Verso la metà degli
anni '60, andò aumentando la disponibilità di blocchi
fuoribordo di grossa cubatura e potenza.
Il contemporaneo affermarsi dell'Entrofuoribordo
" Z-drive" , altresì detto "gruppo poppiero",
spinsero i costruttori a dar vita a prodotti ibridi sulla base
di ipotetici quanto incerti vantaggi.
Accoppiare un blocco motore due tempi
ad un piede fisso, infatti, significava sommare i difetti del
primo (fumosità, rumorosità, elevati consumi specifici)
a quelli del secondo ( maggior peso, maggior ingombro, maggior
complessità e fragilità, impossibilità di
spostare facilmente il motore da una barca all'altra).
I commerciali delle varie Case, invece,
vedevano nell'operazione solo una scorciatoia per ridurre i costi
di produzione, ridurre la dipendenza dalla GM, che forniva a tutti
i grossi 4 tempi normalmente utilizzatio coi Z Drive ed ampliare
l'offerta senza investimenti impegnativi.
Ovviamente il problema di dover far
lavorare in orizzontale motori nati per stare in piedi non li
interessava, e altrettanto dicasi delle perdite di potenza ed
affidabilità indotte dalla presenza delle crociere e di
un'ulteriore coppia conica di rinvio.
Nacquero così progetti tecnicamente
già falliti in partenza.
Li avessero proposti oggi, in un periodo
in cui per un prodotto il "Far tendenza" è prevalente
sull'effettiva validità , sarebbero probabilmente stati
un clamoroso successo...
OMC nel realizzare il suo puzzle non
ci mise molta fantasia.
Accoppiò pari pari il blocco
V4 ed il piede del suo 90 hp alla classica trasmissione "Z
drive" che già produceva su licenza Volvo e la cosa
finì lì, in tutti i sensi.
Provarono poi a "spingere"
questa sorta di Frankenstein montandolo di serie sulle loro imbarcazioni
ad "ala di gabbiano" , ma la cosa rimase quel che
era... un'americanata.
Mercury seguì la stessa via,
ma con ancor minor convinzione.
Qualcosa di interessante riuscì
invece a trarre dall'idea la svedese Crescent, che fu l'unica
a staccarsi dall'originale idea dello Z-drive.
Nacque così il C-drive.
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Già ad una prima occhiata , appare evidente che, con il
classico gruppo poppiero brevettato da Volvo, il C-Drive ha ben
poco a che spartire.
La prima cosa che salta all'occhio è la posizione traente
dell'elica, protetta dal tagliamare frontale.
Molti hanno erroneamente pensato che si trattasse di una innovazione
per favorire l'idrodinamica, e che tutta la strana forma della
struttura fosse conseguenza di questa scelta.
In realtà, checchè ne dicessero i volantini pubblicitari
dell'epoca, è vero il contrario, ed è la posizione
dell'elica ad essere un "effetto collaterale" dell'intero
progetto.
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Se ci pensate, infatti, montare l'elica in posizione traente
comporta più svantaggi che vantaggi.
- Innanzitutto risulta molto più esposta ad urti contro
corpi solidi e a raccogliere detriti semigalleggianti, come
sacchetti di nylon, cime etc.
- In secondo luogo viene a trovarsi molto più vicina
alla carena dello scafo, risentendo maggiormente della vorticosità
di scia, per cui anche il presunto vantaggio di lavorare "in
acque indisturbate" va a farsi benedire.
Insomma, state tranquilli che se un produttore
monta un'elica marina in posizione traente, è perchè
non ha potuto fare diversamente.
Qual'è allora il vero scopo di questa sconcertante realizzazione?
Semplice:
- Rendere monolitico ed indipendente dallo
scafo il complesso blocco/trasmissione/ piede.
Nel C-drive infatti, e qui sta la novità, lungo la linea
di trasmissione non vi sono nè crociere nè rinvii.
Tutto il complesso, dal motore all'elica, è rigido e solidale,
senza mutui movimenti o rotazioni, a tutto vantaggio della robustezza.
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L'albero di trasmissione, uscendo dal gruppo di riduzione posto
sotto il blocco motore, arriva dritto sino alla scatola ingranaggi
nel piede, ove un'unico rinvio a 45° trasmette il moto all'asse
elica.
Il gruppo era disponibile con diversi rapporti di riduzione.
In un opuscolo del 1968, si fa riferimento pure a "due
velocità", il che prelude alla presenza di un cambio,
forse azionabile in corsa!
Anche il condotto di scarico, come in un fuoribordo convenzionale,
passa attraverso il gambale senza necessità di giunti,
collettori o manicotti esterni, e sbocca sul retro del siluro
della trasmissione, dal lato opposto all'elica, realizzando
un vero e proprio "scarico nel mozzo" in un periodo
storico in cui la sola Mercury iniziava ad offrirlo.
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E' evidente nonostante offrisse persino qualche caratteristica
in più, la minor complessità di un sistema così
concepito rispetto allo Z Drive, con notevole riduzione dei
costi di produzione ed assemblaggio e, soprattutto, con minor
dispersione di potenza.
Questo era d'altra parte un traguardo necessario per Crescent,
il cui blocco motore "ammiraglio" era all'epoca un
tre cilindri di soli 45 hp, che non poteva certo permettersi
il lusso di dissiparne la metà in attriti vari.
Va da sè anche che, non essendo il gruppo motore solidale
allo scafo, l'installazione non richiedeva supporti o rinforzi
predisposti, rendendo molto più semplice l'adattamento
della barca ad accoglierlo..
Tutto il sistema faceva perno ( anche in senso letterale) su
un unico componente dell'imbarcazione, ovvero lo specchio di
poppa, esattamente come nei fuoribordo tradizionali, e anche
il "tilt" del piede, che interessava l'intero gruppo,
veniva facilitato dal contrappeso offerto dal blocco motore.
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Un confronto di silhouette con il
contemporaneo Aquamatic Volvo rende giustizia alla maggior compattezza
sia esterna che interna del C-Drive, anche se ci sarebbe parecchio
da discutere sul fatto che avere l'elica così a ridosso
dello specchio, in un'epoca in cui sempre più spesso si
ricorre al "bracketing" sia effettivamente da considerarsi
un vantaggio.
Vero è per contro che avvicinando
l'elica al perno di rotazione si riduce notevolmente lo spostamento
trasversale della stessa nelle virate, riducendo lo sforzo allo
sterzo ma al contempo mantenendo se non aumentando l'effetto timone
dato dal piede.
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Sarebbe stato interessante veder realizzato
un sistema C-Drive di potenza superiore, intorno ai 150 hp.
Pur soffrendo comunque, rispetto ad
un tradizionale fuoribordo, di tutte le limitazioni indotte dall'installazione
fissa, avrebbe sicuramente avuto ben più frecce al
suo arco per aprire una "terza via " ai sistemi di motorizzazione
da diporto.
Non è assolutamente detto che
sarebbe stata quella giusta, ma avrebbe forse influenzato, più
o meno incisivamente, le realizzazioni successive, e quindi la
STORIA stessa della propulsione da diporto.
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La sconcertante estetica, e l'innegabile
complicazione data dall'installazione semipermanente, invece,
non giustificata dalla scarsa potenza erogata, ed unite alla limitata
diffusione commerciale del marchio, fecero naufragare l'idea del
C-drive, relegandolo tra i numerosi "flop" di quell'era
di sperimentazione continua che in campo diportistico fu il ventennio
50-70.
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Qualcuno avrà
forse notato che, per la prima volta da oltre un anno, le foto
che illustrano l'articolo sono state da me "personalizzate"
con l'indirizzo di questo sito .
La cosa si è
resa necessaria a causa di uno spiacevole episodio.
I contenuti e le immagini
di questa pagina erano stati da me preventivamente pubblicati
circa tre mesi fa sul forum di "www.gommonauta.it",
cui questo sito era gemellato, nel corso di una discussione
concernente il nuovo sistema di trasmissione Volvo IPS.
Di qui, sono stati
ripresi pari pari, testo e foto, senza citare la fonte e senza
mia autorizzazione, su di un altro sito da cui, a
seguito delle mie proteste, sono stati rimossi.
Nonostante il mio
esplicito divieto alla riproduzione non autorizzata, infine, mentre
stavo per mettere on line questa pagina, me li son ritrovati parzialmente
ripubblicati nel numero di Aprile del periodico "LA MIA BARCA",
insieme a
molte altre osservazioni da me espresse in quel thread, con
troppe analogie per pensare ad una semplice coincidenza.
Ovviamente anche in
questo caso senza citare la fonte ma solo facendo riferimento
a vaghi "scartabellamenti" su Internet.
Pur essendo da sempre
fautore della massima e libera diffusione delle informazioni,
purchè senza fine di lucro, ritengo tale azione scorretta
e contraria alle più elementari regole dell'etica giornalistica.
Tenetene conto al
momento di decidere cosa comprare in edicola.
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