Patti Smith - Trampin’
Di Fabrizio Roych
Come un Joe Strummer, la sacerdotessa, l’oracolo, la sibilla è cambiata.
E’ passata attraverso tragedie personali, che ne hanno scosso il talento. Da
proto punk al rock, al soul, al folk. Americana anzitutto, con la stessa figura
nodosa di un tempo, e una sporcizia nello sguardo che non è più punk né
rivoluzione, quelli erano altri tempi. Questi invece non sono i tempi di Patti
Smith, e lo confessa già con la musica. Ma nella ricerca della sua America, con
base a New York ma capace di trasferte nel territorio, alla ricerca
dell’autentico e del basilare, spoglia, mentre dietro la trasandatezza vera
canta nuova musica, ogni tanto ritorna ai suoi salmi di un tempo. Diversi da
quelli, ma la famiglia è la stessa, e vengono i brividi. Anche chi l’avrebbe
voluta muta, in attesa della morte e della santificazione (beata e santino lo è
già), anche per loro vale la pena sopportare cosa c’è di diverso, per
risperimentare la ferocia scomposta o metodica della vecchia Patti
Smith. I nove minuti di “Gandhi” e i dodici minuti di “Radio Baghdad”, e si
capisce con chi si ha a che fare. Ricordi d’altri tempi, per musica ma non
solo. La signora Smith salta fra gli stili americani, dagli spiritual al folk, e
anche al pop meno interessante. L’impegno fa la differenza, la voglia di
schierarsi estrema e profonda, e forse di nicchia. Ma è pur sempre la poetessa,
e in queste due canzoni l’impegno salta fuori libero e storto, bello e
imperfetto. “Cartwheels” e una ruvida “My Blakean Year” ritornano alla
forma canzone, e per chi non vuole inni a tutti i costi è da vera
soddisfazione. Si parla di belle canzoni, e di un percorso musicale ricco e nei
limiti attuale. L’inizio farebbe pensare al tracollo, a un altro “Gung Ho”
(2000), ma da un’insopportabile “Jubilee” ci si risolleva di buon passo
con “Mother Rose” e “Stride of the Mind”. Canzoni di sussistenza, prima
che “Trampin’” decolli, e si stacchi dal solito. Piazzato nella produzione
attuale, un disco così risalta, e vi si apprezza la formula rara di una musica
giovane ma non di tendenza, come il frutto fresco della vecchia pianta. Nuovo ma
estraneo agli altri, piccolo ma diverso, e particolare. La vendemmia non passa
per quella vite, ma senza, la vigna non sarebbe la stessa. L’album, il primo per la Sony dopo anni di Arista, è ben confezionato,
curato, di classe senza essere un cofanetto da vecchia gloria. Patti Smith però
è una vecchia gloria, è come Bob Dylan o Robert Wyatt, per citare altre due
querce monumentali, che ancora fanno sughero. Di rinnovarsi non glielo chiede
nessuno, la storia l’hanno già fatta, a fare altri dischi c’è solo da
rischiare. Ma non è questa la via. “Trampin’” è il bel prodotto di una
carriera che ora si accetta, che può camminare e non marciare, che basta a se
stessa. Non è andata così bene a tutti i suoi coetanei, magari ridotti a
(lucrose!) macchine da concerto. Un “Trampin’ tour” invece non sarebbe
solo la scusa per tornare ad ascoltare “Because the Night”, anche se è
quella che tutti aspetteranno.
Il secondo capitolo
di “Radio Ethiopia” riflettendo sulla tragedia di Baghdad
Columbia
«««««
In
trent’anni, Patti Smith ha inciso solo nove album; ha taciuto quando ha deciso
che il suo mestiere non era più quello della “rockeuse”, è tornata quando
la vita l’ha richimata alle sue responsabilità, vedova (del leggendario Fred
“Sonic” Smith degli MC5) e con due figli da crescere.
Sedotta
dal potere mediatico della canzone e indifferente alle tentazioni dello show
business, Patti Smith incide quel che vuole quando vuole. Trampin’ è il primo
disco pubblicato dalla Columbia e il migliore dai tempi di Dream of life (1988).
Le undici
canzoni sono costruite con i materiali prediletti dall’artista: rock, poesi e
preghiera. Accompagnata da Lenny Kaye, Jay Dee Daugherty (membri originari del
Patti Smith group), Tony Shanahan e dal giovane compagno Oliver Ray, Patti Smith
riscopre il potere taumaturgico della parola in musica. Jubilee, con la chitarra
scardinata di Lenny Kaye, sembra uscita dalle religiose pagine di Easter. Mother
Rose e Treaspasses sono più tenere di Kimberly. Stride of the mind ha la forza
di Till Victory. Cartwheels è musica e poesia fuse in una ninna nanna che si
allarga in un crescendo incontenibile. Gandhi e Radio Baghdad sono due affreschi
grandiosi: il primo, scandito da una voce alla Dylan e recitato alla Birdland,
celebra il martire della pace; il secondo, poema rock in 12 minuti, grida contro
le guerre distruttrici di civiltà. Alla fine il furore si stempera nella
preghiera di Trampin’ (con la figlia Jesse al pianoforte), gospel del
repertorio del grande contralto afroamericano Marian Anderson. Il secondo
capitolo di Radio Ethiopia è scritto.
Giuseppe
Videtti
Patti
Smith Gets Rejuvenated
Punk poet's new album due in April
|
"It covers our
particular waterfront," says Patti Smith guitarist Lenny Kaye of the
poet-singer's new album, "in that we never shied away from song form, and
we've never been bound by it. We can play any kind of music, from the Shirelles
to John Coltrane."
The as-yet-untitled record -- Smith's first studio
effort since 2000's Gung Ho and her debut for the Columbia label after
nearly three decades with Arista -- includes, as Kaye puts it, "pretty
songs, hard rock songs and what we call 'feels,' a kind of motif with no easy
distinction between verse and chorus. This is a band that enjoys a good hit
single, but we also like to move into the strange, unforeseen waters of free
improvisation. Basically, once Patti gets the theme of a song, once she finds
the vocal or poetic key into it, we start wandering with her and see where it
takes us. And we always want to take the road less traveled."
The album -- which will be released in April -- features eleven songs,
all new originals, including a piece that features Smith's daughter Jesse at the
piano. Kaye describes another number, "Stride of the Mind," as "floating
on a
Smith, Kaye, guitarist Oliver Ray, bassist Tony Shanahan and drummer Jay
Dee Daugherty started rehearsals for the album last February. Although Smith has
been recording and touring with that lineup for nearly a decade -- her classic
Seventies band with Kaye, Daugherty, Ivan Kral and Richard Sohl lasted only half
that long -- Kaye says that those initial sessions were held "to determine
whether we had a future. Our heritage is honorable [a reference to Smith's
acclaimed Seventies albums, such as Horses and Wave. We didn't
want to drag it through the mud.
"But she felt rejuvenated," Kaye says of Smith. "She loves
to do new work." By April, the new songs were taking shape. After touring
Kaye, who has played guitar for Smith since the early Seventies, believes
that she hasn't changed that much as a songwriter and record maker. "She
leads with her intuition," he claims. "The difference now is, she
knows how to get where she's going a lot easier. At one time, we would spend six
months playing a song live, like 'Free Money' [on Horses]. It was just
three chords endlessly repeated, but a song slowly appeared out of it. Now, we
understand how to get the preliminary shaping a lot quicker.
"But I also feel," Kaye adds, "that on this record, Patti's
confidence and maturity as a performer are at the forefront. There are vocal
performances here -- and this is coming from somebody who has watched her sing
for three decades -- that she's never come close to having on record before.
Maybe she'd get them on the odd night in some Midwestern town, far from any tape
machine. But there are things that happened on this record that raised the hairs
on my arm."
DAVID FRICKE
(December 29, 2003)
Neapolis '03: uno scambio di visite che resterà nella storia
Bagnoli,
luglio 2003: la storia del rock è passata di qui, con la reciproca ospitalità
che R.E.M. e Patti Smith si sono scambiati sul palco regalando emozioni a non
finire. Si comincia con l'affollatissimo concerto dei tre di Athens (20.000
persone), preceduti dai Feeder e dagli Sparklehorse. La band parte con Begin
the begin, ma ha in serbo molte altre sorprese, come una serie di brani rari
richiesti espressamente dai fan italiani sul sito de gruppo. Loro
rispondono alle richieste ed ecco Gardening
at night, Country Feedback e una
Talk About the passion da brividi, con Stipe che introduce così “ Una
canzone che non suoniamo da tanto tempo. Stasera la facciamo per la prima volta
in questa terra: è stata scritta 22 anni fa.” C’è spazio anche per i due
inediti del best of: la spigolosa Animal
e Bad dayuna
social-ballad dal sapore dilaniano. Ma i momenti più intensi sono altri: Maps
And Legends, The
one I love, Daysleeper,
Orange Crush
, Losing my
religion. A chiudere una Man
on the Moon che vede saltare e cantare in coro tutti i 20.000 presenti. Dopo
i primi tre bis, Everybody
Hurts, She just wants to be, e Imitation
of life, Micheal prende fiato, si volta verso il backstage, sorride e
annuncia: “Ladies and Gentlemen, Patti Smith!” Partono le prime note di Is
the end of the world, in una versione lunghissima e fiammeggiante, in cui
Patti canta con Micheal, balla, poi afferra la chitarra e fa sgorgare la sua più
sanguigna anima rock, fra distorsioni e feedback. La sera successiva introdotta
dai set di Paola Turci e Carmen Consoli, Patti Smith propone una scaletta ben
fornita dei brani più datati e amati dal pubblico italiano. Così Redondo
beach, Free
money, Ask
the angels, risvegliano vecchie emozioni. Frederick
è un po’ levigata e Dancing
Barefoot “solo” una bella canzone. Con Pissing
in a river e Because
the night la temperatura sale e quando sul palco si materializza Micheal
Stipe, seguito da Mills e Buck, è l’apoteosi: i R.E.M. hanno ricambiato
la visita. Patti, con la maglietta e la bandiera della pace, invita a continuare
ovunque la lotta contro Bush, mentre parte una tesissima People
have the power. Poi siede al piano e introduce Gloria,
brano che sale in un crescendo irresistibile. Sul pasco e sotto l’entusiasmo
è alle stelle: Buck e Mills sono scatenati e Stipe danza con le sue
inconfondibili movenze fino all’ultimo istante. Di nuovo tutti insieme per We
three seguita da una dedica “all’uomo che ha il coraggio di parlare di
pace anche a Bush. This song is for you Papa.” Rock
& roll nigger dedicata al Papa? Perplessità. Ma ogni riflessione è
spazzata via dall’energia di una cavalcata entusiasmante, con Stipe a torso
nudo che si mette a suonari il clarinetto di Patti. Poi, una cascata di petali
di fiori, lanciata da Patti sul pubblico: è l’ultimo saluto, l’ultimo
ringraziamento alla gente che l’ha accolta con tanto calore.
James Brown a Umbria Jazz, tre date per i
R.E.M.
a Roma arrivano Chick Corea, Keith Jarrett, Gil e Bethania
Lou Reed e Patti Smith
storie di rock e poesia
CANZONI,
poesie e storie di New York. A cantarle e raccontarle Lou Reed e Patti Smith, in
Italia per un breve tour. "Gli italiani e i newyorchesi vanno sempre
d'accordo" ha detto Lou Reed nel maggio scorso, in occasione
dell'uscita della raccolta NYC Man, un doppio cd antologico con 31 brani
scelti dall'artista che riattraversano quarant'anni di carriera. Un viaggio tra
vecchi e nuovi brani che sarà proposto anche dal vivo, nella tournée italiana
che lo porterà venerdì 18 al teatro del Vittoriale a Gardone Riviera
(Brescia), sabato 19 a Pisa, il 21 a Cosenza, il 22 a Otranto, il 24 a Roma, il
25 a Fano e il 27 al Porto Vecchio di Olbia.
A seguire, sarà la volta di Patti Smith, anche lei in Italia per un tour
dopo l'uscita dell'antologia Land 1975-2002 che raccoglie inediti,
classici del suo repertorio, pezzi live e altre rarità. Patti Smith sarà il 22
alla Festa dell'Unità di Correggio (Re), il 23 a Gardone Riviera, il 25 a
Napoli (in una serata che prevede anche Carmen Consoli e Paola Turci), il 26 a
Cuneo, il 27 al Porto Antico di Genova dove chiuderà la rassegna "Just
like a woman 2003", il 29 a Olbia. Anche Laurie Anderson è in Italia per
una serie di concerti (senza il compagno Lou Reed), per presentare "Songs
and stories: a retrospective evening". Venerdì 18 a Parma, sabato 19 a
Cesena, il 20 a Pescara.
Domenica 20 luglio Genova ricorderà Carlo Giuliani con un concerto gratuito a
piazza del Mare. La serata musicale chiuderà una settimana di iniziative con
incontri, dibattiti, mostre. La giornata di domenica inizierà alle dieci del
mattino con il presidio in piazza Alimonda Per non dimenticarlo, che andrà
avanti fino al pomeriggio accompagnato da vari gruppi musicali. Alle 18.30 dalla
piazza partirà il corteo fino alla Fiera di Genova dove si terrà, alle 21, il
grande concerto con Alessio Lega, Les Anarchistes, Assalti Frontali, Punkreas,
Meganoidi, Casa del Vento, Modena City Ramblers.
Saranno invece i PGR
(Per Grazia Ricevuta) di Giovanni Lindo Ferretti e Franco Battiato
ad aprire questa sera a Pisa, in piazza dei Cavalieri, la rassegna Metarock.
Sempre stasera, ma sul palco allestito sulla spiaggia dei Bagni Imperiali di
Tirrenia, ci saranno gli spagnoli Ska-P e i Meganoidi. Venerdì 18 sarà la
volta di Paolo Conte a Viareggio, sabato Lou Reed a Pisa, e domenica
festa reggae in spiaggia con Shaggy, Africa Unite e Morgan Heritage a Tirrenia.
Prima del Metarock, Shaggy si esibirà a Roma giovedì 17 (a Fiesta),
venerdì 18 a Cagliari presso il Molo Ichnusa, sabato 19 ad Alghero e il 22
luglio sarà ospite del Giffoni Music Concept, la parte musicale del Festival
del Cinema per ragazzi di Giffoni.
Torna anche James Brown con la sua grande orchestra per un breve tour in
cui, oltre agli immancabili classici, da "I got you (I feel good)" a
"Sex machine", presenterà in anteprima il nuovo disco, che farà da
colonna sonora al nuovo "Rocky" di Sylvester Stallone. Prima tappa a Umbria
Jazz, sabato 19 a Perugia, domenica a Roma (al Centrale del Tennis),
quindi a Napoli il 22 luglio, a Barletta il 23, Caldiero di Verona il 25,
Alghero il 26, Catania il 28 e Palermo il 29.
Continua la stagione musicale a Fiesta, la manifestazione dell'estate romana che
vedrà sul palco allestito all'Ippodromo delle Capannelle venerdì 18 Cesare
Cremonini, sabato 19 Articolo 31, mercoledì 23 Elio e le Storie
Tese. Sempre a Roma, ma al Centrale del Tennis, stasera Earth, Wind &
Fire Experience, una carrellata degli hit della band riproposti dall'autore
e chitarrista del gruppo Al McKay, accompagnato da una formazione all-stars di
Los Angeles.
Venerdì 18, ancora al Centrale del Tennis, sarà la volta del pianista Chick
Corea. Sabato 19 a Villa Celimontana, nell'ambito di Jazz & Image, ci
saranno Kool & The Gang, domenica a La Palma Joe Jackson Band.
Lunedì 21 nel Parco della Musica arrivano Gilberto
Gil & Maria
Bethania (sorella di Caetano
Veloso, che sarà invece nella capitale giovedì 24 con un concerto
gratuito a Piazza del Popolo) e martedì 22 l'atteso trio Keith
Jarrett, Gary Peacock & Jack DeJonhette.
Tre date per i R.E.M. che saranno martedì 22 a Padova, mercoledì 23 ad
Ancona e giovedì 24 a Napoli. Per il concerto nell'ex Italsider di Bagnoli,
grazie alla collaborazione tra il sito del fan
club ufficiale e Neapolis Festival, è stata creata una "Zona
Riservata ai Fan" proprio sotto il palco. E ancora, recandosi sul sito
del gruppo su "setlists" sarà possibile suggerire la
scaletta ideale. Infine, ancora un'iniziativa del Neapolis Festival in
collaborazione con Fnac: fino al 25 luglio, chiunque acquisti nel negozio di via
Luca Giordano due cd di uno degli artisti ospitati dalla rassegna di Bagnoli,
riceverà in omaggio un biglietto per uno dei concerti del Festival. Sono a
disposizione 74 biglietti suddivisi tra R.E.M. e il "trio" formato da
Carmen Consoli, Paola Turci e Patti Smith, in programma per venerdì 25 luglio.
(17
luglio 2003)
Dancing
Barefoot
Ho
scritto le parole di Dancing Barefoot alla fine del 1978 ed è stata registrata
per essere inserita nel disco Wave
nel 1979. La musica è scaturita da alcune idee che Ivan Kral ha inciso su una
cassetta che mi ha poi consegnato, ci aveva scritto sopra “Rock e Reggae”.
La musica che si è trasformata in Dancing Barefoot ha origine da un riff di
chitarra acustica che ha scritto e sviluppato con un gruppo.
Avevo
in mente di scrivere una canzone che si sviluppasse su vari livelli, l’amore
di un essere umano per un altro e l’amore del creatore. Quindi in un certo
senso, la canzone si riferisce sia all’amore fisico che a quello spirituale.
In verità ho sempre immaginato Jim Morrison cantarla, con il risultato che
l’ho cantata e registrata in un registro vocale più basso. Volevo che i versi
avessero un richiamo maschile e il coro un richiamo femminile.
Il
nostro produttore, Todd Rundgren, ha avuto una forte influenza sul suono della
chitarra e della tastiera di Richard Sohl'Äôs. Todd ha anche scritto ed
interpretato la parte del basso. La canzone era molto popolare in Europa e in
America, ma nel 1979 era considerata troppo provocante per le radio americane.
Ci
furono delle obiezioni anche sull’uso della parola eroina, che ovviamente è
usato nel contesto della canzone come femminile di eroe. Mi fu suggerito di
cambiare la parola eroina e di consultare il dizionario per un sinonimo. Sono
felice della mia decisione di aver lasciato intatta la canzone.
Dancing
Barefoot è stata registrata da diversi gruppi, rimane una delle nostre canzoni
più famose e fu votata come la mia canzone #1 dalla gente. Per questo motivo si
è meritata il posto di canzone d’apertura di Land 1975-2002. la
interpreteremo al David Letterman Show,
Patti Smith
La
sacerdotessa della new wave
Ha
ancora voglia di lottare, Patti Smith (1946, USA). Non si è persa d'animo per i
flop dei suoi ultimi dischi ed è tornata a graffiare. Al grido di Gung Ho,
il nuovo album. "È una espressione cinese, che indica proprio la voglia di
continuare a combattere con entusiasmo. È lo spirito dell'album: voglio
chiudere questo secolo e affrontare il nuovo con un'energia positiva". Ma
"Ho" è anche un omaggio a Ho Chi Minh; mentre il ricordo del padre,
Grant Smith, è affidato alla foto di copertina, che lo ritrae soldato durante
la Seconda guerra mondiale. "Gung Ho" viaggia nel solco di un rock
classico. E vibra, a tratti, di echi degli anni d'oro, grazie anche alle
chitarre virtuose di Tom Verlaine
(ex-leader dei Television) e Lenny Kaye (colonna storica del Patti Smith Group).
"One voice" (in memoria di Madre Teresa), la struggente "China
bird" e "Glitter in their eyes" (con Michael Stipe al controcanto)
i pezzi più suggestivi.
Patti
generation
Segnali di ripresa erano venuti già dalla scorsa estate, quando Patti Smith era
tornata a esibirsi in Italia. "Sei sempre dei nostri", le ha gridato
una spettatrice durante il concerto a Ostia antica. "You're one of us",
ha tradotto un altro. Lei ha sorriso, un po' perplessa. Ma chi sono "i
nostri"? Sono un'intera generazione che è cresciuta con le sue canzoni,
che si è nutrita delle sue feroci invettive e della sua elegia celestiale,
delle sue liriche blasfeme ("Jesus died for somebody's sins/ but not
mine" la più celebre di "Horses") e dei suoi versi visionari,
figli della poesia beat. Una generazione fragile e scontenta, che ha trovato in
lei la sua icona.
Sacerdotessa generazionale, dunque, ma anche "guerriera" di mille
battaglie politiche. "Non ho mai pensato di essere una politica - dice - ma
ho sempre voluto comunicare qualcosa. Sono americana e amo i principi su cui si
fonda il mio Paese. Abbiamo la libertà, ma sento di avere una grande
responsabilità per questo verso il resto del mondo". Non era lei,
d'altronde, a cantare "Sono un'artista americana e non ho colpe"?
Oggi, presentando "Complete", la sua ultima raccolta di liriche e
fotografie, osserva: "Ho avuto il privilegio di crescere in un periodo di
rivoluzione culturale. E la musica ne è stata una componente. Forse non sono
stata altro che una pedina, ma sono contenta, comunque, di aver contribuito a
cambiare qualcosa".
Patti Smith è sempre stata pervasa dallo spirito dei "maudit" del
rock, da Jim Morrison a Lou Reed,
da Janis Joplin a Bob
Dylan. Quasi surreale il primo incontro con quest'ultimo, in camerino,
dopo un concerto all'Other End. "Ci sono poeti da queste parti?",
chiede Dylan. "Non mi piace
più la poesia, la poesia fa schifo", lo gela la Smith. Ma il giorno dopo
la copertina del "Village Voice" li ritrae abbracciati. E da quel
giorno Patti trova in Dylan un
amico, oltre che un maestro.
Nei
sotterranei di New York
Oggi l'esile e ossuta cantautrice americana porta addosso i segni di una vita
febbrile. I suoi capelli corvini si sono imbiancati e incorniciano un viso
sempre più spigoloso e vivo, ma meno spiritato di un tempo. Come se i due figli
e il dolore per la perdita del marito Fred "Sonic" Smith e del miglior
amico, il fotografo Robert Mapplethorpe, avessero lenito il suo fervore
allucinato. Quel fervore che segnò il suo esordio nelle cantine di New York
dove Patricia Lee Smith, originaria di Chicago ma cresciuta a Pitman (New
Jersey), approdò nel 1967.
Era già ragazza madre e scriveva poesie. Viveva anche con cinque dollari al
giorno, dormendo in metropolitana o sulle scale esterne degli edifici. Per anni
si barcamenò come commessa in un negozio di libri, critica di una rivista
musicale, drammaturga. Quindi riuscì a entrare nel giro dell'intellighenzia
newyorkese, da Andy Warhol a Sam Shepard, da Lou
Reed a Bob Dylan. "Da
bambina - racconta - non pensavo di diventare una rockstar. Sognavo di essere
una cantante d'opera. Piangevo ascoltando Maria Callas e volevo diventare come
le. Ma ero troppo magra...". Eppure la malia del rock l'aveva già presa
quando, ragazzina, ebbe la sua prima eccitazione sessuale vedendo uno show dei Rolling Stones.
La Grande Mela la stregherà per sempre, tanto da indurla a tornarvi di recente,
dopo la lunga parentesi di Detroit seguita al ritiro dalle scene nel 1980.
"New York mi affascina. Con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei
parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come
stare in una grande comunità". E a New York Patti Smith fa la sua prima
apparizione in pubblico nel 1969 (nei panni di un uomo) nella commedia
"Femme fatale". Poi, scrive testi per i Blue Oyster Cult del suo
compagno Allen Lanier, ha una relazione con Tom Verlaine dei Television di cui si invaghisce follemente (il rapporto "a
tre" con Lanier e Verlaine sarà descritto nel 1979 in "We three")
e compone le musiche per le proprie recitazioni libere, una tradizione di New
York che in lei trova un'interprete suggestiva, sostenuta dalle chitarre
inquietanti di Lanny Kaye. Ed è nei templi underground newyorkesi, come Cbgb e
Other End, che Patti Smith spopola insieme ai futuri compagni di strada: Television,
Talking Heads, Ramones,
Blondie. Il suo primo singolo, "Hey Joe/ Piss factory",
segna l'anno zero della new wave americana. Sarà Lou
Reed in persona a metterla in contatto con Clive Davis, presidente
dell'Arista, che diventerà la sua etichetta storica.
Tra
Kerouac, Rimbaud e il Dalai Lama
Agli albori del punk arriva così il primo album Horses che, tra gli
altri meriti, ha quello di folgorare sulla strada del rock Michael Stipe, futuro
leader degli Rem: "Avevo
delle schifose cuffiette graffianti dei miei genitori e un cesto di ciliegie
davanti a me. Rimasi tutta la notte ad ascoltarlo. Era come la prima volta che
uno si tuffa nell'Oceano e viene travolto da un'onda. Mi fece a pezzi. Capii da
allora che volevo diventare un cantante e devo molto a Patti anche come
performer". Già, perché dal palco Patti Smith è sempre riuscita a
magnetizzare il pubblico. "È capace di generare più intensità con un
solo movimento della mano di quella che la maggior parte degli artisti rock
saprebbero produrre nel corso di un intero concerto", scrisse Charles Shaar
Murray su "New Musical Express". "Le sue performance sono una
battaglia cosmica tra demoni e angeli", aggiunse John Rockwell sul
"New York Times". Un altro critico le paragonò alle doglie e al
parto.
I riferimenti sono i cantici incantati di Allen Ginsberg, la recitazione jazz di
Jack Kerouac, le liriche di Williams Burroughs. Ma il suo vero maestro "maudit"
è Arthur Rimbaud, "il primo poeta punk". A lui è dedicato il secondo
album, vibrante di emozioni, dalla punkeggiante "Ask the angels" alla
liturgica "Pissing in a river"; il disco si chiama Radio Ethiopia
perché l'Etiopia fu la seconda patria di Rimbaud. Ma è il mistico "Easter"
(1978), trascinato dall'hit "Because the night" (firmato con Bruce
Springsteen) e dalla mesmerica "Ghost dance" (sul dramma e la
"resurrezione" dei nativi americani, "we shall live again"),
l'album del trionfo. Un trionfo bissato solo in parte un anno dopo con Wave,
forte della psichedelica "Dancing barefoot" (ripresa di recente dagli U2)
e dell'intensa "Frederick", dedicata a Fred "Sonic", il
marito della Smith, scomparso in seguito.
Il canto di Patti Smith ha segnato un solco profondo nella storia del rock. E
non si contano nemmeno i tentativi di imitazione. "La sua voce è secca e
stridente, malata e feroce, disperata e rabbiosa, trascinante e febbrile -
scrive il critico Piero Scaruffi
-. Si sgola senza pietà, gracchia e rutta, lancia urla gutturali e acuti
selvaggi, in una specie di negazione sistematica del 'bel canto' ". Ma è
proprio questa la sua forza, la forza di una sciamana selvaggia che riesce a
elevare le parole oltre il linguaggio, grazie al potere visionario della musica.
Il suo messaggio, in realtà, è stato spesso confuso. Ha dichiarato che i suoi
tre poeti americani preferiti erano Jim Carroll, Bernadette Mayer e Mohammed Alì.
Ha proclamato migliori performer di tutti i tempi Mick Jagger, Cristo e Hitler,
per la loro capacità di trascinare le masse. Ha cercato conforto nel
Cristianesimo post-Concilio Vaticano II (Papa Luciani, il suo preferito,
appariva all'interno di "Wave") e nel Buddhismo. Ha predicato a lungo
il rock come "forma di comunicazione delle anime". E ha lanciato inni
populisti, generici, ma anche efficaci, come "People have the power"
(1988).
Oggi Patti Smith prega per il Dalai Lama (all'invasione cinese in Tibet ha
dedicato "1959", nel suo penultimo album Peace and noise). Dice
che la "crocefissione di Bill Clinton" per il caso Lewinski è stata
la crocefissione della sua generazione, quella della liberazione sessuale. E ha
scelto una filosofia positiva: "Da bambina ero così debole e malata che
non pensavo di riuscire a vivere a lungo. Oggi la mia vita è buona, malgrado i
dolori che ho dovuto superare. È stata una gran vita e sono ancora qui!". Gone
again, ritornata, cantava nel '96. Oggi la sacerdotessa del rock è tornata
ancora. E ha voglia di restare.
Arrivata
alla veneranda età di 56 anni, Patti
Smith pubblica la sua prima raccolta di successi, una antologia di
tracce, inediti, classici del suo repertorio, demo, pezzi live e altre rarità,
ribattezzata Land - 1975-2002.
Un’opera ad ampio respiro, che raccoglie brani ormai leggendari del repertorio
della "sacerdotessa del rock", da "Gloria" a "Ghost
Dance", da "Pissing in a river" a "Dancing Barefoot",
da "Ask the angels" a "Because the night", per approdare
fino ai successi più recenti: "People have the power",
"1959" e "Glitter In Their Eyes". Chiude il primo cd
l'inedita cover di "When Doves Cry" di Prince.