Charles Schulz annuncia: "Non disegnerò più i Peanuts"

Charlie Brown, in morte
dell'eterno bambino



di MICHELE SERRA

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Charlie Brown morirà primi di gennaio del 2000. Senza aver potuto calciare, nemmeno una volta, il pallone da football che la perfida Lucy gli sottrae al momento culminante. Senza aver dipanato il filo del suo aquilone, orribilmente aggrovigliato all'unico albero dei dintorni. Senza avere trovato il coraggio di dichiararsi alla ragazzina dai capelli rossi. Senza essere cresciuto, e perpetuando così anche per conto nostro il dubbio di ogni anima sensibile: ma crescere non sarà poi una fregatura?

Con lui spariranno dai giornali di tutto il mondo Linus, Lucy, Snoopy, Sally, Pig Pen, Schroeder e gli altri bambini dei Peanuts. Non spariranno gli adulti, per il semplice fatto che non sono mai apparsi. La loro presenza, nei Peanuts, è data per scontata, come tutte le cose noiose. Il multimiliardario Charles Schulz, che da quasi cinquant' anni disegna di suo pugno le strisce, è vecchio e ammalato, e ha deciso che può bastare. Ci sono scorte fino al primo gennaio. Poi basta, i bambini usciranno tutti in fila dal margine della pagina.

Vorremmo essere tristi. Non dobbiamo esserlo. La smania di immortalità che fibrilla nel cuore dell'impero ha risparmiato i Peanuts. Devono avere intuito quanto di squallido, quanto di indecoroso stilla dalla necrofobia occidentale, dalla smania di durare a ogni costo, di eternarsi. Allo stato dell'arte, tecnologia e superprofessionismo avrebbero tranquillamente consentito di perpetuare la specie dei Peanuts, magari clonandola. Ma Schulz preferisce di no, e siamo certi che la sua scelta ha molto a che fare con la sua formidabile assenza di cinismo, con la mitezza filosofica che stilla dalle sue storie. Poetici senza mai essere melensi, sentimentali senza mai essere patetici, i Peanuts hanno conquistato il mondo grazie all'universalità dell'infanzia, la divina età, insieme fragile e megalomane, in cui l'uomo non ha mai secondi fini, troppo urgente essendo il primo, quello di esistere e di essere felici. L' acutezza psicologica, l'umorismo raffinato, l'amoroso sguardo con i quali Schulz ha saputo raccontare i bambini sono un piccolo miracolo dell' ingegno umano.

Ancora più miracolosa è stata la capacità dei Peanuts di non soccombere mai, neppure per una striscia o una battuta, alla loro meritata dimensione di fenomeno planetario, e di prodotto di massa. La qualità e l'intelligenza sono rimaste intatte, giorno dopo giorno, e proprio in virtù della vocazione artigianale con la quale Schulz ha continuato a lavorare. Perfino la gadgettistica, che soprattutto nei Settanta fu particolarmente invasiva, non è mai riuscita a rendere del tutto stolide le sagomette dei suoi eroi (come è accaduto, invece, ai vari disneyfici di tutto il mondo).

I lettori italiani hanno potuto conoscere i Peanuts con pochissimo ritardo rispetto agli americani. Avvenne sul finire dei Sessanta grazie a Linus, a Oreste Del Buono e al piccolo gruppo di intellettuali (tra i quali Eco e Ranieri Carano) che riconobbero nei "comics" il potere dell'arte. Gli intellettuali ogni tanto servono a qualcosa. I personaggi di Schulz sono indissolubilmente legati, per noi italiani, a quel giornalino intelligente e coraggioso, che ebbe la sua parte, non secondaria, nella formazione culturale e politica di due generazioni almeno.

Schulz avrà sicuramente chiesto ai suoi bambini, prima di chiudere la serranda, che cosa ne pensassero. A parte Snoopy, la cui fame quasi rabelaisiana non potrà più essere placata dalla ciotola quotidiana, sono sicuro che gli altri avranno dato il loro assenso. Perfino fare i bambini, alla lunga, può stancare. Perfino il successo, alla lunga, può far desiderare che si ritorni alla solitudine, a una normale vita sui prati ben rasati e tra le palizzate degli eterni sobborghi americani, oppure davanti alla tivù, con un giacimento di pop-corn sul grembo.

I Peanuts avrebbero rischiato di invecchiare come una Shirley Temple qualunque. Rimarranno per sempre bambini, e soprattutto per sempre nella memoria del mondo. E non perché lo abbia deciso una major, ma perché se lo sono meritati da soli, così piccoli, così sballottati dalla vita, così sagaci e innocenti nel subirla senza farsene corrompere.

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