Giorgio Bongiorno
Quando il Mare è un Canto
Intonano Maria
I tuoi sereni versi
Quello struggente cantico del mare
Nel viaggio celeste dell’aurora
Verso il rogo del giorno sull’orizzonte
Sento sugli irti scogli il tenue sospiro
Delle onde inquiete
Della battigia
Dolce carezza sulla sabbia inerte
Del crepuscolo dorato
Sulla mia pelle scorre
Nel greve brivido della tempesta
L ’aspra vita dei marinai
La severa insidia del maestrale
Il sublime intenso azzurro della bonaccia
I tuoi aironi sgomenti
La danza dei gabbiani
Ali d’avorio
Nel teatro ceruleo del cielo
Tormentato da insistenti nuvole grigie
Evoluzioni libere di cristalli impregnati di stelle
Il cammino lucente
Ed il vacuo stupore della luna
Sulle gemme incastonate nel mistero
Muto della notte
I lontani inesplorati spazi dell’arcano
Illuminato dal bagliore dei diamanti
Dell’intaglio superbo di sirene incantate
Il profumo inebriante dei fiori
Il ricamo dei gigli
La saggia follia dell’avventura
L’angoscia amara del distacco
La speranza delle calde emozioni
Dell’approdo
Le tue ombre verdi e turchesi
Le rotte d’argento dei naviganti
L’odore intenso di calafato
Il supremo fascino dei pilastri dell’ignoto
Le onde che si risvegliano al mattino
Con gli occhi di cubia
Di ancore chiassose
L’eco indistinta del lento canto
Di amore e di sventura
La solenne preghiera del vespro
Nella fervida processione degli spiriti
fra il sibilo della raffiche di libeccio
Dietro il divino fondale dell’anima
Inverno 2007
La Cascata
La storia annosa
Del grande fiume
Si frange fra gli alberi
E le rocce
Nei mille solenni salti
Dell’ansa schiumosa
Lontane rugiade di fonti perenni
Intrecciano
Il sordo clamore
Di mille battaglie
Sugli scudi dei guerrieri
Si spegne adagio bruciato dal sole
Ostinato del tramonto
L’altero profilo di maestosi
Manieri perduti nel tempo
Le acute torri
Stagliate ancora sull’orizzonte
E rivolte alle nuvole
Pensose della sera
Insieme ai fiori gialli di primavera
Arcani e superbi cavalieri
Cavalcano ancora quello scrosciante fragore
Dissolto nella melodia dei secoli
Ancora intorno
Chiassosi richiami della gioia
Nei boschi della festa
L’aquila disegna solitaria
L’antica danza del cielo
E intona la soave armonia
Del miracolo eterno
Della vita
Genziane
Profili agili di montagne
Calanchi di rocce
Scolpiti leggeri
Nel cielo velato
Del mattino
Bruciano sull’acqua scintille
Di tiepidi cristalli di sole
Mentre scorre l’acqua limpida
Lungo l’abetaia
E il presepe della valle
Abbiamo camminato sereni
Quasi in silenzio
Nel quadro del bosco
Colorato di vivido autunno
Nel rito di luce fiamminga
Per scoprire un battito di vita
Un segno divino
Sulle panchine vuote
E nelle pieghe
Di sabbia del canale
Volevamo arrivare tutti insieme
Alle sorgenti dell’anima
Sommessi messaggeri del tramonto
Fra casolari disseminati
Nella solitudine dei prati
Abbiamo sognato
Occhi chiari
Capelli dorati
La gioia del gioco
Spensierato
Fra le nuvole alte
L’immagine dolce
Di una bimba strappata alla vita
Il suono lontano di un violino
Con il dolore diffuso del ricordo
Siamo tornati a celebrare in preghiera
Al campanile del borgo
L’incanto dei larici lucenti
E il tenue profumo
Dell’ultima genziana
Johnatan
A me preme di volare
In alto
Con gli albatri
Con i pellicani
E con gli aironi
Voglio sentire le nuvole dorate
Vicino al tepore del sole
Fra poco
Lascerò lo stormo
Per ritrovare le spiagge lontane e
Solitarie
Le scogliere
Remote
Dormirò
Sospeso fra mare e terra
Ed il vento amico
Mi porterà fra le nebbie
Dell’ oceano
Dimentico gli altri
Planando felice
Fra le onde
Dimentico il cibo
E resto fino a sera
A galleggiare
In attesa della luce
Della prossima picchiata
Del lungo volo di domani
Si
Perché a me
Preme solo di
Volare
Estate 1995
Mondovì
Il sole di questa calda mattina
D'autunno
Dipinge di rosa le antiche meridiane
Del Collegio
Il sole disegna all'orizzonte i prati sfumati nella nebbia
Il profilo severo di monti lontani
L'automobile scivola giù per le vie del borgo
Verso la discesa di Carassone
Poi il richiamo degli oratòri
Fra le colline addormentate
Del pilone incantato
Della Regina del Monte
Fino alla cupola del Santuario
Maestosamente altera
Tanti amici
Per una giornata festosa
Nel chiostro ospitale dei Foglianti
Poi
La Piazza Maggiore
La cattedrale di San Donato
Il Vescovado
La sala delle Lauree
La cantilena del pendolo
I tocchi solenni della campana
Del tempo
Il senso nascosto della vita
Sui giardini alti del Belvedere
Il segno eterno della speranza
Fra le stelle del cielo
Al commiato della sera
Un sorriso e una carezza
Colti per un attimo
Amicali strette di mano
Tutti
Se ne vanno in punta di piedi
Quasi nessuno volesse lasciare
Quelle torri austere
Quelle mura
Indorate fra le ombre tenui del tramonto
La terra dell'incontro sodale
Quel pezzo di storia
Che ti resta accanto
Con l'anima fiera della gente
Generosa e buona
Della via del sale
Ottobre 2006
Il Faro
*Allegoria della nascita*
Prima di scegliere questa vita
abbiamo vagato a lungo in anfratti
pescosi di lontani oceani
nella desolazione senza luce
di mondi disegnati nel nulla
di universi sconosciuti
senza la gioia della speranza
il sordo clamore della folla
la paura nascosta del silenzio
l’asprezza lancinante del dolore
l’angoscia struggente della solitudine
l’incubo cupo della passione
lo scherno atavico del disprezzo
la fiamma ardente dell’ odio
il sangue ancora fresco delle ferite
il senso amaro della vergogna
il calore intenso della pietà
il richiamo antico dell’amore
eppure un giorno non lontano
abbiamo visto un faro distante
fra le fitte nebbie della notte
pareva un approdo dopo tutte le
onde impetuose
della cattiva fortuna
Pareva il segno di angeli
incontrati una volta nel cielo
a farci nascere su quella battigia
deserta e sconsolata
nobili prede di un solenne naufragio
miracolo della creazione
prezioso olocausto dell’infinito
abbandonati sulla sabbia lucente
come l’ultima pescata del mattino
tutti insieme ansimanti
senza reti
all’incerto destino degli uomini
Canto Navajo
"Avanza sulla scia dell'arcobaleno, avanza sulla scia di una
canzone, e tutto sarà bello per te.
C'è una strada fuori da ogni oscura foschia, oltre la traccia
dell'arcobaleno."
L’Eco di Un
Canto Navajo
*Dramma di una natura perduta insieme alla libertà….*
È nell’eco di un canto navajo
Il richiamo triste del ritorno
Alla terra di un tempo
È nel dolore di quella nenia
Scandita dai tamburi
Dell’orgoglio guerriero
Quell’estate di speranza
Bruciata ogni giorno dal fuoco antico
Dell’ orizzonte
Fiamme eterne di vendetta
Per la morte dell’albero sacro
È nella tenue luce di una notte di luna
Il ricordo dell’ultima
Gioia
È nella danza ritmata
Il raggio insistente del sole
La via dell’anima indiana
Interminabile cantilena
Armonia discreta della natura
Nella sua corsa verso l’oceano
Il fiume scava lento
Inesorabile
L’abisso che unisce terra e cielo
L’antilope leggiadra
Cerca invano i suoi piccoli
Il bisonte giace inerte nella prateria
Il suo respiro inganna la vita
Non c’è più il bosco
I pioppi non parlano più alle nuvole incantate
Nemmeno il sogno
Di interminabili colonne di
Uomini e donne
Bambini
nella lunga marcia dell’esilio
Il viaggio struggente della nostalgia
I frammenti di arcobaleno
Perduti della lontana nazione
Segno inesorabile
Dell’agonia di un popolo
Altero
Chi mai potrà ridare la luce a quelle
Capanne abbandonate
la provvista di legna per l’inverno
Il risveglio delle foreste
Di primavera
Il grido rauco dell’avvoltoio
Altissimo sulla preda
Il nitrito disperato dei cavalli
Abbandonati
Il muggito lontano del bufalo ferito
La calma assetata del deserto
Il fruscio lieve del vento del tramonto
Le giovani passioni della tribù
L’orecchio teso dei vecchi
Ad ascoltare muti il silenzio
Sovrano della sera
Estate 2007
Narrow Side Canyon
*Warm Creek Bay*
*La grande ferita nella terra dei Navajo americani*
Là dove rocce roventi
Si colorano di abisso
Fra strati inerti di millenni
Scolpiti da sismi dimenticati
Ho lasciato svanire
La nenia disperata
Del canto dei Navajo
Case di fango
Resina e pino
La luce della stella del mattino
E gli arditi
Inquieti sogni dei guerrieri
In questo muto cammino
Per la vita
Si perdono come l’eco dei pensieri
Prima del trionfo del sole
Le giovani passioni dell’anima
Poche nuvole chiare coronano la ferita
Di pietre lucide ancora dell’ultima pioggia
Grandi piaghe della terra aperte
Custodi fedeli della speranza
Intagliate nel delirio di disegni irreali
Nel calore
Del buio infuocato di ombre perenni
Tripudio gioioso di colori
Limpidi e severi come di carne
Ancora sanguinante
Straziata dalla lama impietosa
Del tempo
E dall’incuria di spiriti malefici
Nella danza della pace
Dei cervi della montagna
Odo giù nella gola
Urla sovrumane che vanno piano a morire
negli anfratti dimenticati
di spiagge orfane della carezza dell’onda
di oceani scomparsi
e lontano
nel cielo limpido della sera
il grido
straziante e soffocato dell’aquila
profanata di Hualapai
Zattere a
Fontanetto
Dove le nuvole bianche
Si specchiano
Nella lucente geometria
Delle risaie
Improvvisi voli
Radenti degli aironi segnano
Solitari la linea dell’orizzonte
E i casali
Dorati navigano
Con gli ultimi raggi del tramonto
Quadrati di storia
Come zattere nel cielo
Immobili e solenni
Abbandonate
Nella bonaccia dell’oceano
Cantano
Nella campagna la nenia dei ricordi
Il ricamo di coppi allineati
Disegna mesto
La scomparsa di tutte quelle esistenze
Travolte dall’oblio del passato
Qualche camino
Cenere di ceppi lontani
Fuochi testimoni
Di quelle lunghe notti di amore
E le veglie di preghiera
Nel gelo impietoso della pianura
Con la campana del borgo
Severa compagna del tempo
Se ne è andata anche
La fedele speranza
Degli uomini
Vicino ai fienili vuoti
Ancora l’odore insistente delle stalle
Qualche gelso intorno
Punteggia
Il confine incerto della cantilena
Di tante vite dimenticate
L’inganno di un vocio diffuso di bimbi
solo un tuono distante
quasi una melodia tersa nell’aria
un chiassoso tremito di ali
stormi di falchi cuculi curiosi
e lesti
Il grido stridulo dello sparviero
La sveglia mattutina del carrettiere
Qualche brandello struggente
Sommesso di antica passione
Soffi velati di poesia
Flebili tracce di anima
Nella mente accorata
Di chi resta a guardare
Poi la pacata tempesta
Dei corpi della gente
Sepolti tutti
Sotto la terra del riso
Accarezzati dalla brezza
Sull’acqua del canale
Fino alla raccolta
Copiosa
Dopo il prossimo taglio
Il Presepe
della Notte
*Ricordo della fanciullezza*
Prima dell’alba
Una sinfonia di luci chiare
Inondava il cielo sopra i radi abeti
Del bosco
Sono tornato per un momento bambino
Davanti al presepe della chiesa
Le stelle erano disegnate sulla carta
Di fianco al quadro della Natività
Di quel pittore del Cinquecento
Un nome sempre difficile da ricordare
Mai nessuno ce l’avrebbe chiesto
Quella capanna di legno
Sotto l’altare delle elemosine
Risento quelle voci
Una più vivace delle altre
Sono andati tutti via
Eppure sembravano eterni compagni
Nati per rimanere sempre insieme
Per camminare in fila per due
Sul sentiero aspro della vita
Quando evoco inquieto i loro nomi
Ad uno ad uno
Appello di tutti i giorni per anni
Qualcuno non risponde più
Altri sono spariti nel nulla
L’eco di parole lontane
Si perde dietro tutte quelle ombre
Allineate sulla lavagna del tempo
Come il loro sguardo
Una volta così pungente
Come il loro sorriso
Una volta così tenero
Le preghiere consuete del mattino
Prima delle lezioni
Diventano cantilene distanti
Inusitate
Quasi difficili da recitare come allora
Sembra che anche Dio
Sia diventato un altro
I loro visi scolpiti come i banchi della scuola
Si dileguano adagio nella memoria
Sfumano lievi
Insieme alle loro anime
Come questi
Alberi sparsi sulla collina
In attesa del giorno
Maschere
Non era un teatro greco
Nemmeno il palcoscenico improvvisato
Di un’oscura compagnia di provincia
Secoli di storia
In qualche quadro
Smorfie di tutti i giorni
Sorrisi strappati all’indifferenza
Sguardi nascosti come desideri
Eravamo noi
A passare ad uno ad uno
Davanti a quella strana tribuna
Vite intere ridotte all’apparizione
E alla corsa di un momento
Poche parole
Impresse nel copione
Qualche gesto d’intesa
Come fossero amici
Un sospiro di nostalgia
Un flebile lamento
Poi piano la fine
Per lasciar posto
A tutta quella folla di
Maschere meste
Frammenti di passione
Briciole d’anima
Comparse allineate sulla scena
Vestite degli stracci
E dei colori della vita
Nuvole
Fine ottobre
Nuvole bianche rade sulle cime
Degli alberi spogli
Specchi dell’autunno terso
Parlano di faticosi viaggi
Intorno al globo
Nel limpido azzurro
Degli orizzonti infiniti dei cieli
Volano come grandi aquile
Altere e coraggiose
Sferzando di grandine brillante
I continenti frastagliati di dolore
Rincorrono accecate la luce
Dei caldi raggi del sole
Dietro le vette candide
Di grandi catene inviolate
Guardano pietose le mani dell’uomo
Nude
Agitarsi come in un saluto
Unirsi nei templi della fede
in una mite preghiera
A celebrare imploranti
L’eterno mistero
Della speranza
Corrono a frotte
Su verso il paradiso
Degli angeli
Anime solitarie
Spinte dal vento severo di tramontana
Nella danza infinita
Delle onde degli oceani
Cercano meste
Una provvida tregua
Alle inique tempeste della fiaba terrena
E come il corpo degli uomini
Imboccano leste la via della morte
Contro le pendici di un monte
Sul muro di una impervia scogliera
O nell’immenso mistero del nulla
Il Fumo
Un’ardita
voluta
Di luce intensa
Quasi un tenue sospiro
Una nuvola di parole mai dette
Disegnate
Nella passione del desiderio
Schiamazzi
Frammenti di vita
Bruciati in un attimo
Improvviso di passione
Il piacere di appartenere alla impalpabile
Leggerezza
E al sapore acre della cenere
L’antico richiamo del fuoco vivo
Calore profondo
Che si insinua fino nelle viscere
Raggio di sole fra le vette della montagna
Amaro in bocca
Profumo incerto
Di un tradimento fatale
Armonia rituale
Di una danza senza fine
Quasi l’ultima alba del toro
Prima del massacro dell’arena
Il cervello scolpito da muri di prati verdi
Nel tormento dei rami degli ulivi
Un sorso di vinsanto
Fra le colline della vendemmia
E ancora il fumo leggero che
Esce dalle narici umide
Malinconico abbandono della carne
Annebbia lo sguardo assonnato
E penetra come la pioggia
Di primavera
Discreta
Allegra e impertinente
Adagio
Fino dentro l’anima
Dove Porta
Dove porta questa strada
Ancora lucida dell’ultima pioggia
Geometrie scolpite dagli uomini
Dei bisonti
Dei bufali
E dei cani delle favole indiane
Nelle praterie dei pionieri
Grandi come il mare
Corsie veloci disegnate verso l’orizzonte
Occorre chiederlo a questi
Caldi raggi di sole
Che si insinuano fra le nuvole
Grigie di questa tempestosa giornata
D’estate
Esistono forse altri mondi
Senza linee sottili che tracciano la rotta
Dello stupore della gente
Altre vite oltre le nostre
Diverse
Altri sogni
Forse oltre gli oceani
Navigano vascelli alati
Pieni di angeli
Verso la luce abbagliante di astri sconosciuti
Nel regno fantastico di lontani pianeti
Qui sono rimasti
I brividi antichi delle passioni
Il seme maledetto degli odi
L’onta degli egoismi
La piaga delle persecuzioni
Il bagliore assurdo delle guerre
Qualche scampolo di pace
Un momento di pietà
Nel sonno di secoli
Dove porta questa strada
Ancora lucida dell’ultima pioggia
Libro Aperto
La sottile
Insistente brezza del crepuscolo
Sfoglia adagio
Questo mio libro aperto
Antiche paure di streghe
Negli anfratti nascosti
Della baia
Una barca ondeggia dietro il molo
Il segno divino dell’orizzonte
Adagiato fra nuvole e mare
Negli ultimi raggi di questo tramonto dorato
Passioni vive ancora scolpite
Nel profondo dell’anima
Impetuose tempeste mai sedate
Incubi di notti buie e solitarie
Trascorse in attesa di quel sogno
Echi di antiche cantilene
Rime cadute nell’oblio
Fiabe del racconto bambino
Germogli di valli inondate di sole
Lampi di dolci melodie
Scritte sul pentagramma dei sensi
Fiori colorati di gioia cristallina
Prati ancora gonfi di rugiada
Sorgenti lucenti fra rocce inviolate
Infinita sequenza di ombre delicate e solenni
Allineate nella notte dalla luna
Pagine affollate di tenue malinconia
Intrise della speranza degli uomini
Forse è tardi per riempirle
Ora
Di frammenti di vita
Zingari
Forse la sorte mi portò
In quel campo fuori dalle case
Della periferia
Qualche bambino attorno a pozzanghere
Grigie troppo grandi per asciugare al timido
Sole di quel mattino di primavera
Restano nei miei occhi quegli sguardi
Pungenti
Affilati come lance
Curiosi e insieme
Indifferenti
Che ti penetrano addosso
E lasciano il segno
Pareva non ci fosse nessun altro in vista
Tre gatti siamesi accucciati sulla scala
Davanti ad una roulotte semiaperta
Qualche automobile scomposta
Imbrattata di fango
L’odore acre di vecchia cucina
Un po’ di legna accatastata contro
Un muricciolo sbrecciato
Qualche fiore colorato sugli alberi
La traccia di un fuoco spento
Da poco
Stracci appesi ad un filo
Frammenti di anime assenti
Lontani
Fantasmi girovaghi
Poi l’eco distante
Di una cantilena mesta
Sembrava quasi il lamento di una donna
Forse il ritmo di una danza gitana
Ricordo che mi allontanai in fretta
Non sopportavo di udire quella voce
Di vedere i bambini
E la luce diffusa del campo
Segni sfuocati di vita randagia
Non volevo sentire quegli strani sospiri
Oltre le ultime case
Appena fuori dalla città
Amore
Non so definire
Questo supremo
Delicato
Momento d’infinito
Disegnare i colori lucenti di questo
Eterno
Fragile
Effimero
Frivolo
Fugace
Capriccio
Pieno di futili menzogne
Sono sempre giunto
Al cospetto dell’amore
Dimentico di me stesso
Trascinato da un
Richiamo antico e solenne
Come fosse tutta la vita
Curioso
Appassionato
Entusiasta
Avvinto
Sono tornato a casa
Più volte deluso
Frustrato
Avvilito
Una volta volevo solo giocare
Sfiorare la pelle di quella donna
Con le mie mani tremanti
Con le mie labbra
Sentire il profumo dei capelli
Perdermi nel profondo
Di un lungo bacio
Finire addormentato sul suo seno
Gonfio di vanità assurda
Ma
Più le toccavo il corpo
Più vibrava la mia passione
Più mi prendeva l’anima
E ancora oggi ricordo
Insieme al suo nome
Quegli occhi lucidi
Quella voce sottile
Quel tenero sorriso
E il calore di quella dolce
Insistente carezza
La Fine
Spesso ho bussato alla porta
dell’infinito
come fosse l’ultimo giorno
nessuno che mi chiedesse il nome
nessuno che cercasse di me
di tutto quel chiasso
giù in terra
neanche una lontana eco
di tutta la mia storia
non una traccia
visibile
della mia casa
della mia gente
del mio mare
dei miei boschi
delle mie montagne
dei lampi
dei tuoni
dei secoli passati
del torrente impetuoso
che agitava il mio cammino verso
la verde valle del sogno
solo la schiuma lucente di un’onda
disegnata dalla tempesta dell’oceano
un piccolo grano uguale della sabbia
della battigia
ho sempre cercato
fino alla fine
il senso di tutti i desideri del mondo
che mi parevano approdi sicuri
infiammati dalle passioni
solo una molecola fra tante
disordinate
disobbedienti
ostinate
vedevo
all’orizzonte
una luce insistente
diversa dai tramonti dorati
della spensieratezza adolescente
sempre più lontana
più tersa
più diffusa
più tenue
più grande
più divina
a poco a poco
poi
anch’io dimenticavo
quasi non li avessi mai avuti
il mio corpo
la mia mente
i miei pensieri
e portavo
l’anima
unico trofeo rimasto di me
a confondersi soave
maestoso
nel magico
avvincente
mistero del nulla
Grazie per aver
partecipato!
Volafarfalla
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