Nel 1547/48 (Metz) veniva dato l’incarico all’Amalteo di
dipingere le portelle e i riquadri ornanti il prospetto della cantoria del
nuovo organo. Non sappiamo quando fosse stato costruito questo strumento, che
aveva sostituito quello più antico ornato dalle pitture del Bellunello e di
cui ora non abbiamo che il ricordo. Il Cesarino ci dice che il nuovo
“bonissimo” organo era stato costruito da un certo Vincenzo Colombo
organaro. Esso era stato intagliato da un artista rimastoci sconosciuto, e
nell’agostodel 1548 era stato incaricato di seguire la doratura del
cassone e della cantoria Vincenzo Mioni, udinese stabilitosi da poco a San
Vito. Egli compì la sua opera poco più di due anni dopo, nel novembre del
1550. Abbiamo un’ampia documentazione sulle difficoltà avute
dall’Amalteo per iniziare e portare avanti i lavori per l’organo,
anche perché dovevano essere “di gran spesa e di gran tempo”. Nel
1558, benché se ne fosse già molto parlato e l’Amalteo avesse ricevuto
un anticipo di pagamento, egli non aveva ancora incominciato i lavori per
l’organo. Evidentemente non per causa sua, dal momento che chiede in
una seduta del Consiglio che, qualora gli “accoresse qualche caso
humano”, tanto lui che i suoi eredi non siano tenuti alla
restituzione della caparra. Finalmente nel 1559 ha inizio
l’opera, che viene portata a termine nel 1565, con generale sollievo,
anche se le rateazioni di pagamento andranno sino al 1575. Questo perché nel
frattempo l’Amalteo aveva eseguito, sempre per il duomo, un gonfalone
(perduto) e degli stucchi “stuchis positis et affixis pro
ornamento” (Metz e Goi), di cui però non sappiamo altro. A chiudere il
prospetto delle canne del nuovo organo furono poste le portelle decorate dai
dipinti a olio
dell’Amalteo raffiguranti la Lavanda dei piedi e, all’interno
delle stesse, la Samaritana al pozzo e la Maddalena ai piedi di Cristo. Nella
cantoria furono allogati i cinque pannelli ad olio di piccole proporzioni,
che narrano la storia dei santi protettori della chiesa. Quando nella metà
del Settecento il duomo fu rifatto radicalmente, l’antico strumento
musicale fu demolito e le decorazioni superstiti, secondo il gusto antiquario
del Settecento, furono poste sulle pareti laterali del presbiterio della
ricostruita chiesa parrocchiale (Altan 1753). La Lavanda dei piedi,
“rinettata indiscriminatamente”, fu appesa divisa
“vandalicamente” in due parti (Maniago 1819). Infatti ancora
all’inizio di questo secolo il quadro appariva diviso in due (Barnaba
1901) per rispetto dei supporti, ma non della composizione pittorica. In
tutta la letteratura artistica dell’Ottocento e del Novecento,
riguardante queste opere, si ha notizia di ripetuti e cattivi restauri non
meglio precisati, i primi dei quali furono eseguiti forse nella metà del
‘700 (Metz e Goi). La lettura dei dipinti era peggiorata per i deleteri
effetti del restauro eseguito da T. Donadon nel 1927, i cui guasti non erano
stati rimediati dalla sommaria ripulitura delle portelle nel 1952. Negli anni
1984-85, tutto il complesso delle opere del presbiterio è stato restaurato da
Giancarlo Magri a spese della comunità parrocchiale. Sul lato basso del
quadro, a destra, della Lavanda dei piedi si legge l’iscrizione
POMPONII AMALTHEI / ANNORUM LXI MDLXVI.
In un ampio vano del duplice colonnato si ammassano le figure del Cristo,
degli Apostoli e degli Angeli, lungo diagonali di una prospettiva di visione
dal basso, che intende tener conto della collocazione dello strumento.
“Il proposito è lodevole, ma il risultato poco felice, tanto che
l’impressione dominante è di una regia affannata e affaticata.
Stanchezze e ripieghi, imputabili soprattutto alla bottega, si notano...
nella delineazione di alcune figure” (Goi-Metz).
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