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ETOLOGIA:
Il cavallo è
intelligente?
Il cavallo è intelligente? - Obbligatorio sapere -
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ETOLOGIA - Il cavallo è intelligente?
Tratto da: Lo Sperone - di Liana Ayres
Per dare una risposta bisogna fare lo sforzo di porsi nei panni del nostro compagno.

  Non vi è prova dell’intelligenza del cavallo così come la intendiamo in ambito umano, e anche tra i più accesi sostenitori dell’equinità, di tanto in tanto, a fronte di apparentemente immotivati comportamenti del cavallo, il dubbio nasce spontaneo. L’unica via per ottenere un attendibile grado di valutazione è passare la linea di confine del nostro raziocinio e pensare… da cavalli.
La prima constatazione alla nostra portata è che il cavallo, rispetto ad altri animali, vanta un ottimo grado di addestrabilità: è cioè capace di apprendere un discreto numero di nozioni,
almeno quanto il cane e indubbiamente più di un gatto. In un periodo relativamente breve impara a darci i piedi per la toelettatura, a saltare degli ostacoli che probabilmente in natura aggirerebbe molto più comodamente, impara a sdraiarsi a comando (si pensi alle esibizioni circensi), ad aprire i catenacci delle porte e un’infinità di altre piccole cosette che sono strettamente correlate con il vivere con l’uomo e non fanno certo parte del suo patrimonio genetico.
Ora, dal nostro punto di vista, l’apprendimento in senso lato implica processi rielaborativi e quindi un’interazione attiva con le nozioni stesse. Nel caso dei cavalli, questo secondo passaggio è invece meno evidente. Di norma, apprendono per ripetizione e sempre per il medesimo concetto imparano così a rispondere a una serie di stimoli (o comandi) impartiti più o meno sempre con i medesimi criteri e metodi. Tradotto in termini più scolastici, dato che di apprendimento stiamo parlando, è un po’ la stessa differenza che passa tra chi ripete una poesia a memoria senza capire il significato delle parole e chi invece, oltre a questo, riesce anche a fornirne un’interpretazione personale, rielaborandone e riadattandone i concetti.
Un’altra valutazione importante da fare riguarda poi la curiosità, primo stimolo di una mente viva e intraprendente. Il cavallo è indubbiamente un animale curioso, ama esplorare gli spazi ed è attratto da un’infinità di cose nuove anche se, nello stesso tempo, ne è atavicamente intimorito.
Lui, la preda, esplora solo entro i solidi confini della sua sicurezza e difficilmente ama confrontarsi con novità che gli infondono tensione o paura. Così lo vedremo capace di avventurarsi tranquillo in situazioni che a noi potrebbero sembrare oltremodo pericolose o bizzarre e nello stesso tempo reagire con vigorosi tentativi di fuga-difesa rispetto a oggetti che invece per il nostro criterio di giudizio sono del tutto normali e inoffensivi.
Queste cure aiutano poi il piccolo a focalizzare la sua Rispetto poi all’interrogativo se sia comportamento più o meno intelligente per un animale tanto più forte dell’uomo assoggettarsi alla sua volontà, si ritorna al discorso delle gerarchie e di quanto queste infondano un piacevole senso di protezione. Il cavallo, tolto dal suo ambiente naturale, cioè il branco, e portato a vivere in una dimensione più umana che equina, deve in qualche modo ricostruirsi quella scala gerarchica che ordina il suo comportamento: così la nuova eventuale sentinella, il capo branco o il pari con cui scambiare effusioni e giochi non può che essere l’uomo. Aggiungiamo a ciò la naturale indole pacifica, la sicurezza e la gratificazione che derivano da un rapporto non conflittuale e immediatamente diventerà più chiaro il perché della sua ragionevole subordinazione: «L’uomo mi nutre, mi protegge, mi accudisce, soddisfa i miei bisogni primari e mi garantisce così la vita. In cambio devo solo lavorare per lui… ».
Se ci si pensa bene, non sarà poi un caso se quei soggetti che hanno avuto un’infanzia e uno sviluppo psicologico attento e privo di traumi sono poi quelli che offrono una stabilità di comportamento più consistente. Anche in natura i soggetti che non hanno subito grossi traumi sono membri del branco più equilibrati. Si pensi solo alle difficoltà di inserimento, addestramento e apprendimento dei puledri ‘orfani’, che a causa dell’assenza degli insegnamenti e del contatto con la propria madre non hanno sviluppato un equilibrio psicologico fin dalle prime fasi della loro vita e che hanno quindi dovuto affrontare ogni novità come un evento traumatico, fonte di insicurezza e timore.
Se non siamo disposti a riconoscergli una spiccata intelligenza, al cavallo non si può almeno negare una forma di coscienza utilitaristica, che lo porta a considerare il suo rapporto con l’uomo in termini di scambio: il mio benessere in cambio delle tue cure. È probabile che questa elaborazione sia il frutto di una reazione istintiva più che di un ragionamento e che quindi non abbia poi così tanto a che vedere con le capacità intellettive, ma ricordiamoci che il punto di partenza è una considerazione sulla funzionalità dell’intelligenza nell’ambito equino e non in quello umano.
Molti si domandano se il cavallo abbia la misura della propria forza e, se sì, perché possa piegarsi senza proteste alla volontà dell’uomo, infinitamente più debole di lui. Alcuni ne fanno una questione di generosità e bontà, altri pensano invece che il cavallo, in fondo in fondo, sia pur sempre una bestia da soma, senza grande carattere e predisposto alla sottomissione, laddove probabilmente l’interpretazione più corretta è un’equa via di mezzo tra le due tesi.
Indubbiamente il cavallo è più forte di noi e in moltissimi casi si ha la chiara percezione che ne abbia una discreta coscienza. Di fatto però non è un animale aggressivo e non trova nel conflitto alcuna forma di appagamento; la sua sottomissione gli reca una stabilità psicologica che per lui è senza prezzo.
Al momento opportuno non mancherà di tirare fuori il carattere e la grinta, ma nel quotidiano gli risulta più facile e rassicurante ubbidire.

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OBBLIGATORIO SAPERE
Comportamenti intelligenti e non
Abitualmente regoliamo la nostra valutazione circa l’intelligenza di un cavallo a seconda della sua capacità di riprodurre un comportamento che si confà alle nostre richieste.
A lungo andare, un soggetto che si lascia prendere a fatica, e che non comprende che le nostre intenzioni non sono affatto minacciose, è definito meno intelligente di chi si comporta in maniera diametralmente opposta. Nell’applicare questo metro di giudizio dobbiamo tuttavia essere molto cauti e a nostra volta dare prova di elasticità mentale. Soprattutto con soggetti di cui non conosciamo esattamente il vissuto, molti comportamenti possono essere l’indelebile traccia di esperienze negative.
Alcuni anni fa, per esempio, in molti allevamenti soprattutto all’estero, era abitudine dividere i paddock con ampi fossati, a volte pieni d’acqua. È facile immaginare quale terrore dovessero provare al momento di saltare un fosso in un campo ostacoli quei soggetti che in ‘gioventù’ ci erano incidentalmente finiti dentro. Da lì fermate, rifiuti e una inaddestrabilità manifesta, associata alla fine a scarsa intelligenza.
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CONSIGLI UTILI
Attenzione ai suoni
L’idea che il cavallo possa comprendere il significato delle parole che gli rivolgiamo è una delle più erronee mistificazioni di uso prettamente umano. È un po’ come dire che, di fronte a una sorridente coppia di cinesi che ci parlano nella loro lingua, siamo in grado di stabilire se ci stanno cortesemente insultando o se ci stanno invece facendo dei complimenti. Il cavallo non capisce il senso delle nostre parole perché per lui non possono avere alcun significato. Può però riconoscere delle sequenze di suoni (di cui sono composte le parole), avvertire il tono della voce, la tensione, la forza con cui emettiamo le parole e perfino l’intensità della nostra respirazione. È su questo linguaggio parallelo che dobbiamo semmai concentrare la nostra comunicazione. Parole brevi, suoni chiari, toni differenti a seconda delle situazioni sono i traduttori simultanei a nostra disposizione per stabilire un linguaggio comune davvero comprensibile.
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