Ha
una sua solitudine lo spazio, solitudine il mare e solitudine la
morte
eppure tutte
queste son folla in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare, che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.
Emily
Dickinson
La
Solitudine
Se mi allontano due giorni
i piccioni che beccano
sul davanzale
entrano in agitazione
secondo i loro obblighi corporativi.
Al mio ritorno l'ordine si rifà
con supplemento di briciole
e disappunto del merlo che fa la spola
tra il venerato dirimpettaio e me.
A
così poco è ridotta la mia famiglia. E
c'è chi ne ha una o due, che spreco, ahimè!
Eugenio
Montale
Senza di Te
Tornavo
Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.
Pierpaolo Pasolini
La
Solitudine
Distesa
sull'erba nascosta dall'ombra della solitudine
il tuo viso che giace sul bordo della terra
il respiro del vento che risale attraverso il tuo sguardo
gli occhi distanti riflessa l'immagine del tuo corpo immobile
un sottile velo di seta ricopre il desiderio
i passi brevi della morte che si dilegua e scompare dietro la
schiena
la scia un filo una fluida sensazione la voce che inebria lo
sguardo
veleno che nasconde l'essenza dell'oblio la pace e la solitudine
la mia che richiama la tua
le mani che attraversano le porte, invase sono le stanze
pareti che si piegano al centro della terra il respiro tuo che
discende
il richiamo di una preghiera il sogno che confessa l'ultimo volo
dentro te.
Ancora... il respiro del vento che solleva l'anima nel silenzio
bugie e verità che si mescolano come il sangue che attraversa le
ferite
le tue braccia che si spengono nel sonno dell'anima
la morte che ritorna come un fantasma ridente
lascia sulle mie labbra i sospiri
il sangue che scorre veloce si tinge del sulle tue labbra
il piacere è il riflesso del tuo sul mio
una foglia cadente che si stacca dal corpo sconosciuto
il tempo che raccoglie il mutare delle emozioni
dentro il cuore che vive e muore
come una gabbia fredda trattiene il filo.
distesa sull'erba nascosta da una foglia che si stacca dal cielo
le nuvole che ti sembrano vicine
ed io che mi sveglio invocando il tuo nome
Lithium
La
Solitudine
Confinarsi
nel proprio silenzio
Soffocando
i dubbi
le idee
le emozioni
con la speranza che torni tutto alla normalità
ascoltare frasi
dettate al vento
da labbra aride
come note di musica
destinata a dissolversi nel nulla
percepirne
le dure sensazioni
che colpiscono l'anima
come morsa devastatrice
induttori di malessere
di solitudine
di malinconia
evanescenti per chi vive al cospetto
di un mondo così tecnologico
devastanti per chi ricerca la purezza
di un sorriso umano
che può smettere di esistere
confinandosi
nel proprio silenzio
Anonimo'88
Solitudine
Solitudine,
se vivere devo con te,
Sia almeno lontano dal mucchio confuso
Delle case buie; con me vieni in alto,
Dove la natura si svela, e la valle,
Il fiorito pendio, la piena cristallina
Del fiume appaiono in miniatura;
Veglia con me, dove i rami fanno dimore,
E il cervo veloce, balzando, fuga
Dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce
Conversazione d'una mente innocente, quando le parole
Sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
Dell'animo mio. E' quasi come un dio l'uomo
Quando con uno spirito affine abita in te.
John Keats
Solitudine
I
Da questo greppo solitario io miro
passare un nero stormo, un aureo sciame;
mentre sul capo al soffio di un sospiro
ronzano i fili tremuli di rame.
È sul mio capo un'eco di pensiero 5
lunga, né so se gioia o se martoro;
e passa l'ombra dello stormo nero,
e passa l'ombra dello sciame d'oro.
II
Sono città che parlano tra loro,
città nell'aria cerula lontane; 10
tumultuanti d'un vocìo sonoro,
di rote ferree e querule campane.
Là, genti vanno irrequïete e stanche,
cui falla il tempo, cui l'amore avanza
per lungi, e l'odio. Qui, quell'eco ed anche 15
quel polverio di ditteri, che danza.
III
Parlano dall'azzurra lontananza
nei giorni afosi, nelle vitree sere;
e sono mute grida di speranza
e di dolore, e gemiti e preghiere. . . 20
Qui quel ronzìo. Le cavallette sole
stridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole;
trema uno stelo sotto una farfalla.
Giovanni
Pascoli
Subito Sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera
Salvatore
Quasimodo
Il Passero
Solitario
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Giacomo
Leopardi
La
Solitudine
Pien d'un caro pensier, che mi rapiva,
Giunto io mi vidi ove sorgean d'antica
Magion gli avanzi su deserta riva.
Cinge le mura intorno alta l'ortica,
E tra le vie della cornice infranta
L'arbusto fischia, e tremola la spica.
Scherza in cima la vite, o ad altra pianta
In giù cadendo si congiunge e allaccia,
E di ghirlande il nudo sasso ammanta:
E con verde di musco estinta faccia
Sculto Nume qui giace, e l'umil rovo
Là gran pilastro rovesciato abbraccia.
M'arresto; e poi tra la folt'erba movo:
Troppo di cardo o spina al piè non cale,
E nel vóto palagio ecco mi trovo.
Stillan le volte, e per l'aperte sale
Passa ululando l'Aquilon, né tace
Nel cavo sen dell'oziose scale.
E pender dalle travi odo loquace
Nido, entro cui tenera madre stassi
I frutti del suo amor covando in pace.
Quindi sul campo con gli erranti passi,
Per via diversa dalla prima, io torno.
Veggo persona tra i cespugli e i sassi.
Sedea sovra il maggior masso, che un giorno
Sorse nobil meta d'alta colonna:
Abbarbicata or gli è l'edera intorno.
M'appresso; ed era ossequiabil Donna:
Scendea sul petto il crine in due diviso,
E bianca la copria semplice gonna.
Par che lo sguardo al ciel rivolto e fiso
Nelle nubi si pasca, e tutta pósi
L'alma rapita nel beato viso.
Chi sei? le dico; ed ella, i rai pensosi
Chinando, Solitudine m'appello:
Diva, sempre io t'onorai, risposi.
Mettea dal mento appena il fior novello;
Ed uscendo, tu sai che parlo il vero,
Dal folleggiar d'un giovanil drappello,
In disparte io traeva; e se un sentiero
Muto e solingo a me s'apria, per esso
Mi lasciava condur dal mio pensiero.
Poscia delle città lodai più spesso
Rustico asilo, e più che loggia ed arco,
Piacquemi un largo faggio e un brun cipresso.
Questo so ben: ma che sovente al varco
Un Nume t'aspettò, pur mi rammento,
Rispose, e che per te sonar fe' l'arco.
E stato fora allor parlar col vento
Il parlarti de' campi, e morte stato
Far un passo lontan dal tuo tormento.
Ma tutto de' tuoi giorni era il gran fato
Seguir la tua giovine Maga, e meno
Curar la vita, che lo starle a lato,
E dal torbido sempre, o dal sereno
Lume degli occhi suoi pendendo, berne
L'incendioso lor dolce veleno.
È vero, è ver: ma chi mirar l'eterne
Può in man d'Amor terribili quadrella,
60E non alcuna in mezzo al cor tenerne,
S'egli al fianco si pon d'una donzella,
Che ad una fronte, che qual astro raggia,
Giunga in sé stessa ogni virtù più bella,
Che modesta ci sembri, e non selvaggia,
Varia, né mai volubile, che l'ore
Viva tra i libri, e pur rimanga saggia?
Ora l'età, l'esperienza, e il core
Già stanco, ed il pensier, che ad altro è vólto,
Di me stesso potran farmi signore.
Sorrise allor sorriso tal, che al volto
Senza tor maestà crebbe dolcezza,
La casta Diva; e così dir l'ascolto:
Molti di me seguir punge vaghezza;
Ma vidi ognor, come a poche alme infondo
Fiamma verace della mia bellezza.
Alcun mi segue, perché scorge immondo
Di vizi e di viltà quantunque ei mira:
Questi non ama me, detesta il Mondo.
Non ama me, chi del suo Prence l'ira
Contro destossi, ed in romita villa
Esule volontario il piè ritira;
Ma la luce del trono, onde scintilla
Su lui non balza, egli odia, odia l'aspetto
Del felice rival, che ne sfavilla.
Non chi la lontananza d'un oggetto
Piange, che prima il fea contento e pago,
E gli trasse partendo il cor del petto;
Ma d'un romito ciel si mostra vago,
Per poter vagheggiar libero e oscuro
Pinta nell'aere l'adorata imago.
Questi voti d'un cor, che non è puro,
Odio; e di lui, che in me cerca me stessa,
Solo gli altari e i sagrifizi io curo.
Ma quanto a pochi è dagli Dei concessa
Alma, che sol di sé si nutre e pasce?
Che ogni dì, che a lei spunta, è sempre dessa?
Che ognor vive a sé cara? Uom, che le ambasce
Del rimorso, torcendo in sé la vista,
Paventerà, questi per me non nasce.
Questi sol qualche ben nel vario acquista
Tumulto, perché in lui strugge e disperde
La conoscenza di sé stesso trista.
Ma su lucido colle, o per la verde
Notte d'un bosco, co' pensieri insieme,
E co' suoi dolci sogni, in cui si perde,
Passeggia il mio fedele, e duol nol preme,
Se faccia d'uom non gli vien contro alcuna,
Perché sé stesso ritrovar non teme;
E nel silenzio della notte bruna
Estatiche fissar gode le ciglia
Nel tuo volto soave, o argentea Luna;
E per l'ampia degli astri aurea famiglia
Gode volar, di Mondo in Mondo passa,
Passa di meraviglia in meraviglia.
Levando allor la fronte trista e bassa,
Deh! grido, se ti spiace il culto mio,
E che pensi di me, saper mi lassa.
Il tuo culto sprezzar, no, non poss'io:
Ma scosso appena dalle gialle fronde
Avrà l'Autunno il lor ramo natio,
Che tu darai le spalle a queste sponde,
E d'altro filo tesserai la vita
Ove Città sovrana esce dell'onde.
Né però dal tuo core andrà sbandita
La voglia di tornare al bosco e al campo,
Tosto che torni la stagion fiorita.
E se nol vieta di due ciglia il lampo,
Se una dolce eloquenza non ti lega,
Ti rivedrò; né temo d'altro inciampo.
Ciò detto, in piè levossi; ed io: Deh! spiega,
Se ancor mi s'apparecchia al core un dardo.
Ella già mossa: Il labbro tuo mi prega