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Mi sono messo a lavorare con Joe Fuzzy essenzialmente per due motivi:
1) sapevo che si occupava di finanza, anche se di malavoglia, quasi
per ammazzare il tempo e 2) perché gli era scappata un'affermazione
su un gruppo di miei protetti che mi aveva lasciato con l'amaro
in bocca. Assistevamo al concerto degli X-riders, quando alla fine
del terzo pezzo, mentre tutti applaudivamo convinti, lui, pur unendosi
all'ovazione disse: "Senza chitarrista sarebbe tutto molto meglio".
Ora , si dava il caso che il chitarrista in questione fosse un mio
amico e, senza nessuna partigianeria da parte mia, mi sembrava svolgesse
il suo lavoro in maniera ineccepibile. Tuttavia non lasciai perdere
la faccenda, perché il gruppo, pur godendo di una discreta
fama, non aveva in effetti ancora prodotto il capolavoro che io
mi aspettavo già da svariati mesi. Il pomeriggio successivo
rimisi su il nastro degli X-riders, passai al mixer e tirai giù
gli sliders dei canali dove erano incise le parti di chitarra. Mi
ritrovai ad ascoltare un altro gruppo. Ci fu come un riassetto generale
dei suoni e un equilibrio nitido, brillante direi, si impose su
quelle canzoni. Quando, un mesetto dopo, rievocai l'episodio a Joe,
lui mi illustrò in poche parole la spiegazione: "A volte
non basta fare la cosa giusta, altre volte non serve fare la cosa
giusta. Gli X-riders rientrano nel secondo esempio." Comunque quella
fu l'occasione che diede il la alla riorganizzazione della scena
musicale cittadina. Già da tempo erano in molti a voler creare
delle strutture finanziarie e logistiche che potessero favorire
l'ascesa di gruppi musicali alternativi nello show business, almeno
in quello locale. Io presi le redini delle public relations e contattai
Joe. Si dimostrò subito entusiasta di lavorare nel campo
dell'arte e dei suoni, anche se non aveva una preparazione specifica
su alcuno strumento. Lo convinsi comunque ad unirsi alle prove di
una band che voleva in ogni caso espandere la sua formazione dai
tre elementi iniziali a x persone. Erano i LawBar e hanno avuto
in effetti un discreto successo. Suonavano della musica strumentale
che poteva fungere da colonna sonora per un libro come "La Recherche…"
di Proust e Joe vi aggiunse delle parole, poche, canticchiate o
declamate più che altro, le quali però non erano di
Proust, piuttosto sembravano prese da un'immaginaria autobiografia
di Egon Schiele e il gruppo divenne in poco tempo un piccolo culto.
In effetti, l'idea base della nostra organizzazione era quella di
fornire ai musicisti del nostro giro il Don,t know how che permette
ad una canzone di penetrare nel cuore del pubblico senza rispecchiare
o omologarsi agli stereotipi della musica di successo, già
assimilati dagli ascoltatori, ma porgendo frammenti di originalità
che, senza affatto spaventare o sconvolgere, suscitano uno stupore
soddisfatto e fanno dire. "Ecco quello che cercavo, perché
ci hanno messo così tanto tempo a farmelo sentire?"
Joe, grazie ai suoi speciali circuiti mentali, era quello che meglio
catalizzava le energie creative necessarie per questo tipo
di composizione. Se la faccenda non è esplosa a livello internazionale
è dipeso solo dal fatto che lui manteneva un profilo basso,
metteva mano a molti progetti, che non seguiva poi fino in fondo.
Penso che i suoi problemi con la giustizia, o con la mafia, o con
le donne o chissà che altro, gli imponevano di non esibirsi
troppo e, prudentemente, cambiava gruppo e dimora con notevole frequenza...In
cinque anni comunque ha permesso la trasformazione di una velleitaria
accozzaglia di perditempo in un team affiatato di produttori musicali.
Ecco i principali gruppi con cui ha lavorato, in ordine alfabetico:
AVENGER THREE: rock di medio impatto, la cui peculiarità
era costituita da una sezione ritmica solida e semplice, ma che
trasmetteva con la sua inarrestabilità un senso di inevitabile
catastrofe. Il contributo di Joe si è concentrato soprattutto
nell'organizzazione dei cori che rendevano accettabile, anzi addirittura
invitante, tale catastrofe.
BURROU: ensemble di elettronica sperimentale, affiancato da una
violinista: Joe ha preteso ed ottenuto che la ragazza cantasse e
suonasse il violino contemporaneamente, in più ha campionato
alcuni ritmi etnici rallentandoli. Un solo hit, "A plot of western
lands", memorabile.
CAIN: poeta performer, le poesie un plagio ai danni dei simbolisti
di ogni latitudine, le gesta sue originali. Joe al mixer trattava
la voce, staccandola dal corpo e trasformandola in raggi di energia
luminosa che si stagliavano sul palco.
COSTANTINOPLE GRAPE: suonano una miscela di reggae-dub e pop convenzionale.
Molto promettenti dal punto di vista commerciale prima che il nostro
si mettesse a trafficare con una chitarra facendola suonare come
una sezione fiati metallica e distorta. Ha cambiato i testi alle
canzoni, escludendo storie d'amore e di vita vissuta con versi di
matrice religiosa. Poteva essere la fine del gruppo e invece è
stata solo la fine della loro compagnia discografica. Poche vendite,
ma concerti affollatissimi, un seguito di fan fedeli che è
andato crescendo i modo esponenziale.
DEPROGRAMMER: più che musicisti, due filosofi che usavano
i computer musicali per fare cover come i collaudatori usano i crash
test per apprezzare la carrozzeria delle automobili. Joe suggerì
di lasciar perdere le cover, per poter guadagnare di più
sui diritti d'autore e creò un programma virus che sabotava
i sequencer frazionando qualsiasi ritmo in numeri complessi di battute.
FALLDOWN: I ragazzi suonavano essenzialmente per rimorchiare e anche
Joe fece la sua parte.
HERESHECOMES: due donne più Joe alle voci e un solo strumentista,
Snake eyes, all'OMNIPIANO, da lui stesso progettato. Joe dirigeva
il flusso delle modulazioni vocali dal dissonante all'assonante
con il respiro e lo sguardo.
LAWBAR: di loro abbiamo già detto:
MIDMOON. L'ensemble più tradizionale, la cui ortodossia,
invece di far sbadigliare, riscuoteva rispetto: La tecnica era rock,il
pensiero era jazz. Joe, al basso, impediva che la canzone fossero
ancorate ad una tonalità precisa, e la gente applaudiva.
PARIS AND A RAIN: ancora in circolazione e ancora molto promettenti,
con i loro suoni acustici ed affilati, gli effetti pulviscolo, le
melodie gelide e i testi delle canzoni assemblati da un emulo di
Pynchon dedito alla poesia. Joe, nei tre mesi passati con loro,
ha fatto sparire tutti i ritornelli, sostituendoli con delle pari
di pianoforte, una trovata ancora adesso molto sfruttata.
RUNIC: molto pieni di sé, sopravvivono nel loro limbo pop-intellettuale,
senza infamia e senza lode. Neanche Joe ha potuto farci molto e
ha lasciato quasi subito, dopo aver trafficato qualche mese con
il mixer.
SATELLITE: l'unico apporto di Joe è stato quello di far cambiare
il nome al gruppo. Prima si chiamavano TALES FROM MARS. Decisivo.
TOUCH: il mio fiore all'occhiello, per cui spenderò qualche
parola in più rispetto agli altri. Il cantante ricorda nelle
inflessioni un Nick Cave senza età e con un background decisamente
vecchia Europa; il bassista si preoccupa soprattutto di fornire
uno sfondo di pulsazioni emotive senza essere melodiche, assecondato
dal percussionista che usa una versione personalizzata di Theremin
capace di controllare patterns ritmici piuttosto che semplici frequenze
di oscillatori. C'è poi Steiner e c'era Joe. Steiner,
semplicemente utilizzava esclusivamente uno sterminato campionario
di samplers di aloni sonori, tipo riverberi, code di echi, sfrigolii
di flanger, armoniche riequalizzate e roba simile per arredare le
canzoni. Joe suonava la chitarra inseguendo la voce oppure dando
spessore ai fantasmi acustici di Steiner. Coccolato dalla critica,
ci hanno dato apprezzabili soddisfazioni economiche. Forse faranno
il passo verso il successo internazionale.
VISION: ruotavano intorno all'intuizione di Ant, il tastierista,
di produrre musica secondo una logica multidimensionale. Per un
certo periodo io mi occupavo del basso. Joe, cantando, era riuscito
a rendere la faccenda acusticamente plausibile e l'esiguo repertorio
è stato spesso trasmesso dalle radio locali. Quando Joe ha
lasciato, non sono sopravvissuti:
WILL 'O WISP: gruppo votato alla musica da ballo. Joe inseriva "informazioni".
Adesso è irreperibile, sono convinto che non si occupi più
di musica, neanche in incognito. Se così non fosse, non sarebbe
sfuggito al mio orecchio, assuefatto a quella particolare dose ,
percentualmente ineccepibile di irriconoscibilità che rendeva
i lavori a cui partecipava così caratteristici da agganciare
fasce di ascoltatori fra le più disparate. Quando, poco prima
che sparisse, circa sei mesi fa, avemmo modo di chiaccherare, davanti
a delle birre e dopo le nostre rispettive scopate, del suo preteso
calo di ispirazione, cercai di incoraggiarlo ricordando gli ottimi
risultati conseguiti. Joe convenne che erano ottimi rispetto al
punto di partenza, ma scoraggianti rispetto al punto d'arrivo, il
suo, misterioso, punto di arrivo.
Io, tuttavia, non ho capito se era la perdita di interesse o la
carenza di capacità ad impedirgli di arrivare dove voleva
arrivare. Per quanto avventurosa poteva sembrare la musica che tentava
di fare, per quanto ardite potevano apparire le proposte sonore
escogitate, per quanto eleganti potessero scorrere le concatenazioni
acustiche elaborate, Joe trovava comunque il suo operato macchinoso
e in difetto di creatività. Era contrario all'improvvisazione
nell'esecuzione e non si riteneva adeguato all'improvvisazione delle
regole. Il suo contributo musicale voleva tendere ad un intervento
così soffuso da coincidere con l'invisibile. Certo è
lui stesso che è scomparso…
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