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Sul Museo delle Navi e il porto di Traiano
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Parcheggiare all’aeroporto di Fiumicino è difficile o
costoso ma esiste un parcheggio gratuito dove si trova sempre posto, quello
adiacente al Museo delle Navi Romane. Il piccolo museo ha come ospiti d’onore
cinque relitti di imbarcazioni, datati tra il II e il V secolo d.C., rinvenuti
tra il 1958 e il 1965 durante i lavori di costruzione dell’aeroporto “Leonardo
Da Vinci”.
La collocazione dell’edificio è piuttosto insolita:
se non si dispone di un’auto è
difficilmente raggiungibile dai terminal aeroportuali e quindi non può
essere considerato un’attrazione per i passeggeri in transito; nello stesso
tempo il museo è lontano dai percorsi in genere seguiti dai turisti che
visitano la capitale e inoltre, pur essendo nei pressi della zona di
ritrovamento dei reperti lì conservati, non si può certo parlare di
contestualizzazione dei reperti stessi a causa dello stravolgimento provocato
delle strutture aeroportuali nell’area circostante.
Il fatto è che dopo il loro ritrovamento, a causa della loro fragilità, le preziose navi furono alloggiate in un capannone che garantiva una protezione solo parziale. Fu un ingegnere impegnato nella costruzione delle piste, ma anche appassionato di archeologia e che si era già adoperato per la ricerca e la conservazione dei relitti, che elaborò e donò ai ministero dei Beni Culturali un progetto affinché quel capannone acquisisse caratteristiche più adeguate e durature. L’entusiasmo dell’allora ispettrice alla Sovrintendenza di Roma riuscì a coagulare forze ed energie che portarono nel 1979 all’inaugurazione dell’attuale Museo delle Navi Romane. Oggi, dispiegata finalmente la storia che le cinque navi lì conservate e restaurate ci raccontano, questa è descritta al pubblico da guide, da depliant e da tabelloni informativi che sono stati tutti recentemente aggiornati. Si sta inoltre cercando il modo per consentire anche ai passeggeri di raggiungere e visitare il museo dall’aeroporto.
Dal Museo delle Navi partono le visite guidate
all’area archeologica del porto di Traiano e della città di Portus, comprese
tra il “Leonardo Da Vinci” e la Via Portuense.
Il porto, inaugurato nel 112 d.C., è caratterizzato
da uno spettacolare bacino esagonale di 358 m. di lato, scavato nella
terraferma, che era in grado di ospitare più di 200 navi di grande
tonnellaggio, navi addette principalmente ai rifornimenti della città di Roma.
Il bacino, ancora colmo d’acqua e perfettamente riconoscibile, è circondato
dagli imponenti resti delle costruzioni dedicate alle attività portuali: canali,
dogana, magazzini, officine, terme e l’elegante Palazzo Imperiale.
Quasi tutta l’area archeologica era parte del parco
connesso alla Villa Torlonia che affaccia sul porto. La famiglia Torlonia
eseguì scavi più o meno sistematici dall’800 all’ultima bonifica del 1920,
raccogliendo preziosi reperti soprattutto statuari, conservati poi nel museo di
famiglia, aperto al pubblico solo nel 1997.
Negli anni ’80 si arrivò ad un accordo tra la proprietà
e la Sovrintendenza che prevedeva la progressiva acquisizione dell’area
archeologica da parte del Demanio. La zona che oggi possiamo visitare ne
rappresenta il primo comparto. Purtroppo, dopo questo primo passo nella
direzione giusta, la famiglia Sforza Cesarini, succeduta nella proprietà alla
famiglia Torlonia, attraverso le società controllate che gestiscono questa
fetta del suo patrimonio decise di non dare seguito a quell’accordo. La
Sovrintendenza ai Beni Culturali, ricorrendo presso la magistratura, riuscì ad
avere una prima sentenza a suo favore che le consentì di accedere al bacino ma,
dopo soli sei mesi, la Cassazione riconobbe un errore procedurale in quella
sentenza e dispose la restituzione dell’area alla potente famiglia (che chiese
anche un indennizzo plurimiliardario per supposti danni arrecati dagli
studiosi). Così oggi il Porto di Traiano, che appare come un vasto lago ricco
di uccelli, circondato da una macchia spettacolare, è visibile solo dall’alto o
attraverso una rete che ne preclude ogni ulteriore godimento, mentre una strada
battuta che circonda il bacino spezza la relazione originale tra le antiche
infrastrutture portuali e il bacino stesso.
Torna in mente una targa marmorea sulle mura di cinta
del borgo di Ostia Antica, datata 1904, che, nel ricordare l’opera degli operai
romagnoli per la bonifica, specifica con parole inequivoche le condizioni nelle
quali quei lavoratori trovarono la zona e l’atteggiamento dei potenti di
allora, atteggiamento per alcuni aspetti non diverso da quello dei potenti di
oggi:
PANE E LAVORO
GRIDANDO
………
QUA TRASSERO
PER RESTITUIRE A LA CULTURA A L'IGENE A LA CIVILTÀ NOVA
LE ZOLLE CHE L'ANTICA CIVILTÀ SEMINÒ DI RUDERI
ED IGNAVIA DI PRINCIPI E DI PRELATI
ED INERZIA COLPEVOLE DI GOVERNI
E LA MALARIA OMICIDA
LUNGO I SECOLI
ABBANDONÒ.
Oggi, dopo un impegnativo lavoro di recupero archeologico e di riordinamento del verde, sembra siamo alla vigilia della regolare apertura al pubblico della parte del sito archeologico restituita alla collettività. L’accoglienza anche via mare, i servizi e le infrastrutture sono già pronti. Continuano nel frattempo sofisticati rilevamenti per definire l’estensione e le caratteristiche della città ancora sepolta.