ALL'AMICO LETTORE
Sinesio Filosofo, e Vescovo di Cirene, avendo composti due suoi libri, uno intorno alla Rettorica, e l'altro intorno alla Filosofia; e volendoli poi pubblicare, gli manda a un dotto suo amico accompagnati da una sua Lettera, nella quale lo prega a volergli minutament' esaminare , e vedere, se in essi vi era cosa, che non fosse degna della pubblica luce, o che potesse agli occhi, ed alla mente degli altri apportar noja, o dispiacere.
Ho io, dic'egli due figlioli generati, uno della popolare Rettorica, e l'altro dell'incorrotta Filosofia. Questi io amo infinitamente come naturali miei parti; Ma perchè il paterno amore può corrompere i voti, e far sì che ingiustamente si giudichi, perciò li mando a te, perchè, come disappassionato giudice possi di loro formare un retto giudizio, e pronunziare la sentenza se possano degnamente dinanzi al cospetto degli uomini comparire, o se debbono anzi da me tenersi rinchiusi ed in prigione sì che non mai da loro alcuna luce si vegga. Inperciocchè delle Scimmie , seguita egli, si dice, che quando abbiano i loro figli partoriti, restano incantate a guardargli ed ammirergli, come se fossero tante vaghissime statue; ma gli altri poi veggono chiaramente che sono figli di Scimmie, tanto è la natur' amante dei suoi parti.
Da questa savissima, ed insieme verissima massima di Sinesio, vivamente io penetrato non volli mai , malgrado le tante premure fattemene da moltissimi amici ( li cui figliuoli, o parenti venivano ad udirmi per apprendere le Belle Lettere latine) dare alla pubblica luce la Versione delle Commedie di Terenzio, che per uso dei nobili giovanetti figliuoli del Marchese di S. Nicola de' Capograssi, mi ritrovava aver nella nostra Lingua tradotte; pensando che l'amore , il quale a me portavano, non facesse anche sembrar loro vaghissimi quegli, che fossero reali parti di Scimmia.
Ma come la goccia cava la pietra, non per sua forza, ma per lo suo continuo stillare, è accaduto, che tante me ne han dette, che finalmente mi vi abbiano indotto. E tra gli altri due culti e dotti uomini, sì nelle Latine, e Greche Lettere, che nelle sublimi Facoltà delle altre scienze ( i quali non nomino, perchè se accade, come non istimo difficile, che la mia fatica non abbia a piacere; non voglio che il minimo danno alla loro riputazione da ciò ritraggono) perchè, mi diceano, tanto riparo hai tu di far comparire al mondo questa qualunque siasi tua fatica? per timore forsi, che non sia da tutti approvata, e lodata? E questa è una somma superbia di voler pretendere ciò, che nessuno ancora ha nel mond' ottenuto. O sarà forsi perchè non la reputi degna di alcuna considerazione? E di ciò non devi esserne giudice tu, ma gli altri, che ne giudicano da fuori senz'alcuna passione.
Ma a che serve ch'io quì faccia un minuto racconto di ciò, che questi abbian potuto dirmi e che a me non istà bene rapportare, nè a voi gioverebbe sentire? Voglio anzi avvertirvi, che da me si è inteso dare una versione del nostro Comico, non già per gli uomini culti, e grandi in questa materia; che per me sarebbe stata troppo ardita impresa; ma sì per la Gioventù che brama di apprendere e d'intendere le Commedie di questo Poeta nel vero suo senso.
Il che mi sono lusingato di poter, se non in tutto, almeno in buona parte, per varie ragioni recare ad effetto.
Primieramente, perchè ho potuto dalle varie, e molte traduzioni, che sene son fatte, formare un esatto confronto, ed indi giudicare chi sembrasse meglio intendere, ed esprimere il senso dell'Autore. In secondo luogo, perchè, avendole tradotte in prosa, ho potuto più esattamente un tal senso serbare; e far sì, che le Italian' espressioni fossero alle Latine più corrispondenti, la qual cosa è stata difficilissima per coloro, i quali si sono brigati di tradurle in verso. E finalmente, perchè, avendovi aggiunto le note, si è per mezzo di queste potuto fare intendere la vera forza non meno delle parole, che dell'espressioni Latine, ove il genio della nostra Lingua a quello della Latina non bene si accomodava.
Ma quando questa mia Traduzione non apporti alcun vantaggio, se ne gradisc' almeno il desiderio, che ho avuto di giovare per quanto posso alla gioventù di questa società, in mezzo della quale da me di vive; e se pur lo sono, non comparire almeno, un membro disutile tra coloro, da' quali tanti vantagg' io ricevo; e vivete felice.