragnatela di "gallerie di
drenaggio",
ovvero di condotti atti a raccogliere le acque superflue,
convogliarle
sotto terra attraverso pozzi e trasferirle in zone prive di acqua.
Chi
ha realizzato una simile opera possedeva rilevati conoscenze tecniche,
grande
spirito d'osservazione e ancor più grande pazienza e dedizione. Molti
cunicoli
continuano ad assolvere il compito per cui furono costruiti a distanza
di
due o più millenni, mentre le opere idriche moderne hanno una vita di qualche
Troppopieno,
troppovuoto.
Non
tutti i laghi possiedono emissari naturali e quelli d'origine vulcanica ne
sono
privi. Fin dall'antichità l'uomo è intervenuto scavando gallerie che
potessero
regolare il livello di questi laghi - un po' come gli scarichi detti
"troppopieno"
delle vasche da bagno - utilizzando poi le acque per le
irrigazioni.
I laghi di Nemi, Ariccia, Albano, sono provvisti di "esautori
artificiali
sotterranei"; la grande piana del Fucino, in Abruzzo, era un tempo
un
lago, di cui i Romani avevano regolato il livello perché, dopo piogge
prolungate,
le acque salivano repentinamente allagando villaggi e coltivazioni.
Nel
secolo scorso, per ricavare terre coltivabili, venne scavata una grande
galleria
che parzialmente ripercorreva quella precedente; ma l'operazione,
eseguita
senza la perizia dei costruttori romani, ha purtroppo sconvolto
l'ecosistema,
e oggi nel Fucino vi è penuria d'acqua.
In
fondo al pozzo.
Li
ritroviamo in ogni angolo d'Italia, nelle piazze, nelle antiche corti, in
aperta
campagna, chiusi da tombini in pietra o in ghisa, o sormontati da
semplici
"puteali" in mattoni, in conci o anche in pietra pregiara spesso
scolpita.
A parte quelli magici, i pozzi di un tempo sono opere particolarmente
interessanti
dal punto di vista architettonico e urbanistico: attorno a essi,
infatti,
gravitava la vita del popolo.
Nella
zona di Nardò, in Puglia, i pozzi vengono chiamati 'trozze' e possono
raggiungere
una profondità di sessanta metri. Fino al secolo scorso venivano
scavati
a mano dai 'trozzari', i quali, oltre ai vari strumenti, utilizzavano lo
"sciamarro",
una sorta di pesante piccone quasi privo di curvatura. In Brianza
(Lombardia)
all'interno delle cantine di case coloniche e ville padronali, si
può
rinvenire il pozzo, generalmente rivestito in mattoni, da cui si attingeva
l'acqua
anche dai piani superiori.
Calandosi
in quello che appare un semplice pozzo, può capitare di ritrovarsi
all'interno
d'una camera, più o meno vasta: la cisterna. Questa serviva a
raccogliere
e conservare 1'acqua piovana, che, opportunamente filtrata e
decantata,
diveniva potabile. Pozzi e cisterne rivelano sovente straordinarie
sorprese;
a Bergamo, sotto un tombino, gli speleologi del Gruppo "Le Nottole"
hanno
ritrovato la duecentesca Fontana del Lantro, una cisterna di tredici metri
per
dieci alta otto metri, con splendide volte a crociera, in mattoni a vista,
sorrette
da un'unica colonna centrale. Un tempo era alimentata dall'acqua di due
sorgenti,
raccolta tramite opere cunicolari.
Il
pozzo delle lame.
Ogni
castello possiede almeno un pozzo, spesso dotato di cisterna, sul quale
fioriscono
leggende. Quella più ricorrente narra del "pozzo delle lame", una
cavità
al cui fondo o alle cui pareti erano infisse spade acuminate e taglienti,
nella
quale venivano gettate a tradimento le persone considerate scomode. In
realtà,
nella maggior parte dei casi, le pareti delle opere esplorate dagli
speleologi
non recano neanche i fori per l'alloggiamento dei codoli delle lame;
solo
nel castello di Gradara (Emilia Romagna) un cunicolo fortemente inclinato
mette
in comunicazione la Sala del Tribunale con la Stanza della tortura:
all'interno
sono tutt'oggi visibili le lame.
Cento
Camerelle
Scavata
nel tufo all'inizio dell'Età Imperiale, la cosiddena Piscina Mirabile di
Bacoli
(Napoli) è uno dei più grandi serbatoi per la raccolta e la distribuzione
dell'acqua
dell'antichità. Nella vicina villa di Quinto Ortensio, di proprietà
dell'imperatore
Nerone, si trova l'impianto di serbatoi per l'acqua chiamato
Cento
Camerelle. La parte inferiore, d'epoca repubblicana, è costituita da varie
gallerie
parallele, mentre quella superiore è un'unica camera suddivisa da
Culti
dei vivi...
La
grotta ha sempre esercitato fascino, mistero e una sorta di sicurezza negli
esseri
umani e fin dai primordi è stata usata come abitazione (solitamente
temporanea),
luogo di culto e di difesa.
Nel
Centro e nel Sud Italia numerose grotte sono state trasformate in chiese
dedicate
a San Michele Arcangelo (o, più semplicemente, Sant'Angelo). A
Sant'Angelo
in Grotta (Isernia) si trova anche un pozzo per la raccolta
dell'acqua
di stillicidio; Sant'Angelo delle Ripe, detto anche "Romitorio di S.
Michele",
è la più vasta delle grotte abruzzesi dedicata al culto, e vi sono
venuti
alla luce numerosi reperti preistorici. La Puglia è ricca di chiese
scolpite
nella roccia, databili tra il VIII e il XV secolo, nei cui interni si
possono
ancora ammirare notevoli affreschi. Sempre in questa Regione, più d'una
ventina
sono le chiese ipogee nella zona compresa tra S. Basilio, Palagianello e
Mottola;
nella vicina Gravina di Petruscio vi sono chiese del XIII secolo
inserite
nel villaggio rupestre risalente al IX secolo. Degni di nota sono anche
i
luoghi di culto sotterranei dedicati al dio iranico Mitra, la cui religione
trovò
larga diffusione nell'Impero Romano, e raggiunse l'apice nei primi secoli
dell'era
cristiana (III e IV secolo). I mitrèi più noti si trovano a Roma e a
Napoli;
un mitreo è stato ritrovato anche in una grotta di Angera, sul Lago
Il
mitreo di San Clemente.
Il
culto zoroastriano di Mitra - dio della luce identificato anche con Helios -
ebbe
notevole diffusione presso i militari, e durante la Roma imperiale giunse a
rivaleggiare
con il Cristianesimo (finché l'imperatore Teodosio il Grande, nel
381
d.C. ne stroncò con la forza il diffondersi).
Sotto
la chiesa di San Clemente (II secolo d.C.), a Monte Sacro Basso (Roma) si
trovano
almeno quattro "livelli" di sotterranei dedicati al culto mitraico,
costruiti
circa diciassette secoli fa e sfuggiti alle deturpazioni proprio
perché
ben nascosti. La volta assomiglia a quella di una grotta; ai lati si
trovano
sono i sedili per gli Adepti. Nel mezzo è l'ara (l'altare) con la
rappresentazione
del sacrificio: il dio Mithra uccide il toro, e un cane morde
l'animale
sacrificato, mentre un serpente ne lecca il sangue e uno scorpione gli
afferra
i testicoli. A titolo di cronaca, il gesto scaramantico delle corna si
riferisce
proprio al toro di Mithra.
Il
culto di Mithra presenta molti punti di somiglianza con il Cristianesimo: il
dio
nasce da una vergine, il 25 Dicembre, in una grotta; la sua vita terrena
dura
trentatre anni; i suoi seguaci celebrano in suo ricordo un pasto seduti
alla
stessa mensa. Ma il fatto che una chiesa sorga proprio sopra i sotterranei
di
Mithra, testimonia la definiva supremazia del Cristianesimo sull'antico culto
Castelli
e Mysteri.
Nella
fantasia popolare ogni castello nasconde camere sotterranee con forzieri
trabocchetti e gallerie che conducono ad altre fortificazioni o in
Nella
realtà è più facile trovare magazzini sotterranei, prigioni, pozzi,
cisterne
e più raramente qualche "galleria di fuga" che conduce all'esterno
Nei sotterranei del Castello Sforzesco di Milano gli speleologi
hanno rinvenuto alcune gallerie che servivano a
Tutte le cannoniere interne alle mura venete di
dagli speleologi del Gruppo "Le
vi sono penetrati dalle feritoie per le
in quanto gli accessi originari sono ormai stati sbarrati dalle
430
a.C.: Assedio a Firenze.
Il
dittatore romano Senilio, battuti gli Etruschi nel corso d'una battaglia
campale,
pose l'assedio alla città di Fidene, I'attuale Firenze. Ma i legionari,
nonostante
i ripetuti attacchi, non riuscivano a espugnare la città, munitissima
e
posta alla sommità d'un colle impervio. Senilio fece allora scavare una
galleria
che, passando sotto le mura, sbucasse direnamente nell'acropoli; con
una
serie di accorgimenti riuscì a non rendere visibili i lavori, tenendo
contemporaneamente
sotto pressione le milizie etrusche. Quando l'opera fu
completata,
I'ultimo diaframma di roccia venne rapidamente abbattuto lasciando
irrompere
le truppe d'assalto, che occuparono l'acropoli determinando la resa
della
città. La galleria potrebbe esistere ancora, anche se nessuno è mai
Sotto
le mura fortificate di Treviso, edificate attorno alla metà del Duecento,
ricostruite
e riattate più volte e note con ben tre denominazioni ("Castello di
Treviso",
"di San Martino", "di San Marco"), si snoda una delle più
vaste reti
di
sotterranei della penisola. Le gallerie sono di tre tipi: tra le abitazioni
delle
famiglie potenti (per la fuga in stato d'assedio, per incontri strategici
segreti,
per raggiungere i canali); tra i conventi (entro le mura della città ce
n'erano
una ventina), per usi civici (tra il Palazzo Comunale, i palazzi del
Maggiore
e Minor Consiglio, eccetera). Attraverso un passaggio che si apre
nell'area
di un'azienda locale, la "Camuzzi Gas", un gruppo di speleologi urbani
ha
recentemente raggiunto ed esplorato il labirintico sottosuolo della città;
Giorgio
Garatti ne ha tratto un volume fotografico intitolato "La misteriosa
vita
ipogea di Treviso Medioevale e del 1500 tra cunicoli e gallerie
sotterranee".
Un altro castello e un'altra città del triveneto sono al centro di
una
serie di verità, mezze verità e leggende a proposito di passaggi ipogei: dal
castello
cinquecentesco di San Giusto, a Trieste, si dipanerebbe una vera e
propria
ragnatela di gallerie che si estenderebbero sotto tutta la città fino a
raggiungere
il mare. Il numero di cunicoli accertati è notevole: il castello era
collegato
con Tor Cucherna, Santa Maria Maggiore, la Rotonda Panciera; tramite
un
altro passaggio con la Basilica di San Michele e l'Orto Lapidario. Un'altro
passaggio
collega il Teatro Romano con il Pozzo Romano di Porta Valle e un altro
pozzo
in via Galleria. Non è mai stato trovato il passaggio che condurrebbe al
mare
passando, probabilmente, dall'Arcivescovado e Villa Sartorio, così come non
è
mai stata trovata la sinistra "Camera Rossa".
Con
l'impiego massiccio delle artiglierie e della polvere da sparo, le
fortificazioni
medievali caddero in disuso o dovettero essere trasformate:
I'alto
muro "di cortina" divenne "bastione", ovvero più basso e più
spesso,
normalmente
di pianta stellare. Uno dei metodi più usati per espugnare queste
mastodontiche
opere difensive fu quello di scavare sotto il bastione avversario
una
galleria, creare una camera (il "fornello" da mina) e stiparla
d'esplosivo.
Dal
1600 in avanti le fortezze vennero munite di gallerie di mina e contromina,
che
spingevano in ogni direzione fuori dal perimetro dell'opera. Le gallerie
"di
contromina"
servivano a intercettare le gallerie di mina avversarie e a farle
brillare
prima che giungessero sotto i bastioni; quelle "di mina" potevano
essere
prolungate fin sotto le aniglierie avversarie per metterle a tacere.
Durante
l'assedio di Torino del 1706 gli assediati posero una mina sotto un
grande
cannone, che venne ingoiato dal cratere e fu poi trasportato all'interno
della
città come trofeo di guerra; sotto il capoluogo piemontese sono tuttora
percorribili
interi chilometri di queste gallerie.
Insomma,
ce n'è per tutti i gusti; e a chi non bastasse il sottosulo nazionale e
decidesse
di spostarsi in Europa consigliamo di visitare Parigi, nei cui
sotterranei
Victor Hugo fece vivere la famosa "corte dei miracoli" e Gaston
Leroux
ambientò molte sequenze de Il fantasma dell'Opera, o a Londra, con le sue
labirintiche
gallerie della metropolitana, o addirittura Mosca. Qui la
metropolitana,
tra le stazioni di Belyaevo e Medvedkovo, copre il tratto-record
di
38 chilometri; sempre nella capitale sovietica - si è letto in molti articoli
usciti
alla fine del 1991 - sarebbe stato scoperto un bunker sotterraneo fatto
costruire
ai tempi di Stalin, con scorte di cibo, acqua e ossigeno sufficienti a
ospitare
120.000 persone per trent'anni.
Pozzo
senza fondo.
Urla
raccapriccianti, tonfi, gemiti, sibili, accompagnati spesso da una lieve
luce
azzurrognola. Non si tratta di un film della serie Nightmare, ma del
consueto
spettacolo di "Son et Lumières" che offre un vasto complesso di
grotte
in
Azerbaigyan. Alla ricerca dell'origine di quelle manifestazioni - attribuite
alla
presenza di gas sotterranei - gli speleologi sovietici si sono calati a più
riprese
in quegli abissi, senza tuttavia riuscire a individuarne il fondo. In
compenso,
lungo tutte le pareti di una delle voragini, hanno trovato le aperture
di
numerosissime gallerie minori che si perdono nelle viscere della Terra. La
presenza
di graffiti e resti umani ha indotto dapprima a pensare a una loro
origine
preistorica; in realtà le ossa si rivelarono assai posteriori ai
disegni.
Ulteriori esplorazioni portarono alla scoperta di una fitta rete di
collegamento
sotterranea, con "piazze", pozzi, nicchie e canali; secondo gli
archeologi
il sistema di gallerie poteva essere ricollegato a un gigantesco
"network'
di arterie che si spinge in direzione dell'Iran, e che teoricamente
avrebbe
potuto collegarsi ad altri cunicoli scoperti vicino al fiume Amu Darja
(Turkmenistain
e confini russo-afgani) per spingersi fino alle gallerie
sotterranee
del deserto del Gobi.
Le
caverne del Gobi.
C'è
chi afferma che, nei tempi remoti in cui il deserto del Gobi era un mare,
esistesse
al suo centro un'isola abitata da "Uomini discesi dalla Stella Bianca"
(Venere?)
che avevano diffuso la loro cultura tra le popolazioni locali. Da
questo
fortilizio insulare essi avrebbero dato inizio a una colonizzazione del
pianeta,
collegandosi alla terraferma per mezzo di gallerie sottomarine. Quanto
c'è
di vero in queste tradizioni? Nel 1778 furono portate in Francia dall'India
le
copie di alcune carte geografiche che utilizzavano come "punto di
vista" il
centro
del deserto del Gobi (le carte geografiche attuali sono riprese da un
"punto
di vista" europeo): il passaggio da questo fatto all'ipotesi che il Gobi
sia
stato anticamente la base di una cittadella di scienziati (o
"iniziati", o
extraterrestri,
a seconda dei personali punti di vista) è fin troppo facile. Nel
Gobi
sono state effettivamente trovate le imboccature di diverse gallerie
franate
dopo poche decine di metri; in queste caverne (e anche in certe gallerie
del
lontano Uzbekistan) sarebbero stati rinvenuti alcuni misteriosi aggeggi di
ceramica
e vetro a forma di emisfero sormontato da un cono. Contenevano una
goccia
di mercurio, il carburante tradizionale dei VIMANA, velocissimi e
avveniristici
veicoli volanti descritti dal Ramayana che percorrevano i cieli
dell'India
e le immense volte di pietra del regno di Agharti.
Il
network sotterraneo.
Le
tradizioni che parlano dell'esistenza di una rete di camminamenti sotterranei
in
Asia sono numerosissime; molti di essi sarebbero stati scoperti (o
riscoperti)
fortuitamente dalle popolazioni che cercavano di sfuggire alla furia
di
Gengis Kahn. Le gallerie asiatiche convoglierebbero verso un punto centrale,
Shamballah,
la mitica capitale di Agharti, i cui edifici di smeraldo emettono
intense
fosforescenze verdi analoghe a quelle percepite in Azerbaigyan. Da
un'altra
zona "magica" dell'Asia, il Tibet, si dipartirebbe un altro (o forse
lo
stesso?)
network di tunnel, che collegherebbe il Palazzo del DALAI LAMA di Lhasa
con
"tutti i luoghi della Terra"; si tratta di gallerie dai poteri
particolari,
in
quanto, percorrendole, in "pochi minuti" il Sacerdote-Sovrano sarebbe
stato
in
grado di raggiungere ogni angolo del pianeta. Un terzo network avrebbe il suo
centro
nell'Isola di Pasqua, ove, in effetti, si aprono le imboccature di
numerosi
tunnel che si interrompono però bruscamente dopo pochi metri; in un
tempo
remoto essi"superavano l'oceano" e raggiungevano l'Asia e le Americhe.
Forse
erano collegati con certe misteriose gallerie del Perù e di altri paesi
del
Sudamerica a proposito delle quali riferisce Erich Von Daeniken, il
principale
fautore dell'ipotesi extraterrestre. Purtroppo la principale
caratteristica
delle gallerie del Perù è la medesima di quelle del Tibet e
dell'Azerbaigyan:
nessuno è mai riuscito a vederle.