UOMINI ILLUSTRI

VINCENZO BELLINI

Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801. Dimostrò, precocissimo, la sua inclinazione alla musica, che fu educata e alimentata dalle assidue cure del padre.
Vincenzo fu un fanciullo prodigio: aveva sette anni quando compose un "Salve Regina" e un "Tantum ergo".
In Catania tutti conoscevano il piccolo musicista, un bambino biondo ed esile, con lo sguardo già velato da un'inconscia malinconia.
A 18 anni egli chiese ed ottenne dal Decurionato di Catania un sussidio per frequentare il Conservatorio di San Sebastiano a Napoli. Il maestro, Nicola Zingarelli, che era il migliore della sua scuola, dopo aver sottoposto il giovane ad un minuzioso esame, si prese cura di lui.
A Napoli Vincenzo trascorse sei anni di studio intenso e di assidua attività, e vi conobbe anche le gioie e le tristezze dell'amore; un'esperienza che lo arricchì spiritualmente e forse lo indusse a dedicarsi alla musica lirica nella quale eccelse.
Maddalena Fumaroli fu la fanciulla amata da Bellini; la dolcezza del nome corrispondeva alla soavità del temperamento. Innamorati entrambi della musica, i due giovani si compresero e si sentirono uniti da un affetto profondo. Ma Vincenzo non era ancora il compositore di grido che gli spettatori dei migliori teatri d'Europa avrebbero acclamato un giorno; il padre di Maddalena impose alla figlia di non frequentarlo più. Così il più bel sogno del giovane catanese si spense nell'amarezza.
In quegli anni egli scrisse, oltre che parecchi brani di musica sacra e strumentale, alcune liriche vocali che già manifestavano la straordinaria vena melodica dell'autore, e il melodramma "Andelson e Salvini" rappresentato nel 1825 nel teatrino del Conservatorio.
La malinconia, che aveva il volto gentile di Maddalena, fu la sua ispiratrice ed egli compose, per liberarsi della sua pena, moltissimi brani musicali, che introdusse in opere successive. Nel 1826 si rappresentava al San Carlo il melodramma "Carlo, duca di Agrigento". L'opera ebbe consensi così entusiastici, che Bellini fu invitato a Milano, e nel 1827, con una rappresentazione alla Scala, riportò un grandissimo successo.

Ormai la sua fama di compositore geniale era consacrata e, ciò che più conta, Bellini aveva acquisita una piena maturità spirituale ed artistica. Perciò i pochi anni che intercorsero fra il 1827 ed il 1831, furono fervidi di attività ed egli scrisse sette opere liriche, fra cui due capolavori: "La Norma" e "La Sonnambula".

Nel 1833 fu invitato a Londra, l'anno successivo era a Parigi, ultima tappa del suo viaggio terreno. Quasi presago della fine egli scrisse, con ardore febbrile, il terzo capolavoro: "I Puritani".
Il libretto dell'opera era stato offerto a Bellini dal patriota e letterato conte Carlo Pepoli esule in terra di Francia.

Morì il 23 ottobre 1835. Ospite dell'amico inglese Lewys che aveva una villa a Puteaux, poco lontano da Parigi.

GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga, uno dei più grandi narratori italiani dell'Ottocento, nacque a Catania il 31 agosto 1840.
Trascorse la fanciullezza, in famiglia e a scuola, nel clima di eroica tensione che anticipa le rivoluzioni.
La sua prima opera fu il romanzo "Amore e Patria" (1856-57); quattro anni dopo pubblicava "I Carbonari della montagna", che si ispirava alle vicende italiane del '59-'60; ma fu solo con la pubblicazione della "Storia di una capinera", a Milano nel 1871, che Verga acquistò fama nazionale.

A una prima serie di romanzi (Eva, Tigre Reale, Eros) ambientati nel mondo borghese, fece seguito nel 1874 la novella "Nedda" d'ambiente siciliano, che preludeva ai capolavori, la raccolta di novelle "Via dei campi" e il romanzo "I Malavoglia" che fu pubblicato a Milano dall'editore Treves nel 1881.
Nel 1883 il Verga pubblicava a Milano un'altra serie di novelle, le "Rusticane".
Nel 1888 usciva a puntate sulla Nuova Antologia il secondo romanzo, che fu pubblicato l'anno successivo dall'editore Treves: "Mastro Don Gesualdo".

Intanto la vita si sfrondava intorno a Verga: la famiglia che era stata numerosa perdeva a uno a uno i suoi componenti e il Verga rimaneva solo con il ricordo di una lunga vita amareggiata da molte incomprensioni. Morì il 27 gennaio 1922.

LUIGI CAPUANA

Capuana era nato a Minea, in provincia di Catania, il 28 maggio 1839.
Nel 1864 troncò gli studi giuridici avvitati nell'Università di Catania e si trasferì a Firenze, godendovi fama di quotatissimo critico letterario.
Da Firenze poi passò a Roma, dove fu professore di Letteratura italiana all'Istituto Superiore di Magistero.
Nel 1902 lasciò la Capitale per tornare definitivamente a Catania dove fu docente universitario fino all'anno della morte, avvenuta il 29 novembre 1915.

LUIGI STURZO

Nato a Caltagirone il 16 novembre 1871, Luigi Sturzo fu sacerdote, uomo politico, scrittore e sociologo.
Ordinato sacerdote nel 1894, si trasferì a Roma, presso l'Accademia Tomista e l'Università Gregoriana.
Nel 1896 entrò a far parte del primo movimento democratico italiano, accanto a G. B. Toniolo, R. Murri, F. Meda, V. Mangano, incominciando così ad elaborare quelli che sarebbero stati i temi della sua azione politica e sociale.

Nell'anno 1919 fondò il Partito Popolare Italiano che doveva interpretare le dottrine sociali della Chiesa. All'avvento del Fascismo egli si oppose con tutte le sue forze alla dittature e , nell'anno 1924, fu costretto ad abbandonare l'Italia, esule dapprima a Londra e poi a New York.

La sua attività culturale fu molto intensa ed è documentata da numerose pubblicazioni in italiano, in francese e in inglese: L'Italia e il fascismo, Saggio di sociologia, Chiesa e Stato, Politica e morale, Problemi spirituali del nostro tempo, La mia battaglia da New York, La Regione nella Nazione.
Ritornato in Italia nel 1946 partecipò vivamente alla vita politico-parlamentare della Nazione.
Morì a Roma l'8 agosto 1959.

GIOVANNI GRASSO

In una terra di così illustri tradizioni teatrali come è la Sicilia, Giovanni Grasso è l'espressione di una vivacissima arte del recitare, che si ricollega al gusto del dramma e della commedia mimata dei Greci e dei Latini.
Nato nel 1875 ad Aci Catena, portò in sé la passione per il teatro derivandola dal padre e dal nonno che aveva fondato in Catania un teatro dei pupi.
La sua abilità di marionettista lo rivelò a Nino Martoglio il quale lo fece esordire in un dramma d'ambiente siciliano "La solfara" di Giusti Sinopoli: questo suo primo esordio, come attore, gli creò subito una grande fama ed egli fu l'interprete eccezionale non soltanto di composizioni per teatro di carattere popolaresco, ma anche di testi classici, come "La figlia di Jorio" di G. D'Annunzio.

Attorno alla figura di Giovanni Grasso si venne formando una cerchia di attori che, nati nella stessa terra, seppero, ciascuno con la propria individualità, dar vita a quel meraviglioso fenomeno collettivo che è il teatro popolare.
Morì a Catania nel 1930.

ANGELO MUSCO

Angelo Musco nacque a Catania il 18 dicembre 1872.
Si potrebbe dire del Musco che fu un attore della commedia dell'arte, con il significato di pienezza di mezzi espressivi e di invenzione mimica che fu proprio di quel teatro.

Macchiettista e burattinaio del Teatro "Sicilia" di Michele Insanguine, passò poi ad altre compagnie che interpretavano l'opera dei pupi.
Attore nella compagnia di Giovanni Grasso, si fece ammirare per la novità della sua recitazione che agli accenti drammatici univa una caratterizzazione grottesca, e pure umana, dei personaggi.
I suoi massimi successi sono legati alla interpretazione di "Aria del continente" di Nino Martoglio, di "Liolà", del "Berretto a sonagli", de "La patente", di Pirandello e di "Paraninfu" di Capuana.

MARIO RAPISARDI

Fra gli amici di Verga, figurò, durante il suo soggiorno fiorentino, il poeta Mario Rapisardi, pure di Catania, ove era nato il 25 febbraio 1844 e dove morì il 4 gennaio 1912.

Spirito sdegnoso ma incapace di assurgere ad una coerente e duratura visione della vita, cantò con impeto esaltante ma passeggero i più opposti ideali.
Tentò, nella "Palingenesi" una conciliazione tra fede e progresso scientifico, ma undici anni dopo nel "Lucifero", fede professione di ateismo ed esaltò, sulle orme del Carducci, la libera ragione umana.

In un tempo in cui, anche in Italia si andava affermando la grande industria e con essa l'esigenza di una più equa giustizia sociale, il Rapisardi tradusse, in versi sonanti l'ideologia socialista con "La giustizia", ma poco dopo si espresse in termini desolantemente pessimistici sulla condizione umana in "Giobbe".
Lo sforzo di affrontare argomenti di grande respiro e di interesse attuale nocque al poeta, di cui possiamo cogliere una voce sincera nelle opere meno impegnative quali le "Poesie religiose" che segnano un convinto ritorno alla fede, e "L'asceta e altri poemetti", dove egli descrive con facile vena quadri di vita paesana e piacevoli paesaggi.

CONCETTO MARCHESI

Concetto Marchesi nacque a Catania il 1° febbraio 1878. Dopo aver tenuto la cattedra di Letteratura latina a Catania, si trasferì a Padova, dove illustrò quella Università con il suo insegnamento per lunghi anni. Filologo di grandissimo valore, interpretò le più nobili figure della Letteratura latina cogliendo in esse quegli aspetti che maggiormente riflettevano la sua concezione e i suoi ideali di vita. Tra le sue opere fondamentali ricordiamo la "Storia della letteratura latina" e le biografie di Seneca e di Tacito.
Morì a Roma il 12 febbraio 1957.