Era la metà
degli anni Settanta quando apparve sul mercato uno strano
fuoribordo.
Era diverso da tutti gli altri
nella forma, nella filosofia e persino nel non ostentare
da nessuna parte quel nome esotico e impronunciabile. ...E
d'altra parte, dove avrebbero potuto scriverlo, visto che
non recava neppure la più misera parvenza di carenatura?
Ad essere sinceri, una vaga
rassomiglianza con qualcosa di già visto ce l'aveva
..... tutti o quasi lo identificarono infatti come uno stretto
parente di un'icona (o un dinosauro, fate voi) della storia
del fuoribordo: il Seagull inglese.
Entrambi si presentavano essenziali,
privi dell'avviamento a riavvolgimento automatico, privi
di una manopola rotante per l'acceleratore, privi di un
cambio completo... insomma, duri e puri. Altro forte indizio,
era il gambale costituito da un grosso tubo inox ... non
c'era dubbio, il Whitehead era un altra di quegli stampalati
oggetti creati dagli abitanti della perfida Albione....
E invece no,
Lo Whitehead era prodotto nell'italianissima
Livorno, progettato dagli italianissimi tecnici della Motofides,
di proprietà della più italiana delle industrie
italiane.... la FIAT.
Ma perchè allora quel
nome strampalato? E perchè lo Whitehead era così
diverso da tutti gli altri?
Qui vado ad indovinare ( ma
mica tanto) perchè una spiegazione ufficiale ovviamente
non c'è.
L'ipotesi più probabile
è che si volesse evitare di entrare da buoni ultimi
in un mercato già affollato ( all'epoca la crisi
energetica aveva già minato la solidità di
molti produttori, ma ancora non si era verificato quell'effetto
domino che portò nel 1980 a contare non più
di quattro o cinque produttori indipendenti superstiti),
trovandosi quindi a rincorrere marchi che già avevano
impresso una loro precisa fisionomia al "fuoribordo".
Sarebbe sicuramente stato più
semplice tentare di creare un nuovo filone, una nuova filosofia
funzionale e, in caso di successo, costringere così
gli altri a "rincorrere".
Questo spiega anche perchè,
in questa fase, la Fiat, la Casa che aveva motorizzato l'Italia,
evitasse di apparire in prima persona, aspettando di vedere
come il mercato avrebbe accolto la sua nuova idea: in caso
di flop, a rimetterci sarebbe stata solo l'immagine della
misconosciuta Motofides...
Solo a partire dai primi anni
'80, con l'accorpamento della Motofides alla Gilardini di
Livorno, nel momento di maggior successo modaiolo degli
Whitehead, sui depliant apparirà la scritta "Fiat
per la nautica" e, ironia della sorte, proprio allora
inizierà il rapido declino dei motori toscani...
Per qualche anno il W6 rimase
l'unico alfiere della casa livornese presente sul mercato,
a preparare il terreno commerciale, a farsi conoscere proprio
grazie a quell'aspetto originalissimo, quasi "vintage",
che attirava la curiosità dei vicini di banchina.
Di "antico" però
nel W6 c'era ben poco.
|
L'accensione era elettronica
marinizzata e, come si scoprì con la nascita del
fratellone bicilindrico W12 da 10 hp, modulare.
Il circuito elettrico di ogni
cilindro era cioè completamente indipendente, composto
da un unico blocchetto annegato nella resina, che incorporava
sia la bobina che il sistema di gestione della fase
I materiali erano esclusivamente
acciaio inox e alluminio passivato. Quella che sembrava
una banale verniciatura nera era in realtà un trattamento
di anodizzazione dura a spessore, in grado di proteggere
efficacemente dalla corrosione, rifinito con una vernice
poliuretanica semiopaca.
Il serbatoio era separato ed
il motore veniva alimentato attraverso una pompa AC solidale
al carburatore.
|
|
|
Ma l'aspetto più originale,
nonchè la vera novità dei Wh, era il gambo
tubolare scorrevole, che permetteva di regolare in modo
"personalizzato" l'immersione del piede, adattando
in un attimo il propulsore a barche a gambo lungo o corto,
nonchè di effettuare le regolazioni "di fino"
senza ricorrere a zeppe e spessorini di legno sullo specchio.
Dulcis in fundo, erano disponibili
due distinte versioni, con piede normale ( W6S) e con piede
da spinta (W6L), quest'ultimo caratterizzato da un elevato
rapporto di riduzione e da una enorme elica tripala.
|
Il W6 versione "base"
venne in capo ad un paio d'anni affiancato da una versione
meno spartana, dotata di un dispositivo di riavvolgimento
automatico della fune di avviamento, alloggiato in una microcapottina
che, guarda un pò, era....rossa!
La disponibilità di un
seppur ridotto spazio protetto, fu sfruttata dai tecnici
di WH anche per alloggiare esternamente al volano il blocchetto
di accensione, mossa che ne aumentò ancor di più
la flessibilità.
In caso di problemi, infatti,
poteva essere sostituito senza difficoltà e senza
attrezzi particolari, semplicemente sganciando i due fermi
a molla che tenevano in sede la carenatura e allentando
un paio di viti.
|
|
|
Contemporaneamente, fu immesso
sul mercato il modello W12, bicilindrico, perfettamente
integrato nella medesima filosofia costruttiva, ma dotato
di un piede più raffinato ed idrodinamicamente valido.
In verità il W12 era
nato con il medesimo piede del W6 base, che però
essendo privo di folle e retro, obbligatori per legge oltre
i 6 hp, rendeva di fatto "non omologabile" il
motore.
Quella di creare un nuovo piede
fu quindi praticamente una scelta obbligata, ed essendo
rimasto invariato il gambale, adottarlo anche sul 6 hp non
avrebbe offerto alcuna difficoltà tecnica.
|
Il terzo ed ultimo passo dell'evoluzione
del W6 fu quindi la creazione della versione SL3, dotata
del piede del W12, completo di scarico nel mozzo dell'elica,
e di cambio completo AFR, la cui idrodinamica risultava
però rovinata dalla presenza di vistose viti sporgenti
.
Le eliche, secondo una razionale
scelta commerciale mai abbastanza lodata, erano intercambiabili
tra tutti i vari modelli, da 5 a 20 hp, e disponibili in
una vasta gamma di passi.
|
|
|
La capottina, finalmente di
colore bianco, era leggermente più alta che nella
versione precedente, con il solo logo W6S riportato sulla
decal azzurro mare..
La leva del cambio, apparentemente
tradizionale e predisposta per l'applicazione dei telecomandi,
aveva un funzionamento invertito rispetto alla prassi corrente,
con la retro in avanti...
Quasi introvabili erano invece
il comando dello starter e il pulsante di STOP, piccoli,
neri e ben mimetizzati nella silhouette del motore...
|
Rimaneva immutato sulla barra
di guida, completamente ripiegabile ed abbattibile, il comando
acceleratore a "farfalla", decisamente superato
e scomodo.
|
|
|
La quarta evoluzione del W6,
che fece a malapena in tempo ad apparire sul mercato, intorno
al 1982, era quasi indistinguibile dalla precedente, ma
aveva finalmente l'acceleratore a manopola rotante, già
da tempo presente sul modello W12, con il quale, monoblocco
escluso, aveva in comune anche quasi tutte le altre componenti.
La capottina, tornata a recare
il nome scritto per esteso, aveva fregi finalmente piacevoli
con bande azzurre sfumate....
Ormai però la moda degli
Whitehead si era esaurita, complice anche la delusione dell'atteso
20 hp, rivelatosi assolutamente tradizionale, poco attraente
e ancor meno affidabile.
Iniziarono inoltre ad emergere
e ad assumere importanza nell'utenza anche molti dei cronici
difetti della filosofia WH, primo fra tutte la sensibile
trasmissione di vibrazioni allo scafo attraverso il gambale
privo di qualsiasi tipo di isolamento in gomma.
Non vanno poi trascurate la
rumorosità, particolarmente fastidiosa sul modello
12, e l'elevata temperatura raggiunta dal monoblocco completamente
esposto.
Infine, nonostante la leggerezza,
il trasporto ed il brandeggio non risultavano particolarmente
agevoli, data l'assenza di sicuri punti di presa ed appoggio,
ad esclusione di una larga maniglia sul retro, peraltro
in posizione non bilanciata.
|
Ai difetti di progetto, che
tutto sommato tali non erano, essendo insiti nella filosofia
del "duro e puro", si sovrapposero purtroppo gravi
vizi di realizzazione
Il verificarsi di casi di cedimenti
delle fusioni, affette da soffiature e difettosità
varie, rivelò che il controllo qualità interno
non era all'altezza di un marchio di prima grandezza, e
minò la fiducia degli utenti nella Whitehead.
|
|
L'avventura Fiat ebbe così
termine alla metà degli anni '80, ed assieme ai motori
sparì anche la rete di assistenza e la fornitura
di ricambi....
I proprietari degli esemplari
circolanti furono in pratica abbandonati a se stessi e la
sopravvivenza di qualche Whitehead è oggi vincolata
alla resistenza della meccanica o alla disponibilità
di qualche esemplare gemello da "cammibalizzare".
La sola girante della pompa acqua è ancora reperibile
come ricambio, presso numerosi negozi online...
Chi ce l'ha, presti la massima
attenzione al connettore benzina, fragile ed introvabile,
e soprattutto ai documenti, di cui è pressochè
impossibile ottenere un duplicato, in caso di smarrimento.
|
By
Camillo
Venezia
©
|
Ultimo aggiornamento 12/06/2010
|
|
|