Conclusione.
Prima del commiato vorrei dire due parole
di conclusione. Quando e come il cervello
della specie homo sapiens abbia
cominciato a possedere un’idema sufficientemente potente da
percepire l’aiteria non è dato saperlo. Le pitture
rupestri risalenti al Paleolitico rinvenute
ad Altamira e a Lascaux (in assenza
di altri reperti contemporanei riferibili
alle altre espressioni dell’estetica
e di ogni altra categoria) sono con buona probabilità nate non per
fare
dell’arte fine a se stessa, ma sicuramente
costituiscono un grande esempio di
abilità grafica straordinariamente “naturalistica”,
da riferirsi a pratiche
magiche relative alla caccia. Bisogna tuttavia
riconoscere che a livelli
imitativi ed espressivi di quel livello i
loro autori appartengano ad una
categoria di nostri progenitori molto evoluti
e già largamente accedenti alle
esperienze aiteriali in forme abbastanza
simili alle nostre.
Si delinea così un arco temporale
risalente nel tempo con una certa ampiezza
dal quale risulta che la nostra
specie intrattiene da molti millenni rapporti
molto stretti con l’aiteria,
rapporti che sono andati via via intensificandosi,
fino a determinare la
situazione odierna. Situazione nella quale,
soprattutto nel campo dell’etica
(sia nelle consuetudini che nelle leggi),
sono stati fatti negli ultimi
millenni enormi passi in avanti in senso
aiteriale ed enormi passi indietro in
senso materiale, determinando così l’uomo
contemporaneo, il quale (specialmente
nelle civiltà più avanzate) si è allontanato
considerevolmente dalla naturalità
primitiva, con vantaggi e svantaggi noti
e constatabili. Dove i vantaggi
concernono perlopiù l’aspetto della socialità
e della più confortevole qualità
di vita, non senza decisi svantaggi sul piano
dell’inquinamento e dello
stravolgimento del territorio e del clima.
Il DR, in quanto filosofia
esistenziale che si occupa dell’aspetto aiteriale
dell’esistenza umana, ma
senza alcuna svalutazione di quello materiale,
pone sullo stesso piano
assiologico le esperienze materiali e quelle
aiteriali pur riconoscendo le
differenze sul piano dell’esistenza. È evidente
che se noi “siamo” è grazie
alla materia e che l’aiteria è
soltanto un elemento aggiuntivo, che arricchisce
la vita, ma che del tutto
inessenziale ad essa. Se noi non avessimo
un idema così sviluppata e di
questo tipo non per questo saremmo più primitivi,
al contrario, probabilmente
avremmo meglio sviluppato intelletto e ragione e potremmo
definirci animali razionali più evoluti e
più puri, anche se sempre largamente
spuri in rapporto alla psiche. Probabilmente vivremmo fruendo musica,
pittura o letteratura di tipo assai diverso
e avremmo costumi e leggi molto più
semplici e molto più “naturali”. Sarebbe
meglio o peggio? Difficile dirlo,
quello che possiamo affermare è questo: se
noi siamo quello che siamo lo
dobbiamo in larga misura all’aiteria e l’homo sapiens reale ed
attuale non può neppure essere immaginato
senza la sua idema, poiché
egli sarebbe un animale molto differente
e la sua esistenza sarebbe
profondamente diversa. Ma dobbiamo anche
rilevare che, in generale, il rapporto
con l’aiteria ci ha resi ipersensibili e pertanto più vulnerabili
alla sofferenza.
Ma le abmozioni sono un “sale” della vita che funge da analgesico
e che
ci regala piaceri talvolta compensativi di
tipo molto diverso da quelli
materiali e tuttavia con essi coniugabili
per la maggior gestione della nostra
avventura.
In questa Parte Seconda ci siamo levati un
po’ da terra e abbiamo volato un po’ con
l’immaginazione. Un poco perché
dovevamo superare una certa indeterminazione
ma un pò anche perché mi
premeva lasciare il lettore con un orizzonte
il più ampio possibile a sua
disposizione, in funzione dell’intendimento
espresso in 1.2, dove immaginavo le
filosofie antiintellettualistiche e individuali
quali filosofie dell’avvenire e
ponevo il DR come un precedente di riferimento,
sia per il metodo adottato sia
perché auspica il superamento di ideologiche
e antirealistiche posizioni
monistiche, siano esse spiritualistiche o
materialistiche, in un prospettiva
pluralistica più confacente alle nostre esperienze
esistenziali nel loro
complesso.
Il Dr avanza una concezione del mondo e
della vita alla quale sia possibile, per
chi la ritenga ragionevolmente fondata
e plausibile, apportare le modifiche e le
integrazioni ritenute opportune in
base alle proprie intuizioni della realtà,
ampliando i limiti entro i quali io
mi sono tenuto, oppure contraendoli nel caso
vengano ritenuti troppo ampi. Per
esempio: immaginando che le ideme di persone amate, passate (come si
suol dire) “a miglior vita”, abbiano dato
luogo a forme di esistenza aiteriale
colle quali sia possibile un rapporto simpatetico
e magari non del tutto
dissimile dai lari dell’antica cultura latina (protettori della
famiglia
e del focolare domestico). Oppure; ammettendo
la realtà dell’aiteria, ma
considerandola non del tutto separata dalla
materia in termini di
origine (e forse sua emanazione), ritenerla
per vie traverse ad essa
riducibile, senza per ciò vanificare gli
aspetti culturali ed esistenziali
concernenti tutte o alcune categorie analogiche tra quelle qui delineate.
In altre parole: di quanto qui esposto ognuno
faccia l’uso che vuole, ci
rifletta sopra e ci lavori sopra, in esso
non vi è nulla di definito o di
ingessato, ma tutto è plastico, modificabile
ed evolvibile, poiché a mio avviso
è suonata la campana delle filosofie dogmatiche
e definite. Ad eccezione di ciò
che concerne la materia, della quale è possibile una conoscenza
sufficientemente attendibile per le sue connotazioni
fisiche e matematiche,
tutto può diventare relativo ed ogni pretesa
di assolutezza nasconde sempre
poca o molta menzogna.
Non mi sembra di dover aggiungere altro, anche perché non vorrei abusare della pazienza di quelli chi mi hanno seguito fin qui. Ad essi va il mio più caldo ringraziamento per avermi concesso la loro attenzione e ad essi va il mio augurio che il gioco in cui li ho coinvolti sia valsa la candela. E che questa continui ad illuminare lo sforzo intellettuale di chi guarda l’universo che ci circonda e l’esistenza che esperiamo decidendo di utilizzare un cannocchiale prospettico inconsueto e anticonvenzionale, cercando attraverso esso di scavalcare l’orizzonte materiale, ma utilizzando sempre gli strumenti cognitivi di cui la nostra mente è dotata: l’intelletto e la ragione.