LA VITA DI P. ORAZIO FLACCO

Scritta da Svetonio e tradotta da Carlo Paolino

 

Q. Orazio Flacco di Venosa, nacque, come egli stesso conferma, da un padre libertino, e riscotitore di esazioni: ma, come fu comunemente creduto, pizzicagnolo; giacchè un certo altercando con essolui una volta, gli fece questo rimprovero: quante volte ho veduto tuo padre sorbirsi il naso col gomito?

Nella guerra di Filippi invitato al suo partito da M. Bruto, fu sotto lui tribuno militare: e dopo essere stata l’armata di Bruto disfatta, ottenne il perdono, e si procurò l’ufficio di segretario dell’erario: ed essendosi primieramente insinuato nella grazia di Mecenate, e poscia in quella di Augusto, ebbe una non mediocre amicizia dell’uno e dell’altro. Quando grandemente lo avesse amato Mecenate, apparisce a bastanza dal seguente suo epigramma. “ Se non ti amo, caro mio Orazio, più delle mie viscere, possi tu vedere me tuo amico, più sparuto, e macilento di Ninnio”. Ma molto maggiormente dall’elogio, che nell’estremo di sua vita ne fece ad Augusto: “ Vi scongiuro di ricordarvi di Orazio Flacco, come di me stesso”. Augusto gli offrì anche la carica di segretario del suo gabinetto, siccome con questa lettera gli significa:“ Prima bastava io a scrivere le lettere a’miei amici; ora, che sono occupatissimo ed infermo, desidero, che mi conduciate il nostro Orazio. Verrà dunque da cotesta vostra mensa, ove siede da parasito, alla mensa nostra regale, e ci aiuterà a scrivere le lettere”.

E pure, neanche dopo avergli ciò ricusato, Augusto fu con essolui punto sdegnato, o cessò di più prestargli la sua amicizia. Vi sono delle lettere, dalle quali io, per far ciò conoscere, rapporterò qui poche cose. “ Prendetevi meco qualche libertà, come se foste un mio commensale, che non farete male, né sconsigliatamente; giacchè io volea , che tale consuetudine, ed usanza aveste voi meco, se per la vostra salute vi fosse stato possibile”.

Ed in un’altra: “ Quale memoria di voi io abbia, potrete udirlo anche dal nostro Settimio, poiché è accaduto di farsi dinanzi a lui di voi menzione. Imperocché, se a guisa di un superbo non curaste la nostr’amicizia, non perciò anche noi vi corrispondiamo con egual disprezzo, e superbia”.

In oltre sovente in altre lettere, scherzando, lo appella “ purissimo baccello e lepidissimo uomicciuolo” ; e lo colma di beni la prima, e la seconda volta. Approvò gli scritti di lui, a segno, e si credette, che dovessero in perpetuo durare, che non solamente gl’ingiunse di comporre il Carme secolare, ma anche la vittoria sopra i Vandali riportata da’suoi figliastri Tiberio, e Druso; ed obbligollo per questa ragione ad aggiungere dopo lungo tempo alli tre suoi libri delle Odi anche il quarto. Dopo aver poi letti alcuni suoi Sermoni, in tal guisa si lagnò, che non si era di lui fatta  alcuna menzione: “ Sappiate, che io sono con voi adirato, perché nella maggior parte di questi vostri scritti, non abbiate punto meco interloquito : Temete forse, che abbia presso i posteri ad esservi di disonore il sembrare di essere nostro familiare?”.

E con ciò fece, che scrivesse l’Egloga, che comincia: “ Sostenendo voi tanti, e sì grandi affari da voi solo; e difendendo l’Italia colle armi, e con li costumi adornandola, e con le leggi coriggendola, peccherei contro i pubblici vantaggi, se vi togliessi il tempo con lunga diceria”.

Fu egli di statura basso, e grasso, qual’egli medesimo nelle Satire si descrive, e da Augusto nella seguente lettera

Mi ha Dionisio recato il vostro picciolo libretto, il quale io ( per non biasimare la brevità) ho ricevuto con molto piacere. Ed ei mi sembra, che voi temiate, che i vostri libricini non sien più grandi di quel, che voi non siete. Ma, se vi manca la statura, non vi manca del picciol corpo la validezza. Sicchè potrete scrivere dentro uno staio, essendo il giro del vostro volume di grandissima mole, come lo è del vostro ventriglio”.

Visse per lo più ritirato nella sua villa dei Sabini, o di Tivoli; e si mostra la sua casa presso una piccola boscaglia consacrata a Tiburno. Caddero in mano mia anche alcune Elegie col nome di lui, ed una Epistola in prosa, come raccomandatasi a Mecenate; ma stimo l’una e l’altra false; essendo l’Elegia volgare e l’Epistola oscura, il qual difetto in lui non era.

Nacque il dì 8 di Dicembre sotto il consolato di L. Cotta, e L. Manilio Torquato, e morì sotto il consolato di C. Marcio Censorino, e di C. Asinio Gallo a dì 27 di Novembre in età di 59 anni compiuti, dopoaver nominato suo erede Augusto dinanzi a testimoni, non avendogli la violenza del morbo dato tempo di sottoscrivere il suo testamento. Fu sotterrato nell’estremità degli Esquilj vicino al tumulo di Mecenate.

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