Stemma del Patriarca Daniele Delfino (sagrestia del Duomo) |
G. e G. Mattiussi: Busto Marmoreo del Patriarca Daniele Delfino (sulla facciata interna del Duomo) |
Dal
1445, però, quando San Vito tornò ai Patriarchi, questi ripetutamente
modificarono la costituzione, limitando con nuovi statuti l’autorità
dei nobili e più sovente del popolo; da qui il sorgere di diverse contese per
tutto il sec. XVI, che culminarono nell’uccisione del gastaldo
patriarcale nel 1580 (Zotti 1905). San Vito, inoltre, fu anche coinvolta
nella guerra (1508-1511) fra Venezia e l’imperatore Massimiliano
d’Austria (Menis): quando il Friuli fu interamente occupato dagli
imperiali, San Vito accolse Daniele Mantica, commissario dell’Impero;
un mese dopo il veneziano Francesco Bembo riusciva a riconquistarla e a renderla
al Patriarca (Ciconi). Durante tutto il ‘500, poi, vi furono fermenti
sociali e gravissime rivolte di contadini contro i nobili e le istituzioni in
genere. Da entrambe le parti si commisero atroci crudeltà, che gli animi
fecero fatica a dimenticare. A tutte queste calamità volute dall’uomo
si aggiunsero in quegli anni quelle naturali: epidemie, scarsi raccolti e
violenti terremoti (il più disastroso dei quali fu nel 1511). Stando così le
cose in Friuli e in San Vito in particolare, è abbastanza logico che i
sanvitesi non avessero modo di arricchire la loro chiesa maggiore. Solo con
la metà del ‘500 vi fu un gran fermento per rinnovarla, affidando varie
opere a PomponioAmalteo. Del 1533, infatti - ma si tratta di un dono - è la
tela, firmata e datata, raffigurante i Ss. Rocco, Sebastiano, Apollonia,
Cosma e Damiano che Pomponio Amalteo eseguì per la chiesa parrocchiale per
sciogliere un voto. Molte altre opere, tutte a olio, del maggior pittore
sanvitese sono conservate nel duomo di San Vito, ed esse coprono tutto
l’arco della sua lunga attività pittorica; segno evidente che il
pittore amò molto il suo paese di adozione. La vita del Seicento e del
Settecento in Friuli trascorse in modo “meno fosco” (Menis) di
quello dei secoli precedenti. Finita la guerra di Gradisca (1615/17), con cui
Venezia tentò di riunificare il Friuli togliendolo alla Casa d’Austria,
“la vita in Friuli prende l’andatura di una grigia e monotona
uniformità” (Paschini 1935). Il continuo contrasto fra l’Impero e
Venezia per la questione di Aquileia e del Patriarcato, non toccò la
popolazione; come conseguenza si registra una ripresa economica e culturale,
soprattutto nei centri maggiori. Questo benessere favorì il mecenatismo e
stimolò l’attività artistica. Il Friuli vive di riflesso il momento
magico di Venezia la cui splendente ripresa in tutte le arti fa dimenticare
la grave decadenza politica e militare. Molto deve il Friuli ad alcune
famiglie di nuova o antica nobiltà e alle attività delle comunità religiose,
ma soprattutto al mecenatismo dei Patriarchi Delfino. Dionisio
Delfino (1699-1734) fu uno dei più zelanti Patriarchi di Aquileiae illuminato
signore; a lui si devono, fra l’altro, l’ampliamento del Palazzo
Patriarcale - ora Arcivescovile - di Udine, la creazione della ricchissima
Biblioteca con i dipinti del Bambini e Dorigny, e la facciata in pietra di S.
Antonio Abate di Udine, fatto costruire dal Massari. Il suo nome però è legato
indissolubilmente al Tiepolo, che egli chiamò ad affrescare la Galleria del
Palazzo patriarcale di Udine. Dionisio Delfino stabilì in San Vito la sua
sede estiva e quando vi morì fu pianto da tutta la popolazione. Volle che il
suo cuore fosse conservato nella chiesa del Monastero della Visitazione di
San Vito. Gli successe il nipote Daniele Delfino (1735-1751), che continuò la
tradizione familiare di illuminato mecenatismo. Si circondò di grandi
artisti, fra cui Giambattista Tiepolo, chiamato con il figlio GianDomenico ad
affrescare l’Oratorio della Purità di Udine, il Morlaiter, lo Zugno e
altri. Daniele Dolfin (come più correttamente si dice e si scrive nella
lingua della Serenissima Repubblica) nacque a Venezia nel 1688 da Daniele III
(detto Zuane) e da Pisana Bembo. Dopo gli studi compiuti a Parma, a 21 anni entrò
nel Maggior Consiglio. Ben presto rinunciò ad una promettente carriera
politica e ricevette gli Ordini sacri. Papa Clemente XI nel 1714 lo nominava
“coadiutore” (con diritto di successione) dello zio Dionisio,
Patriarca di Aquileia, e prese il titolo episcopale di Aureopoli. Il giovane
prelato nel 1715 si laureava all’Università di Padova e nel 1717
otteneva la “commenda” (affidamento in possesso) dell’abbazia
di Moggio, nell’alto Friuli, e dell’abbazia di Corno di Rosazzo,
nel Friuli orientale. Venuto a mancare il Patriarca Dionisio, prese possesso
della Diocesi facendo l’ingresso ufficiale l’8 maggio 1735. Il
Papa Benedetto XIV lo nominò Cardinale con il titolo di Santa Maria sopra
Minerva e successivamente di San Marco. Daniele Delfino fu l’ultimo dei
Patriarchi di Aquileia. |