Da: La Repubblica (18
maggio 2005). Negli stessi mesi in cui George Lucas
girava le spettacolari sequenze-clou di Episodio III - La
vendetta dei Sith, qualcun altro, a migliaia di chilometri di
distanza, lavorava sulla mitologia Star wars. Parliamo di un team
di ricercatori che fa capo alla facoltà di informatica di Pisa, e che ha
progettato, costruito e ultimato un prototipo di robot interamente
ispirato a uno degli eroi della saga: il piccolo, buffo, fedele droide
R2-D2. Quell'ammasso di metallo bianco e blu che ricorda un barattolo, e
che, insieme al collega umanoide e logorroico C-3PO, è uno dei segreti del
successo di Guerre stellari.
E così adesso, dopo tanto impegno da parte di una ventina tra tecnici e
scienziati - ma con uno "zoccolo duro" di sole cinque-sei persone - la
versione italiana e supertecnologica di R2-D2 viene presentata il 19
maggio, nel corso dell'anteprima del film che si svolgerà presso il
multisala Medusa di Livorno.
Proprio così: nello stesso giorno in cui, al Warner Moderno di Roma,
personaggi dello spettacolo e della politica assistono alla ben più
patinata anteprima vip, alla presenza di alcuni protagonisti (Hayden
Christensen, Ian McDiarmid e il produttore Rick McCallum), nella città
toscana i fan possono "consolarsi" assistendo, dal vivo, alla performance
del robot made in Italy. Che cammina proprio come il personaggio del film,
e che come lui - all'apparire di un uomo col costume del cattivo Darth
Vader, con tanto di spada laser rossa - tenta in tutti modi sfuggirgli,
emettendo i caratteristici suoni un po' strani.
Ma non c'è solo un elemento di curiosità, nella creazione dei ricercatori
di Pisa. Perché in realtà dietro a questo simil-droide c'è la volontà di
realizzare un cosiddetto "robot-servo" (capace cioè di aiutare l'uomo
nelle attività più disparate) con un'interfaccia amichevole. Con cui,
cioè, una persona abbia facilità a comunicare e interagire. E cosa meglio
di un eroe che a 28 anni dalla sua prima apparizione ha fatto ridere e
sognare gli spettatori di diverse generazioni, con la sua presenza in
tutti e sei i film della saga?
A insistere su questo aspetto è uno dei ricercatori più coinvolti nel
progetto, Diego Colombo. Che - insieme ai colleghi Antonio Cisternino,
Giorgio Ennas, Roberto Ricci, Luca Alessi e Maria Epiro, e sotto la
direzione del professor Vincenzo Ambriola - ha dedicato un anno di vita
alla costruzione di questo strano macchinario: "E' stata una gran fatica,
ma anche un divertimento - racconta - abbiamo lavorato con la
collaborazione di docenti in ingegneria meccanica e di tecnici, e con un
finanziamento della Microsoft Research. Il nostro budget era di circa 50
mila euro".
E il risultato, come mostrano le fotografie, è un robot che ricorda
tantissimo il suo modello. Variano solo i colori e l'altezza, maggiore di
circa 30 centrimetri: "Il nostro è di circa un metro e mezzo - spiega
Colombo - perché, per interagire con gli esseri umani, il suo occhio (una
telecamera, ndr) non poteva essere posizionato troppo in basso".
Ma vediamo di descrivere un po' meglio questo "figlioccio" italiano del
mitico R2-D2. "Il nostro scopo - dice ancora Colombo - era capire che
succede se a un computer vengono date delle 'gambe', cioè delle ruote, per
camminare. E così abbiamo creato questo oggetto discretamente semplice dal
punto di vista meccanico, che ha in sé una rete wireless, un'interfaccia
blue tooth, e connessioni standard a un pc tramite normali prese usb". E
non basta: per poter interagire nello spazio, il robot ha sensori a
infrarossi e a ultrasuoni per capire l'ambiente in cui si trova; ha una
telecamera che gli permette di analizzare la visione, e di riconoscere
forme, oggetti e volti (ad esempio è stato programmato per riconoscere le
spade laser di Star Wars); e ha due microfoni per comandi vocali,
per emettere suoni (tra cui quelli, buffi e particolarissimi, tipici di
R2-D2) e per localizzare la posizione di chi parla.
Insomma, un barattolone che cammina come il modello - con un movimento a
due o a tre gambe, proprio come nei film di Lucas. E che, secondo i
ricercatori di Pisa, può essere programmato per un utilizzo nei musei, o
negli ospedali. O perfino, in prospettiva futura, nelle case. Del resto
non è la prima volta che per creare robot-servi ci si ispira, per rendere
il loro aspetto più familiare, a film di successo: ad esempio è stato
recentemente presentato un prototipo svizzero che, nella parte superiore,
ricorda molto Johnny 5, la macchina di Corto Circuito. Così come i
giapponesi, all'avanguardia in questo settore, spesso si rifanno alla loro
tradizione di robot-cartoon.