La leggenda di Rozafat

C'erano un tempo tre fratelli che volevano innalzare la fortezza contro i predoni turchi. Lavoravano di giorno e alzavano muri. Ma la notte il vento o le streghe della montagna, le colleriche "zana", distruggevano tutto. ( I contadini serbi, albanesi o bulgari non attribuiscono a questo disastro che un'unica causa: sanno che un edificio crolla se non si è preso cura di chiudere nelle fondamenta un uomo o una donna il cui scheletro sostenga fino al giorno del Giudizio Universale quella pesante carne di pietra.) Così i tre fratelli si riuniscono intorno al fuoco e decidono di sacrificare alla fortezza una delle loro mogli, la prima che il giorno seguente sarebbe arrivata per caso a portare loro il cesto delle vivande. Il patto è l'assoluto silenzio, ma il primo e il secondo fratello tornano a casa e avvertono le proprie donne. Solo il minore è leale ed è dunque sua moglie a presentarsi il mattino seguente col cibo. La giovane ha un bimbo lattante e accondiscende a farsi murare nelle fondamenta, ma a un'unica condizione: che il suo seno venga lasciato fuori dal muro per poter nutrire il suo bimbo. In un'altra versione, la giovane chiede che restino liberi anche un occhio per poterlo guardare e un braccio e una gamba per cullarlo. Così è, e il muro non impedisce alla prigioniera di produrre il latte per la sua creatura. Tuttora un liquido lattiginoso bagna le pietre interne della fortezza scutarina di Rozafat nel punto in cui la giovane prigioniera morì. Ed è quel punto che le donne senza figli per secoli hanno sfiorato con le dita chiedendogli il dono della maternità.