Prefazione

Questo libro si sviluppa attorno ad una proposta che riguarda una lettura di nuovo tipo della realtà che ci concerne; sia come individui, sia come animali all’interno di una specie, di un mondo e di un universo. Su tutti questi temi la scienza contemporanea ci ha fornito una serie di elementi di conoscenza forse non esaustivi e certamente perfettibili, ma che indubbiamente ci permettono una lettura più adeguata del mondo e della vita anche rispetto al recente passato, sia pure con tutti i limiti concernenti le nostre facoltà intellettive e gli strumenti d‘indagine di cui possiamo disporre.

Con l’assunzione di questo sottofondo scientifico, più sottinteso che esplicitato, il dualismo antropico reale (dualismo della realtà antropica), quale derivato del "pluralismo della realtà" (di cui parleremo presto), intende darsi delle fondamenta oggettive, su cui poter elevare una costruzione con prerogative minime di solidità. Ne emerge una concezione del mondo laica, anzi decisamente atea e fors’anche irreligiosa, dove viene espunto ogni trascendentalismo e dove tuttavia si cercano gli sfuggenti segnali di eventuali aspetti della realtà non immediatamente accessibili alle nostre correnti capacità sensorie ed intellettive. Ciò ci induce ad avviare e condurre un’esplorazione anticonvenzionale, fuori e dentro di noi, riconsiderando e rileggendo l’evoluzione umana e dell’universo in termini per cui, senza indulgere a tentazioni metafisiche, ci si domanda quanto di antropologicamente autentico le religioni e le ideologie spiritualistiche abbiano potuto raccogliere della realtà, per analizzarlo ed eventualmente recuperarlo criticamente. Questa ricerca dovrebbe metterci nelle condizioni di non correre il rischio di "buttare il bambino con l’acqua sporca", come fanno spesso i materialismi radicali e dogmatici.

Se ha un senso chiedersi se la zanzara e l’ape esperiscano una realtà a noi preclusa e che lo stesso facciano la scolopendra e il ragno, il polipo e l’anguilla, la talpa e il pipistrello (1)e via via tutti gli altri nostri compagni grandi e piccoli della biosfera (2), non si vede perché, in termini corretti e con modalità induttive adeguate, non si possa ipotizzare che l’esperibile non sia unico ma molteplice, al punto da rendere legittima l’ipotesi di un "pluralismo della realtà" che la presunzione dell’homo sapiens vuole invece da sempre unica e monodirezionale, e che coniuga con l’ipoteca assiomatica secondo la quale "il tutto" deve essere riducibile ad un solo principio, materiale o spirituale.

Ma, da un punto di vista pragmatico, che cosa significa "pluralismo della realtà"? In effetti il nostro pluralismo ha due significati, uno "ipotetico"e uno "reale". Quello ipotetico riguarda la cosmologia e i suoi correlati, in accoglienza delle tesi di quegli astrofisici e cosmologi (sempre più numerosi), i quali, con solide basi argomentali, immaginano (poiché è praticamente impossibile una verifica) una realtà globale che va ben oltre i confini dell'universo in cui viviamo, ipotizzando l'esistenza di molti universi (se non infiniti) oltre al nostro. Alcuni arrivano anche a pensare ad universi interni al "nostro", nel senso che al fondo di ogni buco nero si potrebbe forse anche formare un ulteriore universo. Se le cose stessero così la realtà generale sarebbe assai simile a un immenso sistema di scatole cinesi, dove ogni universo è contenuto in un altro più vasto e nello stesso tempo diventa contenitore di altri al suo interno. Inutile aggiungere che ogni universo potrebbe avere leggi fisiche e caratteristiche proprie (per esempio essere costituito di antimateria). Pluralità di universi che naturalmente possono nascere e morire, espandersi o contrarsi, ecc., e che darebbero luogo ad uno scenario generale dove noi uomini (così presuntuosi!) che risultiamo già fisicamente insignificanti nel "nostro" universo scompariremmo decisamente in un pluriverso generale così ipotizzato.

Nel suo significato "reale" il pluralismo invece riguarda la realtà nota, percepita o intuita dall'uomo, e intende correggere il nostro modo corrente di pensarla, a causa del quale (e per ragioni che cercheremo di mettere in evidenza nelle pagine che seguiranno) noi tendiamo sempre ad unificare elementi della realtà che andrebbero considerati isolatamente, almeno dal punto di vista "strutturale". Mentre da quello "funzionale" (non per "quello che sono" ma per "quello che fanno"), molto spesso vanno riferiti al sistema di cui fanno parte, anche perché talvolta si presenta come un'unità di carattere olistico (vedi Capitolo 1 nota 4), con caratteristiche e comportamenti emergenti ed aggiuntivi rispetto alla somma di quelli dei suoi componenti. Un estensione di questo secondo aspetto del nostro pluralismo è quello che non dà per nulla scontato che le nostre conoscenze sul mondo vivente al quale ci accompagniamo su questo pianeta siano assolutamente esaustive e che è invece verosimile che possano sfuggirci realtà "interne" alle altre specie soltanto perché in nostri mezzi di indagine intellettiva e sperimentale non ce li rivelano.

Con le premesse di cui sopra diamo ora una breve anticipazione su ciò che verrà trattato in seguito, quando verrà sviluppato il secondo significato (quello "reale") relativo al nostro pluralismo della realtà. D'altra parte, se deve considerarsi "reale" ciò che concerne un percettore qualsiasi all'interno della realtà generale non c'è motivo perché a priori debba essere assunto un percettore privilegiato (l'uomo) che attraverso i suoi sensi e la sua intellezione stabilisca che dev'essere "in generale" ciò che lo è "per sé" (in quanto animale pensante). In altre parole, ciò che è reale per l'uomo può bene esserlo per gli altri animali, in quanto comune ne è il fondamento (la materia vivente), ma ciò non implica che questo sia il solo reale esistente e che ciò che si dà all'uomo percettivamente e intelligibilmente costituisca "tutta" la realtà del nostro mondo. L'assunzione di questo punto di vista ha un'immediata conseguenza per l'uomo stesso, poiché (essendo contemporaneamente soggetto ed oggetto dell'indagine) diventa possibile pensare (e porre) come "reale" anche ciò che non è percepibile né intelligibile in se stesso, ma di cui sono percepibili e intelligibili ireali effetti sul nostro esistere.

Il dualismo antropico reale allora, quale sottospecie di una visione pluralistica della realtà, intende esaminare l'esistenza dell'uomo entro i limiti dell'orizzonte sicuro della percezione e dell'intellezione, lasciando tuttavia una finestra di conoscenza aperta su orizzonti eventualmente solo intuibili, ma decisamente "reali" nella loro effettualità (3). Da tale apertura, con una riflessione più attenta e profonda, diventa allora possibile accedere al "non-riconosciuto" e quindi mettere in evidenza e tematizzare aspetti della realtà che si sottraggono ai sensi e alla ragione, ma che sono perfettamente accessibili alla sensibilità e all'intuizione. Questa effettualità (incontestabilmente "reale") ci autorizza ad estendere l'indagine sulla realtà spostandone i confini verso ciò che si dà nell'intuizione, per esempio nei sentimenti e nelle emozioni, senza che sia possibile coglierne la sostanza . Perciò dire che la biosfera possiede una "realtà" plurale significa che, oltre ad una realtà generale (la materialità) comune a tutti gli esseri viventi, noi ipotizziamo (insieme ad essa) molte altre realtà di tipo particolare, concernenti esperienze specifiche, alcune delle quali (nella nostra esperienza) si caratterizzano sicuramente come "irriducibili" alla materia. Una concezione pluralistica della realtà è da parte dell'uomo anche un atto di umiltà, che prospetta la tesi che gli altri animali (appartenenti al nostro o ad altro ecosistema) abbiano la possibilità di vivere esperienze a noi totalmente precluse, ma nello stesso tempo legittima l'ipotesi che l'uomo stesso possa esperire dei tipi di realtà differenti e non riconducibili agli altri esseri viventi.

Dopo queste anticipazioni su quantoè alla base di ciò che verrà qui esposto desidero preliminarmente evidenziare che questo è sì un libro di filosofia, ma che intende essere accessibile al lettore generico. Per tale ragione il testo che seguirà, nel suo intento non secondario di fondarsi anche su di un sano "senso comune" potrà essere filosoficamente abbastanza rozzo; d’altra parte (lo ammetto volentieri)è proprio la mia preparazione filosofica ad essere piuttosto rozza. Tale limite però mi lascia sperare in un suo eventuale pregio nascosto: quello di consentirne la lettura a persone del tutto prive di cultura filosofica, coloro che frequentemente vengono definiti gli "uomini della strada", i quali, perciò, possono essere considerati i destinatari privilegiati di questo lavoro.

Utilizzo i termini del linguaggio corrente e tradizionale ogni qual volta mi è possibile. Ciò a una condizione: che essi si adattino validamente ai concetti che intendo esprimere. Peraltro ho dovuto mutuare dalla filosofia "dotta" anche alcune espressioni ed argomenti che mi sono parsi compatibili con la chiarezza e la semplicità che mi sono proposto, ovviamente quando essi risultino già sufficientemente noti e tali da non compromettere l'accessibilità del discorso. In alcuni casi, per evitare equivoci, sono stato costretto ad introdurre dei termini nuovi. Spero che essi non disturberanno troppo, ma se ciò fosse il Glossario, posto a fine testo e prima degli indici, potrà costituire un valido aiuto. Tali termini saranno sempre scritti in corsivo, come la maggior parte dei termini filosofici o specifici di qualche altra disciplina, insieme con le parole in lingue diverse da quella italiana.

Un ultima osservazione: il libro contiene numerose note a piè di pagina, rese necessarie per chiarire o corredare termini e affermazioni di elementi utili ai fini di una piena comprensione. In linea di massima esse non sono affatto indispensabili per comprendere il testo nelle sue linee principali e quindi possono essere tranquillamente saltate; questo almeno in prima lettura. Il lettore che avrà trovato interessante l'esposizione potrà poi tornare sui suoi passi in un secondo tempo e perfezionare così la comprensione di ogni dettaglio.

Dedico questo libretto agli sconosciuti compagni di viaggio che hanno vissuto e vivranno un'esperienza esistenziale simile alla mia. Penso che siamo in molti, reciprocamente sconosciuti e sparsi nei cinque continenti. Ad essi va tutta la mia fraterna solidarietà.

Chiudo questa breve prefazione con due parole sul titolo: l’opposizione necessità/libertà non è nuova e non posso neppure escludere che esistano già libri con questo titolo scritti in passato. Tuttavia non vi ho potuto rinunciare, poiché, attraverso esso e piuttosto sinteticamente, viene già enunciata la chiave di accesso al cuore del problema che verrà qui affrontato, anche se ciò avverrà con gradualità e quindi se ne comprenderà la ragione a poco a poco nello sviluppo dell’argomentazione.



NOTE:

(1) Il filosofo americano Thomas Nagel in un famoso articolo del 1974 si chiedeva Che effetto fa essere un pipistrello? (in Questioni mortali - Il Saggiatore 2001 - pag.162-175) In esso si sosteneva una tesi antiriduzionistica della realtà, nella quale si affermava che le qualità oggettive dell'esperienza costituiscono un aspetto "irriducibile" della realtà. E siccome la soggettività altrui è accessibile solo con uno sforzo di immedesimazione con il punto di vista dell'altro, non si può escludere che esistano forme di esperienza del tutto reali (ma precluse alla nostra percezione e alla nostra intellezione) che ci sono irrimediabilmente precluse, data appunto l'impossibilità di immedesimazione con chi le esperisce.

(2) Utilizzeremo spesso questo termine per indicare il complesso del mondo vivente in ogni sua forma ed espressione.


(3) Definiamo con effettualità l'insieme delle conseguenze pratiche percepite da un soggetto a causa di un agente della realtà, sia esso noto od ignoto. In altro senso è un modo d'essere di ciò che accade realmente rispetto a ciò che è soltanto possibile. In termini aristotelici ciò che caratterizza l'atto rispetto a ciò che rimane solo potenza. Contrario quindi di potenzialità e opposto di virtualità.