SOPRA IL CONFESSIONALE

 

ANDREA BELLUNELLO (Belluno 1430 circa - San Vito al Tagl. 1494)
i Ss. Pietro e Paolo. Trittico in origine su tavola, ora su tela,
dipinto a tempera (1488)
. Misure: cm 120 x 37; 130 x 53,5; 120 x 37

 

 

Andrea di Bortolotto, detto Andrea Bellunello dalla località di provenienza, nacque intorno al 1430. Nel 1455 si stabilì a San Vito al Tagliamento e da quel momento si firmò, nelle sue opere, “sanvitese”. Definito, pomposamente, “l’Apelle della sua età”, in realtà fu un artista di modeste capacità, legato ad una visione ancora gotica dell’arte (instenza grafica, figure allungate, mancanza di conoscenza delle regole prospettiche), nella quale tuttavia si inseriscono motivi squarcioneschi e mantegneschi in una aurorale luce rinascimentale. Ebbe il merito, comunque, di portare in Friuli un’arte nuova rispetto a quella locale, e di dare avvio, nel Sanvitese, ad un rinnovamento che non restò senza frutti.
Opere sue a fresco rimangono a Bagnara, Oderzo, San Vito (Duomo e Chiesa di S. Lorenzo), Prodolone, Savorgnano, Gleris, Arzenutto.
Tra le opere mobili ricordiamo la tela con la Crocifissione nel Museo di Udine (1476), il Trittico (1480) nella chiesa di S. Floriano a Forni di Sopra, suo capolavoro, ed il Trittico del 1488 conservato nel nostro Duomo. Al Bellunello si ispirarono vari pittori che operarono tra la fine del secolo XV e l’inizio del seguente, soprattutto nel Friuli occidentale e concordiese. Si stacca, tra tutti, Giovanni Pietro, figlio di Nicolò Albanese, più conosciuto come Pietro da San Vito (ca. 1470-1544). (cfr. Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, pag. 1614). Secondo alcuni (per es. Altan, Truant, Rizzi) il trittico del nostro Duomo proviene da Mansuè di Oderzo, secondo altri dalla chiesa dell’Annunziatadi San Vito, già cappella del palazzo patriarcale, dove il Cavalcaselle nel 1866 afferma di averlo visto. Il Barnaba (1901) invece sostiene che si trovava nella sagrestia del Duomo in pessimo stato di conservazione. L’opera, firmata e datata 1488, non è una delle opere migliori del Bellunello, basti paragonarla al S. Vincenzo Ferreri della chiesa di S. Lorenzo di San Vito. Essa denuncia l’avvenuta involuzione formale del maestro e mostra “un clamoroso scadimento qualitativo” (Rizzi). La visione volumetrica spaziale è compromessa dall’uso di moduli gotici, specie nella pedana del trono, dalla secchezza dei panneggi e dal ritardatario fondo d’oro, che la farebbe sembrare una icona bizantina se non fosse per il volume delle figure. Le palpebre pesanti, a pesca, la piccola bocca della Madonna e la linea marcata che circonda le figure ricordano quanto Andrea debba ai Vivarini. I colori dovevano essere molto vivi, ma ora risultano smorzati dal tempo e dai restauri. Un elemento arcaico è rappresentato dal piccolo prelato orante ai piedi della Madonna, secondo una iconografia cara ai modesti committenti friulani. Infatti in Friuli i mecenati non furono i castellani, che erano sempre impegnati in guerre, per cui si preoccupavano solamente di rafforzare il proprio castello ed avevano come unico divertimento la caccia, bensì i poveri contadini, devoti alla religione cristiana. Furono essi a porre ogni cura nella decorazione delle loro chiese, rivaleggiando con i paesi vicini su chi le avesse più belle, tanto da indebitarsi spesso gravemente per raggiungere questo scopo. Com’è logico, questi committenti non erano aperti alle novità: essi volevano santi facilmente riconoscibili e una iconografia tradizionale. Andrea Bellunello fu celebrato dai suoi contemporanei, come si può vedere dalle tante e notevoli commissioni affidategli, ma dimenticato dai posteri che, giudicandolo gotico e antico, sostituirono le sue opere con quelle di pittori a loro più congeniali, in genere “manieristi”. Ora è riscoperto dalla critica, che cerca di studiarne, con più precisione, la personalità e tenta di rivalutarlo anche in base al suo apporto alla scuola tolmezzina, che cominciò a formarsi mentre egli era all’apice della sua fama. Forse può essere considerato ancora valido il giudizio che diede di lui il Cavalcaselle (1866): “Egli rispetto ai suoi contemporanei, si può dire fosse lo stesso che i pittori della scuola di Murano di fronte agli altri di Venezia, o come il Mantegna fra i pittori della vecchia scuola dello Squarcione di Padova. Benché le opere del Bellunello abbiano i difetti e quella vecchia maniera antiquata che notammo nei pittori di Tolmezzo, pure i dipinti mostrano più vigoria
e forza e sono meno rozzamente condotti. In lui, come in quegli artisti non si palesa l’influenza oltremontana. In una parola è pittore internazionale”.

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