Spesso mi
chiedo cosa vuol dire al giorno d’oggi essere donna.
Il primo istinto che ho è rispondere con parole come
emancipazione,
libertà, pari diritti e pensare a quanto sono fortunate le donne
del XX secolo, ormai affermate in tutti i settori del mondo del
lavoro e
della vita sociale, a quanto la loro condizione sia diversa dalla
condizione
femminile del passato, quando esistevano donne operaie sottopagate
e
maltrattate nelle fabbriche, donne prive del diritto di voto,
donne schiave
all’interno della famiglia, donne vittime di altre atrocità che ho
avuto
la fortuna di non vedere. Ma, se solo mi fermo un attimo a
pensare, mi accorgo
che purtroppo non tutte le donne godono questa nuova condizione.
Sulle pagine dei giornali, nelle aperture dei notiziari vengono
spesso nominati
decine di posti in cui dignità, parità ed emancipazione sono per
le donne meno
che un’utopia, posti nei quali ogni giorno i principali diritti
umani sono calpestati.
E non è
qualcosa di astratto, una frase ad effetto per le prime pagine,
perché ogni volta che i diritti fondamentali di un uomo vengono
calpestati,
una vita umana è inondata di vera sofferenza.
Vera sofferenza è sicuramente quella delle donne afghane, le donne
di Kabul
protagoniste dello scorso 8 marzo 1998. O meglio, protagonista è
stato quel
che resta delle afghane, i lo occhi affranti che si intravedono
dal burka,
il mantello che copre dalla testa ai piedi ogni essere femminile
dai 9 anni in su,
la loro voce che ormai è meno che un sussurro.
Per i talebani sono solo 2 i posti adatti a una donna: la casa di
suo marito e la tomba.
In condizioni del genere penso che sceglierei la seconda
alternativa,
ma un suicidio di massa non è certo la cosa migliore per le
afghane.
Ancora a dire la verità non si sa quale sia la “cosa migliore”,
non lo sa l’ONU, non lo sa Amnesty International, non lo sa
proprio nessuno
L’unica cosa di cui si è certi è che non si può andare avanti
così.
Dopo anni e anni di lotte per i diritti dell’uomo e per la libertà
non si può
lasciare che vicende così sconcertanti accadano.
E purtroppo l’Afghanistan non è un caso isolato:
- in Arabia Saudita le donne hanno diritti limitati, tanto da non
poter
uscire se non accompagnate da un parente stretto;
-in Africa ogni anno 2 milioni di ragazze devono subire l’infibulazione
e sono ancora ridotte in schiavitù;
- in Asia la donna senza dote viene uccisa dal marito; in tutto il
modo milioni
di donne vengono perseguitate, violentate e picchiate tanto che la
violenza
maschile è la principale causa di mortalità per le donne tra i 18
e i 44 anni.
Sembra una galleria degli orrori ma è solo la realtà di un mondo
nel quale,
per quanto si possa cercare di ragionare, per quanto si possa
cercare di lottare
per ciò che è giusto, la violenza, l’odio l’irrazionalità sembrano
farla da padroni.
Per trovarne conferma basta semplicemente confrontare le
situazioni che ho sopra
citato con alcuni degli articoli della... Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’uomo.
-Art. 3: ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla
sicurezza.
Ma che libertà hanno le afghane se non possono nemmeno mostrare il
proprio volto?
-Art. 4: nessun individuo potrà essere tenuto in stato di
schiavitù e servitù.
Andate a dirlo a tutte le donne africane che sono costrette a
passare la
loro vita servendo il padrone .
-Art. 5: nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a
trattamenti
o a punizioni crudeli, inumani o degradanti.
Ma allora perché esistono ancora l’infibulazione, le fustigazioni,
le mutilazioni?
Perché non si riesce a vivere in pace nel rispetto reciproco?
Non sarebbe la cosa migliore per tutti?
Sicuramente sì, ma visto quello che accade molti non sono di
questo avviso.
E intanto cosa si può fare? Di sicuro non aspettare con le mani in
mano
finché le menti di questi uomini non ricevano un’improvvisa
illuminazione,
bisogna impegnarsi attivamente perché le cose cambino,
anche se è più facile a dirsi che a farsi.