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Nei panni di mia moglie

"Nei panni di mia moglie" pubblicato da Editrice Nuovi Autori

Imago mortis - un'esca per la regina nera

"IMMAGO MORTIS- un'esca per la regina nera" pubblicato da Il Filo


L'inganno

di Andrea Saviano
SOMMARIO
01 - Sul grande cannone
02 - UNo strano incontro
03 - Rahim Khan
04 - Peshawar, il passo Khyber e Jalalabad
05 - Kabul e Bamiyàn
Tutto ciò che permette d'espandere il nostro orizzonte
è per ognuno di noi solo una fonte di conoscenza.
Il diverso non va quindi studiato e compreso
mai temuto, perché esso continua a esistere
per quanto lo si rifiuti o non lo si accetti.

I Sul grande cannonne

Era seduto a cavalcioni sul grande cannone Zam-Badamh, in barba alle ordinanze municipali di Lahore, come i nativi chiamavano quel vecchio pezzo d'artiglieria.

Chi possedeva il Zam-Badamh, che nella lingua locale significava “drago dal soffio di fuoco”, dominava sul Punjab. Quel grande pezzo d'artiglieria, seppur non avesse mai sparato un colpo, era sempre stato il primo bottino di guerra di tutti coloro che avevano invaso e conquistato la regione.

Del resto Alì (versione indostana del diminutivo dell'anglosassone Alexander) aveva tutti i diritti di sedere sopra quel cannone: la Gran Bretagna avevano dominato il Punjab, il Pakistan aveva fatto parte dell'impero britannico e lui era inglese.

Sebbene fosse cotto dal sole a tal punto da sembrare un indigeno e parlasse di preferenza l'indi, anche perché la madrelingua fuoriusciva dalle sue labbra come un'incerta cantilena smozzicata, gli occhi azzurri più che i capelli biondo-rossicci tradivano il fatto che fosse senza ombra di dubbio un bianco europeo.

Proprio per fare comunella (in termini di perfetta parità) con i ragazzini del bazar teneva sempre i capelli, peraltro sempre cortissimi, celati sotto un turbante.

Nell'India che era stata dominata dai sahib bianchi (sia che fosse restata India o che fosse divenuta Pakistan oppure Bangladesh), nessuno si sorprendeva che alcuni avessero gli occhi chiari, cosicché il ragazzino sembrava semplicemente un povero fra i poveri.

Alì era stato cresciuto da Hema (versione indostana dell'anglosassone Emma), una meticcia la cui madre di etnia indiana s'era spostata da Lahore a Dheli dopo la guerra Indo-Pakistana del '47.

La donna, anche se in realtà facoltosa, teneva il ragazzo in uno stato d'estrema povertà, questo per rendere credibile il suo negozio di mobili usati situato in uno dei quartieri più malfamati di Lahore.

In realtà costei era dedita al traffico illecito dell'oppio proveniente dal vicino Afghanistan; un mercato fiorente che forniva al corrotto occidente la materia prima per l'eroina.

Ai missionari che s'incuriosivano per i lineamenti e gli occhi chiari del ragazzo, lei mostrava i propri occhi azzurri, dichiarando d'essere la sorella della madre di Alì, cioè la zia. In realtà la donna e il ragazzo non erano consanguinei. La meticcia era stata la bambinaia dell'ambasciatore irlandese John O'Brian.

Quella dell'ambasciatore irlandese in India era stata una tragica evento che aveva riempito d'inchiostro le pagine di tutti i quotidiani del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda commuovendo persino la regina in persona.

La vicenda, così come avevano riportato i cronisti, s'era svolta così: la moglie dell'ambasciatore era morta di parto dando alla luce il secondogenito e questi, a poche ore dalla nascita, era morto a sua volta. L'uomo a quel punto, sopraffatto dal dolore, s'era sparato un colpo alla tempia. I fatti, sin qui sufficientemente luttuosi, erano volti alla tragedia omerica quando l'ambasciatore, stramazzando a terra, aveva urtato una lampada a olio la quale, cadendo, aveva appiccato un incendio che aveva distrutto l'intero edificio causando parecchie vittime tra il personale addormentato, vista la tarda ora in cui gli avvenimenti s'erano svolti.

Tra i dispersi di quella funesta notte era stato inserito anche il nome del piccolo Alexander O'Brian, il bimbo che la moglie dell'ambasciatore aveva partorito nemmeno un anno prima.

Hema, che proprio quel giorno aveva perduto tra le fiamme il figlio di soli quattordici mesi, non aveva saputo resistere alla tentazione di tenere l'orfano per sé. Così, di fronte alle domande poste dalle autorità, aveva dichiarato il falso, lasciando che i resti carbonizzati del suo piccolo venissero confusi con quelli del bimbo dell'ambasciatore.

Per rendere la sua deposizione più vera aveva tinto la pelle del piccolo Alexander affinché sembrasse un indù, avvolgendolo poi tra dei miseri stracci. Così camuffato nessuno avrebbe sospettato che quella creatura fosse in realtà il figlio disperso degli O'Brian.

Tuttavia, per assicurare un futuro alla creatura la meticcia, sfidando le fiamme, aveva sottratto dalla casa dell'ambasciatore tre attestati. Del primo la donna, analfabeta, non sapeva bene il significato ma era su una pergamena e questo lo rendeva di sicuro qualcosa d'importante, il secondo sapeva per certo essere il documento di congedo dall'esercito britannico dell'ambasciatore e il terza le era stato detto fosse il certificato di nascita di Alexander.

Quelle tre carte, era solita dire, avrebbero fatto del piccolo Alì un uomo rispettabile.

« Alì, in nessun caso te ne dovrai mai separare. Il tuo destino, » diceva la donna, « si avvererà. »

Per questo la donna un giorno aveva deciso di cucire un astuccio di cuoio per amuleti e di appenderlo al collo del ragazzo « Un giorno o l'altro verrà a cercarti un grande caprone nero su un campo verde. Quel giorno tu salverai centomila diavoli rossi e questi ti acclameranno come il loro nuovo re. »

Quel giorno, a detta di Hana, il nome di Alì sarebbe stato acclamato in tutto il Punjab come lo erano stati i grandi re del passato.

La meticcia esponeva questa sua profezia in una sorta di visione mistica che accennava a una grande battaglia in cui un generale alla testa del più bel esercito del mondo avrebbe seguito le istruzioni date da Alì. « Centomila diavoli rossi sotto la bandiera di un grande caprone nero in campo verde ti acclameranno come il loro salvatore! »

Per il ragazzo tutta questa storia era solo l'evidente prova che la donna faceva uso dell'oppio che vendeva. Alì, nonostante la giovane età, era infatti già sufficientemente edotto sui vizi che accompagnano l'età adulta. Con il passare degli anni le domande di Alì su chi fosse suo padre s'erano fatte sempre più insistenti,anche perché Hena aveva più volte cambiato la versione dei fatti. Cosicché, per porre un freno all'ansia del ragazzo la donna aveva promesso di dirgli come rintracciare le proprie origini.

Seppur analfabeta Hena rammentava che il simbolo sulla pergamena era simile a quello inciso sul portone dell'Orfanotrofio Massonico sulle montagne. Tuttavia la donna diffidava dei massoni, così aveva messo in guardia Alì sul fatto di mostrare il contenuto dell'astuccio ai seguaci di quella loggia.

Fatto sta che la donna morì improvvisamente senza aver rivelato nulla al ragazzo circa la sua venuta al mondo.


II Uno strano incontro

Non avendo alcuna idea su come utilizzare il contenuto dell'astuccio, Alì pensò che fosse indispensabile evitare di mostrarlo ai missionari e, in genere, agli uomini bianchi dall'aspetto compito, ovvero tutti coloro che, dopo aver osservato attentamente i suoi occhi azzurri, gli chiedevano chi fosse e cosa facesse in quel quartiere malfamato di Lahore. Di sicuro costoro lo avrebbero rinchiuso in un collegio costringendo a studiare.

A sua avviso non c'era nulla di utile che la scuola gli poteva insegnare, dopotutto lui era un vero maestro nell'arte del dolce far niente e nel trovare qualche espediente per mangiare almeno un paio di volte al giorno.

Forse sarebbe stato meglio mostrare quei documenti a qualcuno degli uomini d'affari di Lahore con i quali era in rapporti di grande intimità. Personaggi che lì a Lahore conducevano vite più bizzarre di quella narrate dalle Mille e una notte. Molto agile e poco appariscente Alì era particolarmente abile nell'eseguire commissioni notturne per conto di questi tizi cosicché, per tutti costoro, il suo nome era “mio giovane amico”.

Solitamente gli incarichi che gli venivano affidati riguardavano intrighi amorosi ma, a prescindere dall'incarico e dal relativo compenso, quello che interessava al ragazzo era il gioco in sé.

Per nulla la mondo lui avrebbe rinunciato a quella vita avventurosa fatta di rapide corse furtive nell'oscurità dei vicoli, di arrampicate su per i tubi di scolo dell'acqua, di balzi a capofitto da una casa all'altra attraverso i tetti o le terrazze.

Infine, nonostante fosse ancora giovane per comprendere cosa fosse una donna, era già attratto da quell'alone di seduzione fatto di colori e di profumi che circonda il mondo femminile.

Oltre che dagli uomini facoltosi, Alì era attratto dai santoniche vivevano in assoluta miseria sulla riva del fiume. Con loro il ragazzo viveva in termini di grande familiarità, li salutava quando tornavano dal giro di questua e mangiava insieme a loro prendendo il cibo dal loro stesso piatto.

Nonostante la donna che l'aveva accudito come una madre avesse sempre insistito con le lacrime agli occhi affinché portasse vestiti occidentali: pantaloni, camicia e cappello; Alì trovava più semplice e comodo infilarsi abiti indù o maomettani a seconda degli “affari” che doveva sbrigare.

Alla morte di Hanna, il ragazzo s'era trasferito in un nascondiglio segreto, una capanna di legno realizzata con i tronchi fragranti delle deodare dove lui si recava essenzialmente per dormire sotto un tetto.

Certe volte tornava alla capanna solo all'alba, sfinito per le varie commissioni a cui aveva adempiuto e, poiché a casa spesso non c'era del cibo allora usciva di nuovo per andare a elemosinare qualcosa insieme ai santoni del fiume.

Fu proprio in una di queste sue discese al fiume che Alì incontrò un tizio dallo strano abbigliamento. Non aveva l'aspetto di un indù, tantomeno quello di un mussulmano o di un europeo.

Gli occhi erano a mandorla e la faccia era tonda e color ocra.

L'uomo vestiva unicamente di una tunica arancione e aveva i capelli rapati a zero.

Alì aveva sentito parlare di persone come quel tizio, si trattava di individui pii che solitamente provenivano dall'Indocina e passavano a Lahore per recarsi in alcuni monasteri a nord nelle valli del Kashmir o in visita dei luoghi sacri dell'Afganistan.

L'uomo sembrava disorientato come se non vedesse bene. Era vecchio e la sua palandrana di lana aveva ancora l'odore pungente dell'artemisia che cresce sui passi di montagna.

« Bambino, cos'è questo grande casa? », chiese in ottimo urdu.

« É casa mia! »

« Ah! E visto che piove, si può entrare? »

« Certo! In realtà non è casa mia, ma io ci entro e ci esco quando voglio, » disse ridendo Alì.

Il ragazzo osservò con attenzione gli occhiali che il vecchio portava. Le lenti avevano un forte gradazione ed erano piene di graffi. Era ovvio che avesse qualche difficoltà nel vedere.

« Qual è la tua casta? Dove è la tua casa? Hai viaggiato a lungo? » Chiese curioso il ragazzo.

« Sono venuto passando per le valli dell'Himachal Pradesh, risalendo il corso del Bramaputra. Lì dove, » sospirò, « l'aria e l'acqua sono pure e fresche. »

« Allora sei un Pahari, un montanaro. Hai gli occhi a mandorla, sei forse un Khintai? »

« Sì, sono un montanaro. Hai mai sentito parlare del Bhotiyal, il Tibet? Non sono un Khitai ma un Bhotiya. Noi vivevamo in pace nei nostri monasteri prima dell'arrivo dei Khitai e dell'annessione alla Cina. »

« Qui non ho mai visto un uomini simili a te. Perché sei qui? »

« Sono alla ricerca di un luogo santo. Voglio vederlo prima di morire. »

« Hai mangiato? » Chiese Alì, dato che il vecchio sembrava debilitato dalla fame.

L'uomo scosse la testa come una vecchia tartaruga al sole, quindi si frugò fra le vesti ed estrasse la sua ciotola di legno per la questua.

« Ha smesso di piovere, ora posso riprendere il mio cammino. »

« Il tuo cammino per dove? »

« Devi sapere che quando il nostro Signore misericordioso era ancora giovane, organizzarono una prova di forza. Alla prova dell'Arco, il nostro Signore ruppe il primo che gli avevano dato. A questo punto ne volle uno che nessuno riuscisse a piegare. Ora, sorpassando tutte le frecce che gli altri avevano scagliato, il suo dardo andò così lontano che uscì dalla vista e dove toccò terra la pietra si spezzò e da essa sgorgò un corso d'acqua che subito divenne un fiume la cui natura è tale per cui chi si bagna in esso lava via ogni macchia e traccia di peccato. Ecco, io mi sto recando dove sgorga quel sacro fiume. »

« Dov'è quel fiume? »

« Oh, noi sappiamo che tirò con l'arco! Sappiamo che la freccia cadde! Sappiamo che sgorgò il corso d'acqua! Sappiamo che bevendo alla sua fonte si ottiene la liberazione dalla Ruota delle Cose. Dov'è il Fiume della Freccia? Io non lo so. »

« Almeno sai che strada fare? »

« Mi dirigerò a Nord, verso Peshawar, e poi da lì proseguirò verso ovest fino a Bamiyàn. »

«E sai già la strada da fare? »

« Oh, per quello basta chiedere e pagare. »

« Quando partirai? »

« Non appena possibile. »

« E per il cibo? »

« Per il viaggio uso la ciotola della questua. Voglio trovare le sorgenti rinunciando agli agi come fece il Maestro. Quando ho lasciato le montagne avevo un discepolo che faceva la questua per me come comanda la Regola, ma quando abbiamo fatto sosta a Kulu una febbre lo ha colpito ed è morto, per cui ora andrò io stesso con la ciotola e consentendo così alle persone generose di acquisire merito. »

Di solito i colti studiosi dei monasteri non chiedevano l'elemosina, ma il vecchio pare entusiasta di ricorrere a quella forma di umiliazione pur di adempiere alla sua ricerca.

Anche adesso che era uscito dalla capanna, Alì lo seguiva come un'ombra. Quell'uomo era qualcosa di nuovo alla sua esperienza e, incuriosito, intendeva studiarlo più a fondo.

Vedendo che si sedeva, gli chiese: « E ora cosa fai? »

« Chiedo l'elemosina. Mi Non mangio e non bevo da parecchio. Come si chiede la carità da queste parti? In silenzio, come facciamo in Tibet o parlando forte? »

« Chi chiede l'elemosina in silenzio, muore di fame in silenzio, » disse il ragazzo, citando un proverbio del luogo. Il vecchio allora cercò di alzarsi, ma stremato dalla stanchezza e indebolito dalla fame ricadde a terra sospirando per il suo discepolo morto nella lontana Kulu.

Alì lo osservò, la testa inclinata da una parte, poi gli disse: « Dammi la ciotola. Io conosco la gente di questa città, perlomeno quelli che hanno un po' di carità. Porgimi la ciotola e te la riporterò piena. » Con la semplice di un bambino, il vecchio gli consegnò la ciotola.

« Riposati. Ci penserò io a te. »

CONTINUA