Sogliono i Commentatori passar sotto silenzio quelle cose ,
ch’essi, o non intendono, odelle
quali non sanno assegnar alcuna ragione. Niuno fa parola della sintassi di
questo luogo… Or la ragione di questa maniera di dire di Terenzio io la ricavo
da ciò, che l’avvedutissimo mio maestro D. Antonio Aronne affermava
del nome aggettivo, il quale non può nel discorso unirsi senza il nome
sostantivo, o espresso o sottinteso. Il nome aggettivo, diceva egli, è un
genere, che contiene moltissime specie, e perciò eguaglia nel singolare tutte
le specie che da lui si abbracciano. (nota32,
Atto III, Scena V, I Fratelli)
Gli Autori del Portoreale direbbero che, dovendo il
genitivo esser retto da un altro sostantivo, qui bisogna intendere “dolore
animi”. Il mio dotto maestro D. Antonio Aronne, il quale pensò fare
una Grammatica Filosofica, volea che il genitivo notasse sempre la differenza:
di maniera, che in questo luogo “animi” altro non denoti, se non che la
differenzadel dolore che si sentiva
(ch’era quello dell’animo) da ogni altra specie di dolore del corpo, o di
qualunque parte di esso. Così “egeo nummorum” notasi col genitivo la
differenza del bisogno di denari da qualunque altro bisogno, come di viveri, o
di abiti, o di qualsivoglia altra cosa. Così egli con regole generali evitava
la quantità di tante regole inutili, e piene di eccezioni. (nota 1, Atto IV,
Scena IV, I Fratelli)
Io anziché seguire ciò, che ne dicono gli altri Grammatici, sono del
sentimento del fu mio avvedutissimo maestro D. Antonio d’Aronne, il
quale preoccupato dalla morte, non potè seguire la stampa della sua Grammatica
Filosofica; la quale non pertanto, e Iddio, e le mie occupazioni lo
permetteranno, non sono in dubbio di dare alla luce per sommo utile e vantaggio
di chi voglia nello studio delle lingue fare in breve moltissimo profitto. Egli
dunque dicea che il genitivo nota sempre la differenza. (nota 10, Atto I, Scena
IV, Il Formine)
Ed in questo luogo non posso fare a meno di riferire, per l’onore della
verità ciò, che riflettendo su questo passaggio di Terenzio la felice
memoria del Sign D. Antonio Aronne, uomo sommamente rispettabile non meno nelle
Scienze Metafisiche, che nella coltura delle Lettere Latine, felicemente
spiegò, e si attribuirono poi coloro, che dopo la sua morte diedero alle stampe
le loro Istituzioni Canoniche. Non si era ancora potuto da’Canonisti mai
spiegare il passaggio, che nella vita di S. Sisto, siccome si riferisce da S.
Ambrogio lib. I de Offic. Cap. 41, si legge: “cui commisisti Dominaci
sanguinis consecrationem? “ La quale domanda, facendosi fare da S. Lorenzo,
ch’era soltanto Diacono, fa insorgere il dubbio, se i Diaconi potessero
consacrare. Quindi moti Canonisti invece di “consecrationem” volevano che si
dovesse leggere “dispensationem”.Il
Sign. D. Antonio Aronne dunque fin dall’anno 1750, considerando che il
medesimo S. Padre nel “communicantes” della Messa dell’Epifania, come
anche in quella dell’Ascensione del Signore, ed altrove, usa questa maniera di
dire; ne ricavò la giusta conseguenza che questo S. Dottore grandemente
dilettatasi di una simile maniera di parlare cotanto, come abbiamo detto sopra,
usitata presso gli ottimi Scrittori Latini… Or la felice memoria del
chiarissimo D. Giuseppe Cirillo, allorché D. Antonio Aronne gli comunicò, come
a suo stretto amico e Revisore insieme della suo Grammatica Filosofica sotto il
titolo di ”Arte di parlare in Latino”, che aveva cominciato a stampare, gli
comunicò dico una tale sua interpretazione, ne restò grandemente ammirato
insieme, e compiaciuto, e gli confessò questa essere la vera interpretazione di
tal passaggio, sebben’egli lo avesse nella sua edizione delle Istituzioni
Canoniche spiegato con dire…Gli altri Canonisti poi …non han fatto bene adappropriarsi quella loda che ad essi non tocca. Di una tale verità
possono essere oggidì veridici ed onestissimi testimoni il Padre Gherardo De
Angelis de’Minimi; uomo troppo noto alla Repubblica Letteraria, non meno per
la sua eloquenza, ed opere date alla luce, che per le sue virtù morali, e per
la sua integrità; il quale era il Revisore Ecclesiastico della detta sua opera,
e al quale per la strett’amicizia confidava ogni suo minimo pensiero.
L’integerrimo, e degnissimo Giudice della Gran Corte della Vicaria D. Pasquale
Ferrigni, che nel tempo, in cui esercitava l’onorevole carica di Pubblico
Lettore di Legge nella nostra Università passava con esso lui buon’amicizia e
faliarità. E finalmente il degnissimo Avvocato D. Ignazio Parisi, di cui fu
maestro nella Dialettica, e Metafisica, e nelle Belle Lettere, ed Eloquenza
Latina, e Italiana, e non men conto, e lodevole per gli’incorrotti suoi
costumi, che per lo suo sapere: come ancora gli stessi Manoscritti, che da me si
conservano di una tale Grammatica di lui , e lettere da esso D. Antonio dettate
ai suoi discepoli nell’anno 1751, sopra un tal soggetto e le quali si
conservano dal Signore D. Cristofaro Galizia e dal Signore D. Antonio Pompeiano,
che andavano ad apprendere le Lettere Umane e
la Dialettica.
(nota 26, Prologo,
La Suocera
).
Notisi qui ciò, che si è da me altre volte notato, e che,
come cosa poca da altri capita, niuno si è brigato di spiegare; cioè, che era,
essendo un accusativo plurale, sembra male accordarsi con quid, suo antecedente.
La ragione dunque si è che, considerandosi i pronomi egualmente, che i nomi
aggettivi, come tanti generi che sotto sé contengono molte specie, ed
equivalendo il genere nel singolare a tutte le sue specie unite insieme, vale lo
stesso si quid peccatum est , che si qua peccata admissa sunt, e perciò può
bene unirglisi ea, peccata ecc che era la ragione la quale nella sua Grammatica
Filosofica ne dava il Signor D. Antonio Aronne (nota 12, Atto II, Scena
II,
La Suocera
)
Note tratte da:
Le
Opere
d'Orazio
con la versione Italiana
di
Carlo Paolino
e colle note critiche, e
filologiche
del medesimo
con riferimenti al suo maestro Antonio
d'Aronne
Il fu D. Antonio Aronne, il quale avea pressoché terminata una sua
Grammatica Filosofica, dicea, che il genitivo nota sempre la differenza, e che
questa si allogava in tal caso. (Tomo II, Libro I, Ode 22,nota, 1 )
Mr. Dacier biasima quei grammatici, i quali dicono, che
questo genitivo sta in luogo dell’ablativo…Ma chi non vede l’incoerenza
del supplire una voce greca in un discorso latino? Il mio maestro D. Antonio
Aronne dicea, che il genitivo notava sempre la differenza, nonché nel
parlare latino, ma in tutte le lingue. (Tomo II, Libro II, Ode 2, nota 6)
Se avessero Mr. Dacier e il P. Sanadonpotuto
preintendere ciò, che il più gran filosofo in materia di lingua, cioè il fu
mio maestro D. Antonio d’Aronne, mettea per una delle infallibili sue
regole generali, non si sarebbero, il primo lambiccato per lo spazio di 20 anni,
com’egli confessa, il cervello, per poi appigliarsi finalmente all’errore; né
il secondo se lo sarebbe stillato in andar cercando ragioni, e consimili esempi,
per dimostrare il contrario, e giustificare l’espressione di Orazio.(Tomo II, Libro II, Ode 15, nota 6)
Sopra una tale maniera di parlare riflettendo il fu D. Antonio Aronne
spiegò quel luogo di S. Ambrogio, che non erasi potuto spiegare per tanti
secoli (Tomo III, Libro III, Ode 1, nota 42).
Notisi a che sorta di inezie danno talvolta i grandi Critici… Piacemi qui
ripetere quella regola generale di D. Antonio d’Aronne, che la
differenza, senza veruna eccezione si esprime col genitivo, senza esservi
bisogno di alcun sostegno. .(Tomo III, Libro III, Ode 11, nota 26)
Mi
sovviene, che dicea il dotto mio maestro D. Antonio d’Aronne, che
tutt’i luoghi dai Portorealisti rapportati, che “negatium” significhi
“rem”, denotan sempre azione e non mai cosa. Il medesimo maestro il quale
dicea, che l’aggettivo dè considerarsi, come un genere in Filosofia, che
abbraccia le sue specie, o maschili, o femminili, o neutri, o singolari,
oplurali. (Tomo III, Libro III, Ode 29, nota 49).
Ma ripeto ciò, che ho tante volte detto, che la differenza può sempre
esprimersi col genitivo, regola generalissima del gran Filosofo in materia di
lingue, D. Antonio Aronne..(
Tomo IV,Libro IV,Ode 6, nota 39)
Della nota fatta su questo luogo dal P. Sanadon , ne avrebbe fatto a meno, se
avesse potuto egli preintendere, e sapere la regola senza eccezione del fu D.
Antonio Aronne, che la differenza l’hanno i Latini quasi sempre espressa
col genitivo… Così non vi ha bisogno né di supplementi per sostenere il
genitivo, né di ellissi, o di altre inezie dei puri, e non pesanti Grammatici.
(Tomo IV, Libro IV, Ode13,nota 18)
La ragione, per cui qui “ultima” non è un epiteto inutile, non è quella,
che vuole Sanadonperché sta invece
della particella modale “ultimo”, ma quella, che altrove ho riferita più
volte assegnarsene dal fu D. Antonio Aronne, nella Grammatica Filosofica,
che pensava dare alla luce. Egli dicea, che gli aggiunti, o aggettivi, sono come
tanti generi, i quali non può sapersi di chi si dicono, se ciò non si
specifica e determina dal sostantivo. Così qui non si saprebbe di chi si
direbbe “ultima”, se non si aggiungesse “mors”. Ed ecco perché non è
un pleonasmo vano, inutile, e vizioso.(Tomo V, Satira 7, nota 13)