Le fasi della costruzione del duomo di San Vito al Tagliamento sono
abbastanza ben documentate, anche grazie alla pubblicazione da parte di Mons.
G. Biasutti (1957) dei punti più salienti, per interesse storico-artistico,
dei libri “de scossi e spesi” del Patriarca Delfino. Questi sono
quattro, e sono autografi, nella maggior parte, del Patriarca Daniele
Delfino, che vi registrò puntualmente, fino a pochi giorni prima della sua
morte, le entrate e le uscite, sia del Patriarcato sia sue personali. Nel
1744 il Patriarca mecenate “si getta” (Biasutti) nella
dispendiosa impresa del duomo di San Vito, in cui egli spende di suo, nel
giro di pochi anni, circa ottantamila lire. E’ probabile che egli fosse
stato indotto a questo passo non solo dalla vetustà del tempio ma anche dal
fatto che esso, con le ombre delle sue tre navate e il suo probabile
“disordine” medioevale, non doveva più corrispondere ai mutati
gusti architettonici settecenteschi, che volevano ambienti razionali, di
linee semplici e soprattutto luminosi. La documentazione del Biasutti è stata
arricchita e comprovata dal ritrovamento da parte di Goi e Metz (1972) di una
lettera-relazione di Rinaldo Renaldis, precisa e circostanziata, riguardante
la ricostruzione della chiesa. Il 2 maggio 1746, “senza
rimpianti” (Metz), fu totalmente demolita la vecchia chiesa. Pochi mesi
prima, il 30 gennaio, il Santissimo Sacramento era stato trasferito nella
vicina chiesa del Pio Ospedale, S. Maria dei Battuti, e vi furono anche
trasportate le reliquie del duomo (Goi e Metz). Il Patriarca aveva già
provveduto all’acquisto di pietra per il duomo; il 12 agosto del 1744
aveva inviato il suo amministratore Pagliari e uno degli scultori Mattiussi a
provvedere in Istria pietra per il duomo a un prezzo già stabilito. Essa
doveva venir trasportata per mare fino a Portogruaro, e di lì poi con carri
sino a San Vito. Sovrintendente ai lavori del duomo fu Alessandro Pantaleoni
che affidò l’esecuzione del progetto, non sappiamo da chi ideato, al
suo “proto di fiducia Luca Andreoli” (Metz), che portò a termine
l’impresa in pochi anni. Il duomo doveva essere già quasi completamente
compiuto alla fine di ottobre del 1750, come leggiamo nella lettera di R. Renaldis,
dal momento che il vicario don Giacomo Annoniani lo benedì solennemente. Il
giorno dopo il Patriarca Delfino, accompagnato dal clero, dalla nobiltà e dal
popolo esultante, officiò la prima S.Messa. Al termine della cerimonia, si
recò nel suo palazzo dove ricevette con suo palese gradimento, i
ringraziamenti della comunità per la sua munifica generosità nell’aver
eretto e ornato “il duomo a sue spese con molta pietra, con un sontuoso
organo e altri ornamenti” (Renaldis l.c.). Il Patriarca, come aveva
promesso il 1° novembre 1750, continuò a provvedere alla chiesa, che fu così
ben ornata e ben dotata di preziosi paramenti, calici e mobili per la
sagrestia. Fu consacrata il 25 gennaio 1752 dal Vescovo di Concordia Giacomo
Maria Erizzo, patrizio veneto. Il duomo è a navata unica, a pianta
rettangolare, ampia e luminosa per le 9 finestre che si aprono così in alto
nelle spesse pareti da passare quasi inosservate (una decima, sul fondo del
presbiterio, fu murata in epoca sconosciuta). Sporge dal fondo della vasta
aula il presbiterio rettangolare, di pari e forse maggiore luminosità. Unico
ornamento della semplice facciata, rimasta incompiuta, è il bel portale in pietra
d’Istria, opera di un Mattiussi, forse Giuseppe. Esso era sormontato
dallo stemma barocco del Cardinale Delfino: tre delfini natanti in una
conchiglia; forse rimosso alla fine del Patriarcato o alla morte del Delfino,
restano pochi frammenti in pietra. Sopra il portale, inserito nel muro, lo
stemma del Comune di San Vito e un semplice finestrone. Nel 1924 fu proposto
di dare compimento alla facciata ma la cosa non ebbe seguito. Di quel
progetto e di altri successivi, sempre rimasti sulla carta, se n’è documentato
e scritto in San Vito Comunità, il Bollettino della Parrocchia, nel n. 25 del
dicembre 1993. Sulle pareti laterali del tempio si aprono due porte: su
quella a sinistra, dalla parte del cimitero trasportato altrove nel 1822, è
posto lo stemma degli Altan-Savorgnano; su quella di destra un busto di marmo
raffigurante il Padre Eterno. Esso proviene probabilmente dall’antica
chiesa; uno scultore anonimo lo scolpì nel secolo XVI (Tramontin 1973); il
Someda De Marco (1959) lo attribuisce, con qualche dubbio, al Pilacorte
(1493-1531) che al principio del ‘500 lavorò anche nella vicina chiesa
dei Battuti. Prima di entrare per la visita al duomo, anticipiamo alcune
notizie su avvenimenti che lo riguardarono negli ultimi due secoli. San Vito
rimase pochi anni sotto il governo della Serenissima. Nel 1798, infatti, fu
occupata dalle truppe francesi del generale Bernadotte e il duomo divenne il
quartier generale degli occupanti. Per quanto ne sappiamo, esso
fortunatamente non soffrì in questa occasione quanto altre chiese del
territorio e dell’Italia: profanate, ridotte a stalle, imbrattate e
depredate delle opere d’arte. Quando la truppa francese se n’andò
da San Vito, portò via con sè la Deposizione dell’Amalteo, che per
fortuna fu poi restituita dal generale che la comandava (Zotti 1905). Dopo la
“pace di Campoformido” (1798), San Vito mutò nuovamente padrone,
finché nel 1866 potè finalmente unirsi all’Italia. Durante il secolo
scorso furono realizzate in duomo alcune opere
di qualche rilievo: la decorazione pittorica delle pareti e delle volte del
tempio, e intorno al 1859 il rifacimento in pietra bianca e rossa della
pavimentazione dell’aula dei fedeli (Metz). Dal primo altare a sinistra
fu spostata la pala dello Zugno per collocarvi quella nuova del Pogliaghi, di
identico soggetto. Nella prima guerra mondiale il duomo fu danneggiato da una
bomba che cadde fra il coro e l’ultimo altare a destra della navata, ma
il danno fu prontamente riparato (Corazza 1970). Nel 1937 furono rifatti i 9
finestroni in larice di Carinzia; “i due del coro e quello della
facciata saranno costruiti all’inglese e muniti di apposito dispositivo
a corda con infissi a rotelle per l’uso immediato di apertura”
(contratto con l’impresa edile Lovisatti Giuseppe, di San Vito al
Tagliamento). Costo complessivo: 6.159 lire. Nel 1952, in occasione del
secondo centenario della consacrazione, per volontà dell’arcidiacono
Pietro Corazza e con il concorso della popolazione, furono eseguiti in duomo
ampi lavori di restauro per cercare di riportarlo all’antico splendore.
Ecco come ne parla lo stesso Mons. Corazza: “Il Duomo per l’usura
del tempo e le vicende belliche era ridotto in uno stato di evidente
trascuratezza ed abbandono.Si imponeva il suo restauro, ed il Parroco se ne
fece promotore (toccava a lui) chiamando intorno a sè un gruppo di persone
volonterose che lo coadiuvassero nella non facile impresa. Così nel 1952,
ricorrendo il secondo centenario della sua costruzione, il Duomo si presentò
rinnovato attraverso un restauro completo che comprendeva: la ripassatura
della decorazione, il restauro di parecchie ‘pale’ di notevole
pregio artistico, la costruzione dei banchi nuovi, la rifacitura
dell’impianto di illuminazione, l’abbassamento dell’organo
e sua sistemazione dietro l’altare maggiore con il passaggio dal
sistema meccanico a quello elettrico, riparazione del pavimento interno e sistemazione
e rinnovamento delle gradinate di accesso anteriore e laterale, ed infine
coloritura delle porte, finestre e confessionali. Un complesso di lavori per
oltre cinque milioni che diedero al sacro luogo un volto nuovo e decoroso. Ma
non ci si fermò qui. Bisognava provvedere a svecchiare il modo con cui si
suonavano le campane, passando dal sistema arcaico delle corde a quello
moderno elettrico. Occorreva, per fare un lavoro di piena soddisfazione,
provvedere alla sostituzione del castello campanario, vecchio e di legno, con
uno nuovo e di ferro. E tutto ciò fu attuato nel 1954 con la spesa di oltre
due milioni. Ma non si era ancora raggiunta la piena modernità. Occorreva
provvedere ad un impianto di riscaldamento che consentisse di frequentare il
Duomo senza disagio anche nella stagione più fredda; e pure a questo si
provvide con l’installazione di un impianto a raggi infrarossi con una
spesa di quasi un milione. Fu inaugurato con vivissima comune soddisfazione
la vigilia del S. Natale 1955”. (Mons.
Pietro Corazza, La Parrocchia di S. Vito, in “Il Comune di San Vito al
Tagliamento” - maggio 1956). I terremoti del 1976
hanno inferto alle strutture del tempio danni gravi, per quanto quasi non
visibili: gli architravi della navata e delle volte sono stati in più punti
lesionati dalla potenza delle scosse sismiche. Ma di quest’ultimo
decennio parleremo brevemente alla fine.
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