di PIERGIORGIO ODIFREDDI
A 500 anni
dalla nascita del grande matematico
Benché
tutti veniamo al mondo nello stesso modo, lo spettro dei possibili incipit di un'autobiografia è
comunque vasto. Tristram Shandy fece iniziare la sua dal
momento del concepimento, solitamente rimosso per ovvi motivi. Altrettanto originale sarebbe partire
dai tentativi di aborto della propria madre e da uno sfavorevolissimo oroscopo
retroattivo, che prevedesse un essere mostruoso. Così fece nel De vita propria Gerolamo Cardano, che «fu
strappato dal grembo materno come morto» il 24 settembre 1501, ma «rinacque con
un bagno di vino caldo».
Se il buon giorno si vede dal
mattino, non ci possiamo stupire del resto della giornata: figlio illegittimo,
maltrattato dai genitori, a lungo impotente, ipocondriaco, masochista,
misantropo, incline a incidenti, balbuziente, polemico, Cardano ebbe sempre una
gran fiducia in quelli che oggi chiameremmo i suoi poteri paranormali. Nel suo primo libro,
appropriatamente intitolato Pronostico, offre una serie di
divinazioni alla breve. E per tutta
la vita si sbilanciò in oroscopi di personaggi famosi, dai re ai papi
.
Ma,
soprattutto, ebbe e descrisse quelli che noi classificheremmo come sintomi
isterici e schizofrenici, e che lui riteneva invece segni prodigiosi:
coincidenze significative, sogni
premonitori, visioni ipnagogiche, allucinazioni controllate, ronzii
nell'orecchio, voci inferiori, conoscenza innata delle lingue, sentore di
incenso e zolfo.
Naturalmente, queste cose succedono anche oggi, nei
manicomi e nei conventi. Ma
risultano più enigmatiche se riportate da persone altrimenti sensate,
quando non semplicemente geniali, come Cardano. Il quale dichiarò più volte di
sentirsi guidato da un demone socratico, che l'avrebbe salvato in svariate
occasioni.
Questi
lati della personalità e della vita di Cardano sono analizzati nel bel libro Il
signore del tempo. I mondi e le opere di un astrologo del Rinascimento
di Anthony Grafton (Laterza),
appena pubblicato. Ma essi non
esauriscono la complessità del personaggio, che fu anche uno dei grandi
scienziati del suo tempo.
Poiché
gli piaceva giocare ai dadi e alle carte, ma perdeva sistematicamente,
decise nel 1526 di dedicarsi alla teoria matematica dei giochi
d'azzardo, con maggior successo che nella pratica. Nel De ludo aleae enunciò due teoremi
fondamentali di quello che oggi è il calcolo delle probabilità. Anzitutto, la regola per le probabilità congiunte, che nel caso di eventi
indipendenti si ottiene moltiplicando le probabilità individuali. E poi, la legge dei grandi numeri: se si effettua un gran
numero di tiri di dadi, e si divide la somma dei numeri usciti per il
numero dei tiri, si ottiene il valore medio delle facce (tre e
mezzo).
In
matematica il nome di Cardano è però legato soprattutto alla storia della
soluzione dell'equazione di terzo grado, che costituiva una vera e propria
sceneggiata italiana.
L'ingarbugliata vicenda incominciò nei primi anni del Cinquecento, quando
Scipione del Ferro risolse un
problema considerato impossibile e trovò la formula risolutiva di un caso
speciale dell'equazione.
Del Ferro tenne la sua scoperta segreta e la comunicò
soltanto nel 1526, sul letto di morte, ad Antonio Maria Fiore. Il quale
incominciò, secondo il costume dell'epoca, a sfidare a
duello
aritmetico i rivali. Nel 1535 fu il turno di Nicolò
Fontana, detto Tartaglia perché
da bambino era stato ferito dai francesi, perdendo mascella e palato e rimanendo
impedito nel parlare.
Ma non
nel pensare, visto che "nella notte insonne" del 12 febbraio 1535 ritrovò
da solo la formula di Del Ferro, e poté battere il Fiore con un cappotto di 30
equazioni a zero.
Questa volta la notizia
dell'esistenza della formula si diffuse, e Cardano implorò Tartaglia per
averla. La ricevette nel 1539
in versi, giurando sul Vangelo che non l'avrebbe rivelata. Nel 1542 Cardano venne a sapere che la
formula era già stata trovata da Del Ferro, e si ritenne svincolato dal
giuramento. La pubblicò nel 1545
nel suo capolavoro, l'Ars Magna, in
cui inserì un trattamento completo delle equazioni di terzo e di quarto
grado dovuto al suo allievo Ludovico Ferrari. Oltre a contenere la prima menzione dei
numeri complessi, considerati "inutili" da Cardano e indispensabili dai
moderni, il libro si concludeva con una speranzosa epigrafe: "Scritto in
cinque anni, possa durarne altrettante migliaia". Per cominciare, ne è già durato
altrettante centinaia.
Tartaglia si infuriò e accusò
Cardano di plagio, anche perché l'Ars Magna era piuttosto reticente sul
suo contributo. Ferrari scese in
campo in difesa del maestro con una serie di Cartelli di matematica disfida, ai quali Tartaglia
rispose per le rime. Dopo essersi
reciprocamente richiesti soddisfazione e quattrini, e sfidati alla soluzione di
31 problemi ciascuno, i due si incontrarono il 10 agosto 1548 in una
pubblica tenzone, che si concluse con la fuga del povero Tartaglia e il suo
licenziamento dall'insegnamento.
Questa
vicenda finì dunque in gloria per Cardano, e non fu l'unica. Il trattato Sulla sottigliezza, un'opera del 1550
che oggi definiremmo di divulgazione scientifica, fu uno dei grandi successi
editoriali del Rinascimento. E' il libro che Amleto tiene in mano all'inizio del
secondo atto, quando Polonio gli domanda cosa stia leggendo e lui risponde:
"parole, parole, parole". O almeno così riferisce Calvino nel
capitolo su Cardano di Perché leggere i
classici.
Fra le
tante cose, Sulla sottigliezza
contiene la descrizione di un'invenzione che, benché non dell'autore, da allora
fu associata al suo nome: il famoso giunto cardanico, che serve a
trasmettere la spinta del motore all ruota posteriore della moto, o al
differenziale dell'automobile, collegando fra loro assi non paralleli. O
l'analoga sospensione cardanica, che permette alla bussola di essere svincolata
dal rollio dell'imbarcazione, e che fu in origine inventata per portare a spasso
l'imperatore Carlo V senza agitarlo troppo.
Un
altro successo arrivò nel 1552, quando l'arcivescovo di Edimburgo mandò a
chiamare Cardano per farsi curare l'asma.
Fra le varie assurdità e ovvietà che questi prescrisse, dal far
inalazioni di acqua e latte al lavarsi almeno ogni morte di Papa (cosa,
questa, apparentemente sconosciuta in Scozia), egli intuì quella che oggi
chiameremmo la natura allergica dell'asma dell'arcivescovo: eliminati
materasso e cuscini di piume, seggendo sulle quali "in fama non si
vien", il prelato guarì e lo coprì d'oro.
La
fortuna scozzese durò poco, perché Cardano volle fare l'oroscopo
all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso per
entrambi. Il primo fu
impiccato quasi subito dai riformatori, e il secondo mori di tubercolosi l'anno
dopo. Tornato precipitosamente
in Italia, il medico si inimicò i colleghi insultandoli e accusandoli di
incompetenza.
Il
vento della sorte aveva comunque cambiato direzione, e le tragedie presero
ad accumularsi. Uno dei figli fu
giustiziato per aver avvelenato moglie e suoceri: una fine analoga a quella del
discepolo Ferrari, avvelenato dalla sorella. L'altro figlio di Cardano era un
delinquente, e il padre arrivò a diseredarlo. Lui stesso finì nelle grinfie
dell'Inquisizione per bestemmia astrologica, avendo questa volta calcolato
l'oroscopo di Gesù Cristo: un ottimo soggetto per queste cose,
effettivamente, visto che di lui si canta "Tu scendi dalle
stelle".
Ma il Sant'Uffizio non gradì, e Cardano dovette scontare tre mesi di carcere e altrettanti di arresti domiciliari. In cambio della distruzione di centoventi dei suoi compromettenti trattati, nel 1573 il nuovo papa Gregorio XIII, che era stato suo collega all'università, gli assegnò una sospirata pensione. Che Cardano potè godere per poco, perché un'epidemia di peste se lo portò via il 20 settembre 1576: circa tre anni dopo la data che aveva prevista per la propria morte, in uno di quei non infallibili pronostici ai quali è dedicato l'affascinante libro di Grafton.
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