Andrea di Bortolotto,
detto Andrea Bellunello dalla località di provenienza, nacque intorno al
1430. Nel 1455 si stabilì a San Vito al Tagliamento e da quel momento si
firmò, nelle sue opere, “sanvitese”. Definito, pomposamente,
“l’Apelle della sua età”, in realtà fu un artista di
modeste capacità, legato ad una visione ancora gotica dell’arte
(instenza grafica, figure allungate, mancanza di conoscenza delle regole
prospettiche), nella quale tuttavia si inseriscono
motivi squarcioneschi e mantegneschi in una aurorale luce rinascimentale.
Ebbe il merito, comunque, di portare in Friuli
un’arte nuova rispetto a quella locale, e di dare avvio, nel Sanvitese,
ad un rinnovamento che non restò senza frutti.
Opere sue a fresco rimangono a Bagnara, Oderzo, San Vito (Duomo e Chiesa di
S. Lorenzo), Prodolone, Savorgnano, Gleris, Arzenutto.
Tra le opere mobili ricordiamo la tela con la Crocifissione nel Museo di Udine (1476), il Trittico (1480) nella chiesa di S.
Floriano a Forni di Sopra, suo capolavoro, ed il Trittico del 1488 conservato
nel nostro Duomo. Al Bellunello si ispirarono vari
pittori che operarono tra la fine del secolo XV e l’inizio del
seguente, soprattutto nel Friuli occidentale e concordiese. Si stacca, tra tutti, Giovanni Pietro, figlio di Nicolò Albanese, più
conosciuto come Pietro da San Vito (ca. 1470-1544). (cfr. Enciclopedia
monografica del Friuli Venezia Giulia, pag. 1614).
Secondo alcuni (per es. Altan, Truant, Rizzi) il trittico del nostro Duomo
proviene da Mansuè di Oderzo, secondo altri dalla chiesa
dell’Annunziatadi San Vito, già cappella del palazzo patriarcale, dove
il Cavalcaselle nel 1866 afferma di averlo visto. Il
Barnaba (1901) invece sostiene che si trovava nella sagrestia del
Duomo in pessimo stato di conservazione. L’opera,
firmata e datata 1488, non è una delle opere migliori del Bellunello,
basti paragonarla al S. Vincenzo Ferreri della chiesa di S. Lorenzo di San
Vito. Essa denuncia l’avvenuta involuzione formale del maestro e mostra
“un clamoroso scadimento qualitativo” (Rizzi). La visione
volumetrica spaziale è compromessa dall’uso di moduli gotici, specie
nella pedana del trono, dalla secchezza dei panneggi e dal ritardatario fondo
d’oro, che la farebbe sembrare una icona
bizantina se non fosse per il volume delle figure. Le palpebre pesanti, a
pesca, la piccola bocca della Madonna e la linea marcata che circonda le
figure ricordano quanto Andrea debba ai Vivarini. I
colori dovevano essere molto vivi, ma ora risultano
smorzati dal tempo e dai restauri. Un elemento arcaico è rappresentato dal
piccolo prelato orante ai piedi della Madonna, secondo una iconografia
cara ai modesti committenti friulani. Infatti in
Friuli i mecenati non furono i castellani, che erano sempre impegnati in
guerre, per cui si preoccupavano solamente di rafforzare il proprio castello
ed avevano come unico divertimento la caccia, bensì i poveri contadini,
devoti alla religione cristiana. Furono essi a porre ogni cura nella
decorazione delle loro chiese, rivaleggiando con i paesi vicini su chi le avesse più belle, tanto da indebitarsi spesso gravemente
per raggiungere questo scopo. Com’è logico, questi committenti non
erano aperti alle novità: essi volevano santi facilmente riconoscibili e una iconografia tradizionale. Andrea Bellunello fu
celebrato dai suoi contemporanei, come si può vedere
dalle tante e notevoli commissioni affidategli, ma dimenticato dai posteri
che, giudicandolo gotico e antico, sostituirono le sue opere con quelle di
pittori a loro più congeniali, in genere “manieristi”. Ora è
riscoperto dalla critica, che cerca di studiarne, con più precisione, la
personalità e tenta di rivalutarlo anche in base al suo apporto alla scuola
tolmezzina, che cominciò a formarsi mentre egli era all’apice della sua
fama. Forse può essere considerato ancora valido il giudizio che diede di lui
il Cavalcaselle (1866): “Egli rispetto ai suoi contemporanei, si può
dire fosse lo stesso che i pittori della scuola di
Murano di fronte agli altri di Venezia, o come il Mantegna fra i pittori
della vecchia scuola dello Squarcione di Padova. Benché le opere del
Bellunello abbiano i difetti e quella vecchia
maniera antiquata che notammo nei pittori di Tolmezzo, pure i dipinti
mostrano più vigoria
e forza e sono meno rozzamente condotti. In lui, come in
quegli artisti non si palesa l’influenza oltremontana. In una
parola è pittore internazionale”.
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