E’
provato dalle scoperte archeologiche che la “Terra di San Vito”
era popolata in epoche remotissime: San Vito avrebbe diecimila anni di storia
o comunquedi vita. Assai numerosi poi i reperti attestanti un insediamento
umano qui in epoca preromana e romana. Ciò ha fatto avanzare l’ipotesi
che il nome primitivo dell’attuale cittadina fosse disgiunto dal santo
e fossequello di Vito: in Diocesi abbiamo Vito d’Asio, che non si
chiamò mai San Vito; il santo sarebbe stato invocato con il
“battesimo” della località al sopraggiungere del cristianesimo
(anche con il cristianesimo però Vito d’Asio mantenne tale e quale il
proprio nome, scegliendosi invece come patrono S. Michele). Vito da vicus,
come appare evidente.
Oppure il santo, insieme con Modesto e Crescenzia, sarebbe stato scelto a
patrono del luogo quando, verso il Mille, si verificò una vasta diffusione
del culto verso i martiri siciliani che in Lucania, presso il fiume Sele
(come dice il Martirologi Romano), “compirono il corso del loro glorioso
combattimento”. Comunque San Vito comincia ad apparire nei documenti
con il suo nome d’oggi: 1149 (datum ad S. Vitum), 1155 (in castro S.
Viti), 1204 (in villa S. Viti), 1246 (in castro S. Viti), 1249 (in zirono S.
Viti prope turrim et castrum diruptum). I documenti sono stati raccolti e
illustrati dai due fratelli udinesi Vincenzo e Antonio Ioppi. “Adunque
- scrive il Degani (opuscolo per nozze Rota-Alessandri, 1909) - nell’
anno 1155 già esisteva il castello di S. Vito... Una torre grande e robusta
eretta di mezzo a largo girone; questo, circondato da ampia fossa con rialzi
all’intorno, presidiato da palificate alte e da grossa siepe spinata.
Lì appresso, il borgo castellano con meschini abituri, coperti di paglia o a
tavole pei servi, per i coloni, per i liberi e la Chiesa; la Chiesa edificata
con maggior cura, sovrastante agli edifici, nella quale il popolo soleva
raccogliersi per i sussidi spirituali, e per trattare degli interessi comuni,
ed ove anche le più abiette condizioni sociali trovavano la patria, spesso un
asilo sicuro e sempre un qualche sorso almeno di vera e schietta libertà e di
fratellanza cristiana”. Com’è noto, San Vito era divenuto
possesso dei Patriarchi di Aquileia nel 981 in seguito a donazione
dell’imperatore Ottone II. I suoi sviluppi ebbero inizio con i
Patriarchi Gregorio di Montelongo e Raimondo della Torre, che tra
l’altro aprirono le porte del Friuli ad operosi ed intraprendenti
elementi della Toscana, della Lombardia e del Veneto. “Nel corso del
secolo XIV, la Terra di San Vito seguì ormai la sua ascesa. La popolazione
interna e del contado si moltiplicò d’intensità; s’accrebbe il
numero degli abitanti nobili; parecchi castellani del vicinato vennero in
essa ad aprir casa; sull’esempio delle altre comunità maggiori del
Friuli, anche San Vito sviluppò meglio i suoi istituti, le sue fraterne, i
suoi privilegi, le prerogative, le forze morali ed economiche e private e
pubbliche e fu ammesso, con voce attiva, a far parte del Colloquio Generale,
o Parlamento della Patria” (Ioppi). Con l’avvento della
Repubblica Veneta San Vito non subì grave scossa, se mai ottenne dei
benefici. Nel 1567 Girolamo di Porcia così lo descriveva: “San Vido,
castello bellissimo con mura, fosse et acqua attorno, ben popolato et abitato
da diversi Castellani che vi hanno bonissime e belle case, cioè il signor
Nicolò Savorgnani, li Conti di Salvarolo, et altri Cittadini onorati: ha
bella Piazza e bella Chiesa, è posto al di là del Tagliamento verso
ponente... Monsignor Rev.mo Patriarca vi pone un suo Capitanio, il quale
assieme con due delle Nobili Famiglie, come Malacrea, Zani, Cesarini et un
del Popolo, giudicano nelle cause civili insieme; le appellazioni si
devolvono al Rev.mo Vicario Patriarcale in Udine, poi a Mons. Ill.mo
Patriarca; in criminale giudica il Consiglio, di poi vanno in appellazione a
chi da Mons. Ill.mo delegato”. San Vito appartenne alla signoria dei
Patriarchi di Aquileia dall’anno della donazione alla morte
dell’ultimo Patriarca (e primo Arcivescovo di Udine) Daniele Delfino
(1762). Ecclesiasticamente però fu sempre soggetto al Vescovo di Concordia,
dapprima come filiale della Pieve di San Giovanni di Casarsa e poi - dal
1258? - come parrocchia indipendente. Il Patriarca, almeno di nome, era
rimasto signore di San Vito (“il Patriarca padrone”, si legge in
alcuni atti del Consiglio Comunale) per la sola parte civile. Troviamo il
nome di un pre’ Corrado che si qualifica “pievano” di San
Vito nel 1258 ma, a parte l’eccessività del titolo (pievano era il
parroco di San Giovanni di Casarsa), altri documenti lascerebbero intendere
che lo smembramento dalla matrice avvenne qualche decennio più tardi.
Comunque, pievani si chiamarono anche i successori di pre’ Corrado,
anche perché in Friuli “pievan” è il titolo genericamente dato ai
parroci. Nel secolo XV al pievano subentrò una collegiata di otto cappellani,
detti ordinari, che in determinati giorni avevano l’obbligo del coro;
tra costoro venivano eletti due vicari, che si alternavano ogni settimana
nella diretta cura d’anime. Nel 1813 furono soppressi sia la collegiata
sia l’istituto dei vicari e fu ripristinato l’ufficio
dell’unico pievano, al quale il Vescovo Giuseppe Maria Bressa, con suo
decreto 27 ottobre 1813, conferiva il titolo di Arcidiacono (che ha un valore
solo onorifico) Per completezza, va detto che il 25 agosto 1909 il Sindaco di
San Vito al Tagliamento Pio Morassutti scriveva al Vescovo Francesco Isola
pregandolo di ripristinare il titolo di abate spettante al beneficiato di S.
Maria di Castello trasferendolo però all’Arcidiacono. In realtà
un’abbazia a San Vito non è mai esistita; l’abate di S.Maria di
Castello non era che un cappellano del palazzo patriarcale, così chiamato
alla moda francese.
Il
Vescovo inoltrò l’istanza alla S. Sede, accompagnandola però con un
“promemoria” in cui non faceva proprie le ragioni addotte dal
Sindaco; la S. Sede corrispose, in data 27 dicembre 1909, conferendo
all’Arcidiacono “pro tempore” di San Vito il titolo e le
insegne di Prelato Domestico di Sua Santità (ora “Prelato
d’onore”).
(A. Giacinto, Le Parrocchie della Diocesi di Concordia e Pordenone,
1977).
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