STESICORO
Quando
ancora Palermo vedeva nel suo ampio porto dispiegarsi le vele
sicure dei mercanti fenici, viveva ad Imera, poco lontano dall’attuale Termini Imerese, il grande poeta lirico Stesicoro (640-555 a. C. circa).
Figlio
di Euclide, uno dei fondatori di Imera,
trascorse gran parte della sua lunga vita nella città natale,
concludendo poi i suoi giorni a Catania, dove si era trasferito,
sembra, per motivi politici.
Stesicoro fu il primo grande
poeta della Magna Grecia. Egli dedicò la sua opera soprattutto
al perfezionamento della lirica corale che aveva una sua parte
preponderante nelle cerimonie religiose. La sua poesia è una
elaborazione epico-lirica delle
leggende greche intorno agli dei e agli eroi nella tradizione
omerica ed esiodea.
Ben poco,
tuttavia, rimane della sua opera, che dovette essere vasta e
altamente artistica. Il poeta si chiamava in origine Tisia, e fu probabilmente dalla sua attività professionale
che gli venne il nome di Stesicoro,
"ordinatore di cori". La sua opera lasciò tracce
profonde nella poesia, tragica specialmente, e nell’arte plastica
greca.
PIETRO NOVELLI
Nato
a Monreale nel 1603, risente
prima dell’influenza di Zoppo di Gangi, di tendenza raffaellesca. Venuto a Palermo, il
giovane si accosta all’arte di Van
Dyck, "la composizione si fa serrata, le forme
prendono vigoria e severità di linea".
Il suo
soggiorno a Roma e a Napoli, attorno al 1633, coincide con un
radicale mutamento di indirizzo, specie
nelle opere di cavalletto.
Fra le
opere maggiori ricordiamo: La vocazione di Mattia e l’Assunta, conservate a Ragusa,
e San Benedetto che benedice i pani, a Monreale.
Morì
a Palermo nel 1647.
GIACOMO SERPOTTA
Sono
molte le chiese e i monumenti di Palermo che si abbelliscono
degli stucchi prestigiosi di Giacomo Serpotta:
dall’Oratorio
della Compagnia del Rosario di San Lorenzo a quello di Santa Zita, a quello di San Domenico, dove le decorazioni
a stucco assumono forme ricchissime e leggiadre.
Vissuto
dal 1656 a
1732, in
piena atmosfera barocca, il Serpotta
nella decorazione delle chiese e degli oratori di Palermo, si
rivelò un espertissimo e fecondo stuccatore, facendo assurgere
quest’arte, generalmente decorativa
e artigianale, ad un livello insolito ed insuperabile per fantasia
e ricchezza plastica.
ALESSANDRO SCARLATTI
Una delle
maggiori glorie palermitane è Alessandro Scarlatti,
nato a Palermo nel 1660 da genitori di origine senese, e morto
a Napoli nel 1725.
Pur avendo
trascorso gran parte delle sua vita
lontano dalla città natale, il grande musicista conservò, nell’ispirazione dei suoi
melodrammi, quel senso profondo della vita e quella passionalità
tipicamente siciliana che egli aveva assimilato durante la sua
infanzia.
Alessandro Scarlatti può essere considerato a ragione il grande
maestro della scuola musicale napoletana del Settecento, iniziata da Francesco
Provenzale. Nella città di Napoli, dove accorrevano in quel
tempo numerosi compositori di valore, coltivò
intensamente il melodramma, ormai distinto nettamente in opera
seria e in opera comica. Fu autore molto elevato e profondo:
scrisse melodrammi seri e comici; musica sacra e
strumentale, oratorii, cantate.
Nei suoi
melodrammi dette molto sviluppo alla forma dell’aria, che preferì
tripartita, cioè composta di un episodio
iniziale, d’un secondo episodio diverso dal primo e della ripetizione
di questo, che costituisce il terzo episodio. Coltivò anche
la forma dell’ouverture, che aveva lo scopo di richiamare l’attenzione
degli ascoltatori sullo spettacolo, continuando in ciò un criterio
già usato dal Monteverdi.
GIOVANNI MELI
La poesia popolare
siciliana ha trovato in Giovanni Meli uno dei suoi cantori più grandi
e delicati, che ne ha messo in luce
la profonda ispirazione umana, il suo carattere appassionatamente
sentimentale e sofferto.
Il Meli, vissuto a Palermo dal 1740 al 1815, fu poeta spontaneo,
ispirato. Lo si disse degno seguace
dell’indirizzo poetico di Anacreonte;
certo egli ricorda Catullo e i migliori poeti della latinità
nei suoi aurei canti, leggeri e voluttuosi, dagli slanci teneri
e commoventi.
Scrisse
satire,
elegie, egloghe e due poemi in ottava rima. Unì all’estro
poetico la cultura scientifica: era infatti
medico, e per parecchi anni insegnò chimica all’Accademia della
sua città.
I suoi
versi piacquero ed ebbero un tal successo da essere tradotti
in italiano, in francese, in tedesco.
MICHELE AMARI
Michele Amari, insigne storico e uomo di stato, nacque a Palermo
il 7 luglio 1806 da padre di idee liberali. Intraprese
molto giovane la carriera amministrativa, prestando servizio
nei ministeri borbonici, prima a Palermo e poi a Napoli, dal
1820 al 1842. La sua passione per la storia e il suo
amor di patria lo portarono a compiere profondi studi sui Vespri
Siciliani. Che si concretarono nella pubblicazione
della Storia del Vespro.
Il libro conteneva forti accenti polemici che palesemente si indirizzavano contro i Borboni,
e vi affioravano alcune idee troppo scopertamente liberaleggianti,
per cui l’autore fu sospeso dal suo ufficio e invitato a discolparsi
a Napoli. Ma Michele Amari preferì fuggire in Francia, dove fu bene
accolto dagli esuli e dai dotti francesi, e poté curare la seconda
edizione della sua "Storia del Vespro".
A Parigi
incominciò a studiare l’arabo, con lo scopo preciso di procurarsi
gli elementi che gli permettessero
di penetrare più a fondo nei documenti della storia siciliana.
Dopo lunghi studi poté pubblicare i tre volumi della Storia dei Musulmani
di Sicilia, opera poderosa, preparata con scrupolo e pazienza di erudito,
concepita e scritta con genialità di storico di prim’ordine.
Amari
partecipò attivamente anche alla vita politica, incoraggiando
i moti liberali con la parola e con gli scritti. Tornato in
patria fu senatore del Regno d’Italia dal 1861 e ricoperse importanti
cariche pubbliche. Morì a Firenze improvvisamente, il 16 luglio
1889.
GABRIELE AMARI
Tra i
benemeriti e gli eroi del Risorgimento, Palermo vanta un grande
patriota: Gabriele Amari.
Nato a Palermo il 19 marzo 1807, partecipò attivamente alle
cospirazioni e ai moti patriottici, e fu arrestato dai Borboni
nel 1848, insieme al fratello Emerico, professore di diritto
penale.
Sospettati
di aver diffuso proclami rivoluzionari, i due fratelli furono
rinchiusi nel forte di Castellammare. Liberato alla capitolazione
delle truppe borboniche, Gabriele riprese l’attività politica,
ma ben presto. Sopraggiunta la reazione, dovette fuggire a Malta e poi a Genova,
dove morì il 2 aprile 1858.
Vittorio Emanuele II gli conferì la medaglia di bronzo alla memoria.
ENRICO PETRELLA
Lo Scarlatti
non è il solo grande musicista palermitano.
Anche se il respiro della sua produzione musicale non può certo
essere paragonato a quello del grande
melodista settecentesco, non dobbiamo dimenticare la figura
e l’opera di Enrico Petrella, nato a Palermo il 10 dicembre 1913 e morto a
Genova il 7 aprile 1877.
Cresciuto
alla scuola del Furno e di altri,
a Napoli, esordì nel 1829 con "il diavolo color di rosa", opera comica cui
seguirono molte altre, più o meno felici.
Nel 1851 raccolse vivi consensi con la commedia "Precauzioni", in cui sono colti con brio tipi della borghesia e del popolo,
sciocchi e buontemponi, derivati dalla farsa napoletana e dalle
opere comiche settecentesche e donizettiane,
guardati con spirito satirico e presentati ora in forma patetica,
ora briosa, con caratteri pulcinelleschi.
Non altrettanto
successo il Petrella ottenne nel campo
dell’opera seria, dove dimostrò scarsa preparazione drammatica.
La sua opera stilisticamente più pura è
considerata "I Promessi
Sposi", rappresentata a Lecco nel 1869, presente il Manzoni.
G.B. BASILE
La grandiosa
mole del Teatro Massimo di Palermo è opera dell’architetto G.B. Filippo Basile,
nato in questa città nel 1825 e morto nel 1891, dopo aver raggiunto,
con le sue opere, fama mondiale. Egli non ebbe la soddisfazione
di veder ultimato il suo "Massimo", incominciato nel
1875 e compiuto solo ventidue anni dopo da suo figlio Ernesto.
Lunghe
e accese polemiche sul costo dell’opera, la sua ubicazione e
l’andamento dei lavori, ritardarono il compimento del teatro.
Nel 1897, dopo qualche interruzione e innumerevoli discussioni
"Massimo" fu inaugurato. Stilisticamente questo teatro
è un riuscito incontro tra il neoclassicismo
siciliano, molto in voga a quel tempo, e il classicismo romano,
che il Basile aveva profondamente studiato
e assimilato. Si avverte anche l’influenza delle esperienze
della Roma barocca del Rinaldi, del
Borromini, del Bernini,
specie nell’imponente scalea che porta al ridotto.
Ma la fama del "Massimo" non si deve solo alla
bellezza della costruzione e all’alto livello delle sue stagioni
liriche, ma anche alle sue peculiari caratteristiche tecniche.
L’area totale del teatro, infatti, è di 7730
metri quadrati,
che ne fanno il terzo teatro del mondo, dopo l’Opera di Parigi
e quella di Vienna.
Per l’ampiezza
del palcoscenico, inoltre, il "Massimo" è il secondo
del mondo, con i suoi 1214 metri quadrati contro i 1390 dell’Opera
di Parigi. Il che significa che nel teatro
palermitano sono possibili le messe in scena più fastose e qualsiasi
tipo di rappresentazione. Anche
per la capienza il Teatro Massimo è tra i primi del mondo. Può
ospitare 3200 spettatori.
ERNESTO BASILE
Uno studio
particolareggiato e' stato condotto
da docenti ed allievi del Liceo Classico "G. Garibaldi"
di Palermo. Approfondimento.
FRANCESCO LOJACONO
Pittore di sensibilità finissima,
Francesco Lojacono ebbe a Palermo
i natali nel 1841. Studiò col Palizzi
a Napoli, e nel 1860, allo scoppio della rivoluzione, lo troviamo
arruolato tra i garibaldini, ardente di patriottismo. Più tardi,
tornato all’arte, si diede alla pittura del "suo"
paesaggio, il paesaggio siciliano, così ricco di sole e di luce,
le cui forme intuì e rese con fine sensibilità. Tra le sue opere conservate
nella Galleria d’arte moderna a Palermo sono notevoli: Vento in montagna, Veduta di Palermo, Vita ai Colli. Altri suoi bellissimi
dipinti sono conservati nella Galleria nazionale d’arte moderna
a Roma e nella Pinacoteca di Capodimonte.
Lojacono fu chiamato da molti "il ladro del
sole", tanto sapientemente egli sapeva riprodurre,
nei suoi paesaggi siciliani, gli stupendi effetti della luce,
quasi la rubasse al sole stesso.
Morì
il 28 febbraio 1915.
GIUSEPPE PITRE’
Nell’incantevole
cornice del Parco della Favorita, a Palermo, lo studioso del
costume può visitare e ammirare, annesso alla Palazzina Cinese,
il Museo Etnografico
Pitrè, fondato nel 1909 dal professore Giuseppe Pitrè, insigne
cultore di studi folcloristici.
Nato
a Palermo il 21 dicembre 1841, Giuseppe Pitrè
per tutta la vita coltivò con passione gli studi sul folclore,
che lo portarono a raccogliere la grande
quantità del prezioso materiale di documentazione, ora ordinato
nel Museo.
Fu medico, storico,
letterato, filologo insigne. Fu presidente della Società siciliana di Storia patria,
dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, senatore del
Regno d’Italia; dal 1910 alla morte avvenuta il 10 aprile 1916,
insegnò demopsicologia nell’Università di Palermo.
La sua
opera più poderosa è costituita dai 25 volumi della Biblioteca delle
tradizioni popolari siciliane, iniziata nel 1871 e completata nel 1913.
Il Pitrè fondò nel 1880, con la collaborazione
di Salomone-Marino, l’Archivio delle tradizioni popolari allo scopo di dare maggiore impulso alle raccolte di materiale
folcloristico che servisse per studi
successivi di carattere comparativo.
I 33
volumi di questa rivista contengono inestimabili documenti di
letteratura popolare, di novellistica, di mitologia comparata,
di etnologia.
Giuseppe
Pitrè si può considerare il fondatore
della scienza folcloristica in Italia: egli
infatti diede alle ricerche, non solo un grande impulso,
ma anche e soprattutto, ordine, sistemazione e metodo.
ETTORE XIMENES
Pregi
e difetti di questo grande scultore palermitano (Palermo 1855- Roma 1926) balzano evidenti dall’osservazione anche di una sola sua
opera.
Lo Ximenes esprime la tendenza celebrativa del suo tempo
in forme eclettiche, composite, in cui tenta la fusione dell’ideale
con reale, di quello che sente con quello che vuole o deve fare.
Lo stile
descrittivo rivela influenze barocche non sempre nascoste dal
forte plasticismo, non sempre superate dalla tipica propensione
veristica meridionale. Fra le opere migliori
ricordiamo: L’equilibrio,
premiato a Parigi con medaglia d’oro, nel 1878; il monumento
a Verdi, a Parma; il gruppo
del Diritto, per il monumento a Vittorio Emanuele II;
il monumento a Garibaldi,
a Milano, del 1895.
VITTORIO EMANUELE ORLANDO
Il nome
di Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio dei ministri
durante la prima guerra mondiale, è legato alle vicende dolorose
di quel conflitto non meno che al formarsi della scuola giuridica italiana di diritto
pubblico, di cui il grande palermitano è considerato
fondatore.
Nato
a Palermo il 19 maggio 1860, Orlando iniziò l’insegnamento nella
sua città come libero docente di diritto
costituzionale, e passò quindi a Modena, a Messina e infine
a Roma, presso la cui università insegnò fino al 1931. Pubblicò
notevoli opere di argomento giuridico
e fu giurista e uomo politico insigne.
Eletto
deputato per Partinico nel 1897. Partecipò
ininterrottamente alla vita politica fino alle dimissioni del
7 agosto 1925. Al Parlamento occupò rapidamente una posizione
di prim’ordine. Fu Ministro della
Pubblica Istruzione nel secondo Ministero Giolitti e Ministro di Grazia e Giustizia e dell’Interno
in altri ministeri.
Il 29
ottobre 1917 divenne Presidente del Consiglio dei Ministri. Nell’ora, grave
per la storia d’Italia, che seguì alla disfatta di Caporetto,
sostenne e diresse l’opera di resistenza morale del Paese e
guidò l’Italia alla ripresa. Fu a capo della prima delegazione
italiana alla conferenza per la pace e qui, in condizioni difficili
per la freddezza degli alleati, sostenne le rivendicazioni italiane
fissate nel patto di Londra. I suoi sforzi, però, riuscirono
vani, poiché non fu possibile ottenere una soluzione di compromesso
che salvaguardasse i diritti italiani. Un voto di sfiducia alla
Camera lo costringeva a dimettersi dalla carica di Primo Ministro
nel giugno 1919.
Morì
nel 1952.
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