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L’INCISIONE E LO STAMPAGGIO
DEI DISCHI FONOGRAFICI

Edgardo Magnaghi

 

L’incisione del disco fonografico
Dopo che era stata perfezionata la tecnica della registrazione magnetica, negli anni 40, la registrazione su disco non fu più eseguita direttamente dalla sorgente sonora; ma da un nastro magnetico precedentemente registrato.
Per registrare su disco è necessaria una apparecchiatura estremamente precisa che solo poche ditte erano in grado di costruire. La più diffusa in Europa è il fonoincisore NEUMANN di fabbricazione tedesca.
Il giradischi dell’apparato registratore è assai pesante onde eliminare ogni rotazione spuria e dotato di un adatto filtro meccanico, situato tra il motore e il piatto rotante, che assicura a quest’ultimo un moto rotatorio assolutamente uniforme. Il meccanismo motore è costruito in modo da consentire tutte le velocità di rotazione normalizzate per la registrazione. In genere è usato un motore sincrono, affinchè la velocità di rotazione sia rigorosamente costante. Il controllo della velocità di rotazione è attuato con metodi stroboscopici.
Come si può osservare nella Fig. 1a, un asse filettato fa da guida al trasduttore fonoincisore, costringendolo ad avanzare in direzione radiale in modo che la punta tagliente del fonoincisore incida sul disco un solco a spirale. Il passo di filettatura dell’albero guida può variare entro certi limiti e di conseguenza varia il numero dei solchi contenuti in un centimetro di distanza radiale. Per alcune registrazioni si adopera un passo variabile e in tal caso la distanza radiale fra solchi contigui è commisurata all’ampiezza di incisione (piccola distanza fra i solchi quando l’ampiezza delle ondulazioni dovuta all’incisione è piccola, grande distanza fra i solchi quando l’ampiezza di incisione è grande). In questo modo si riesce ad ottenere la migliore utilizzazione del disco, dato che, a parità di dimensioni, si registra la quantità massima possibile di informazioni e si raggiunge la durata massima della registrazione. Il materiale rimosso dal procedimento di incisione (sotto forma di filetti o trucioli) viene spinto verso l’apertura di un tubo che è situato nelle immediate vicinanze dell’utensile d’incisione e collegato a un sistema aspirante.

 

Fig.1
in a): schema di giradischi per incisione
in b): sagoma dell’utensile (o puntina) da incisione.

I fonoincisori sono muniti di un utensile, cioè una punta tagliente la cui forma è quella riprodotta nella Fig. 1b; questo è dotato di un solo grado di libertà, nel caso della registrazione monofonica, come suggerisce la Fig. 2 cioè può oscillare solo su un piano perpendicolare a quello del disco, in senso radiale (come nel caso della sopra citata figura), dando luogo al solco ondulato lateralmente, o in senso verticale, dando luogo al solco di profondità variabile. Quest’ultimo è però presto caduto in disuso, nella produzione commerciale, perché meno adatto a registrazioni di alta fedeltà a causa delle maggiori distorsioni.
Nel caso della registrazione stereofonica, invece, come suggerisce la Fig. 3, i gradi di libertà sono due, e due diversi trasduttori, ciascuno alimentato da uno dei due canali, comunicano all’utensile d’incisione due distinti movimenti vibratori in direzioni fra loro perpendicolari in un piano normale alla superficie del disco e orientati a 45° rispetto a tale superficie (a 90° rispetto alle pareti del solco).

 

 

Fig. 2 In a) solco di un disco monofonico visto da sopra; in b) sua sezione trasversale;
in c) collegamento dell’utensile con il trasduttore per incisione monofonica schematizzato.

 

Fig. 3 Schemi analoghi a quelli della Fig. 2 nel caso di dischi stereofonici.
Sono dati, in a) lo schema del collegamento dell’utensile al trasduttore per l’incisione, in b), c), d), i solchi incisi rispettivamente sulla destra, sulla sinistra e su entrambi i lati, ciascuno visto dall’alto e con la relativa sezione.
Fig. 4
Schema di un trasduttore per l’incisione monofonica

L’utensile di incisione normalmente è di zaffiro, di rubino sintetico o di altro materiale duro. Durante la registrazione l’utensile può venire riscaldato in modo che la superficie del solco da esso scavato risulti ben levigata in quanto la registrazione originale viene eseguita su un disco costituito da un’anima di alluminio rivestita sulle due facce con un materiale plastico nel quale viene inciso il solco; con questo accorgimento il rumore in sede di riproduzione risulta notevolmente ridotto. L’utensile può venire scaldato mediante poche spire di filo metallico avvolte attorno a essa e percorse da una corrente continua (a bassa tensione).
Il trasduttore che imprime il movimento alla testina è, per la registrazione monofonica, rappresentato nella Fig. 4 che mostra in sezione un moderno fonoincisore a bobina mobile, dotato di controreazione elettromeccanica. L’organo vibrante è del tipo elettrodinamico con due bobine mobili fra loro solidali e poste nel campo di un magnete permanente; una è la bobina motrice, l’altra è quella microfonica di controreazione, ed entrambe sono avvolte su un medesimo supporto cilindrico al quale è attaccata anche l’utensile d’incisione. Il sistema vibrante è progettato in modo da oscillare nella direzione voluta e nella banda di frequenze comprese fra 30 e 16.000Hz circa, con una frequenza di risonanza di alcune centinaia di Hertz.
La bobina motrice è alimentata dall’uscita dell’amplificatore (vedi Fig. 6) che le trasmette le correnti generate dalla lettura di un nastro magnetico o dai microfoni che raccolgono i segnali sonori. L’uscita della bobina di controreazione è invece collegata in controfase all’ingresso dello stesso amplificatore. Poiché tale bobina genera una forza elettromotrice proporzionale alla velocità di vibrazione di tutto l’organo mobile, per effetto della controreazione la velocità di vibrazione risulta indipendente dalla frequenza; cioè dipende dalla sola ampiezza del segnale di alimentazione ed è a essa proporzionale su tutta la banda da 30 Hz a 16.000 Hz. La caratteristica di frequenza desiderata (caratteristica di registrazione) viene ottenuta “pesando” mediante l’equalizzatore le diverse frequenze contenute nel segnale inviato all’amplificatore. Due trasduttori analoghi a quello descritto vengono impiegati nella registrazione stereofonica.

La caratteristica di registrazione definisce quindi la risposta in frequenza dell’intero apparato registratore; essa è riscontrabile in un diagramma che mostra come vari la frequenza con la velocità di oscillazione impressa all’utensile d’incisione, per un segnale sinusoidale di ampiezza costante. Per le incisioni su disco a scopi professionali si adopera in genere una caratteristica di registrazione come quella mostrata nella Fig. 5, detta ortoacustica; essa è essenzialmente una caratteristica ad ampiezza di incisione indipendente dalla frequenza, quando la tensione elettrica di alimentazione del fonoincisore sia costante. Ovviamente, in sede di riproduzione, occorre che l’apparato fonoriproduttore possieda una caratteristica di frequenza inversa di quella suddetta, in modo che la curva di risposta globale del fonoregistratore e del fonoriproduttore, considerati come un unico apparato, risulti indipendente dalla frequenza. Anche per i dischi fonografici commerciali la caratteristica velocità-frequenza è stata normalizzata nel 1954 negli Stati Uniti e successivamente anche altrove.
L’andamento generale della caratteristica di registrazione è stato suggerito dalla necessità di esaltare l’ampiezza di incisione alle frequenze più alte, per essere certi che le ondulazioni del segnale superino le irregolarità superficiali del disco che sono la causa del fruscio e per limitare al tempo stesso l’ampiezza di incisione alle basse frequenze, onde evitare la sovrapposizione di due solchi contigui.

Caratteristiche normalizzate velocità-frequenza (linea guida), usate per l’incisione dei dischi:
1, caratteristica adottata dalla RIAA (Record Industry Association of America)
2, caratteristica ortoacustica, specialmente usata per scopi professionali.

Come precedentemente discusso, l’incisione che riproduce le oscillazioni del segnale acustico viene eseguita in direzione parallela al piano del disco e perpendicolare al solco non modulato, cioè nella direzione del raggio del disco passante per il punto del solco considerato ( incisione laterale od orizzontale).
La forma del solco e della puntina di lettura e la loro posizione reciproca durante la lettura della pista sonora sono rappresentate nella Fig. 7.

Perché il contatto sia corretto occorre che esso avvenga in areole puntiformi, in corrispondenza della parte centrale delle pareti del solco. Un contatto troppo superficiale, quale si avrebbe con una puntina troppo grande rispetto al solco, o un contatto sul fondo, quale si avrebbe con una puntina troppo sottile, aumenterebbero notevolmente le distorsioni e il fruscio perché in tali zone l’incisione risulta meno perfetta; inoltre con un contatto superficiale la puntina potrebbe saltare i solchi.
Sia le dimensioni dei solchi sia le velocità di rotazione dei dischi sono state normalizzate; si sono definiti così tre tipi di solco: quello largo (o normale), il solo adoperato fino a circa il 1950 e di uso tipico per i dischi 78 giri/min, è stato soppiantato dal disco sottile (microsolco) adoperato per i dischi da 45 giri/min e per quelli da 33 e 1/3 giri/min; il solco ultrasottile che veniva adoperato per dischi da 16 e 2/3 giri/min, destinati a contenere registrazioni di notevole durata (fino a un’ora) senza tuttavia elevate esigenze di qualità. La tabella I riassume le dimensioni normalizzate dei tre tipi di solchi e di puntine di lettura.

Fig. 7
Forma del solco e della puntina di lettura e loro posizione reciproca : A, larghezza massima del solco in corrispondenza della superficie del disco; B, distanza del punto di contatto tra puntina e solco dalla superficie del disco; C, raggio della sezione trasversale della puntina di lettura a livello del punto di contatto; D ed E sono gli angoli del solco e della puntina.
Nella Tab. I sono riportati alcuni valori relativi a tre tipi di puntine.

 

Tab. I – DIMENSIONI NORMALIZZATE DEI TRE
TIPI DI SOLCHI E DI PUNTINE

 

La massima durata del programma che può essere registrato in un disco dipende ovviamente dal suo diametro, dalla velocità di rotazione, dall’intervallo tra due spire adiacenti che determina il numero di spire contenute in una corona circolare di spessore pari a un centimetro (e dipende a sua volta dal tipo di solco) e infine dal diametro ammesso per il solco interno più piccolo. Quest’ultimo è limitato dal fatto che le distorsioni, in sede di riproduzione, tendono a crescere con il diminuire del diametro del solco. Alcune delle caratteristiche principali (diametro del disco, tipo di solco, velocità di rotazione, durata, ecc.) dei dischi normalizzati prodotti sono riassunti nella Tab. II.

 

Tab. II – DATI RELATIVI A VARI TIPI NORMALIZZATI DI DISCO

Il numero dei solchi in 1 cm di larghezza in senso radiale è pari a 38-40 per i dischi a solco largo (normale), a 88-120 per quelli microsolco e a 200 per quelli con solco ultrasottile. La distanza tra solchi contigui determina anche, come già detto, il limite della massima escursione laterale (ampiezza di oscillazione) che può essere ammessa nella modulazione, senza pericolo di interferenze fra i solchi: circa 0,1 mm per il solco largo, circa 0,04 mm per il microsolco, circa 0,02 mm per il solco ultrasottile; questi valori si riferiscono alla banda compresa fra 200 e 2000 Hz. Le massime durate dei programmi registrabili sui vari tipi di disco sono indicate nella stessa Tab. II.

Stampaggio dei dischi

Il pregio essenziale del procedimento di registrazione meccanica del suono su disco e anzi il solo vantaggio importante che tale sistema ha conservato per lungo tempo rispetto alla registrazione su nastro magnetico, per altri motivi più vantaggiosa, è la facilità con la quale si possono ottenere copie della registrazione in numero praticamente illimitato e a basso costo. Il processo di fabbricazione è strutturato in cinque fasi principali.
1) Ripresa del del programma sonoro per mezzo di microfoni e registrazione di tale programma su un nastro magnetico ad altissima fedeltà.
2) Trascrizione della registrazione dal nastro su disco. (Vedi Fig. 6)
3) Fabbricazione della matrice che sarà adoperata per la stampa delle copie. A questo scopo si ricava, prima una copia in positivo (cioè con la forma del solco in rilievo) dal disco precedentemente inciso. Dal positivo si ottengono le matrici (stamper).
4) Preparazione della materia prima destinata allo stampaggio delle copie.
5) Stampa delle copie mediante due matrici, una per ciascuna faccia del disco.

Le Fig. 8 e 9 mostrano, in sezione ingrandita, il profilo dei dischi microsolco secondo le Norme IEC 98.
Appare evidente che l’uso della registrazione magnetica per la prima registrazione del programma si è generalizzato per il vantaggio essenziale di poter cancellare e correggere quante volte si vuole la registrazione effettuata e controllarne immediatamente il risultato mediante la riproduzione diretta, senza necessità di operazioni intermedie.
La fabbricazione delle matrici e lo stampaggio avvengono con il seguente procedimento: servendosi del disco originale (risultato dalla seconda fase del processo generale di fabbricazione) si ottiene mediante galvanoplastica (tecnica di riprodurre oggetti sfruttando i fenomeni dell’elettrolisi) una copia metallica denominata “padre” (master), nella quale la pista sonora appare in rilievo anziché sotto forma di solco.

 

Dalla copia “padre, sempre per galvanoplastica, si ottiene una “madre” con il solco inciso e da quest’ultima si ottiene la matrice definitiva (stamper), con la pista in rilievo, adoperata per lo stampaggio delle copie. Il “padre” viene conservato in archivio per poterne ottenere, in caso di necessità, nuove matrici per sostituire quelle che siano state deteriorate dall’uso.
La materia inizialmente usata per la fabbricazione dei dischi 78 giri/min era una mescolanza omogenea di gomma lacca, coppale, materia colorante e sostanze zavorra (caolino, polvere d’ardesia e simili), ridotte in polvere finissima. Questi dischi erano molto duri, ma fragili e soggetti a usura piuttosto rapida; inoltre le loro irregolarità superficiali erano relativamente grandi e davano origine a un fruscio (rumore di fondo) abbastanza elevato durante la riproduzione.
I successivi dischi a microsolco sono invece costituiti di materie plastiche (resine sintetiche viniliche) che hanno sostituito con vantaggio la gomma lacca; si ottengono così dischi assai meno fragili, più leggeri e quasi esenti da fruscio, per la grande regolarità della superficie del solco. Quest’ultima proprietà è quella che à consentito di ottenere le registrazioni ad alta fedeltà e lunga durata, con solco sottile e bassa velocità di rotazione del disco.
La stampa delle copie avviene per pressione tra le due matrici, una inferiore e una superiore (Fig. 10), fissate sulle due piastre di una pressa idraulica. Nella pressa viene introdotta una tavoletta, solitamente per i dischi a microsolco di cloruro di polivinile, riscaldata a circa 130 °C, che sarà compressa, come si è detto, tra le due matrici anch’esse calde, nelle quali in precedenza sono state inserite le etichette circolari.
Prima di essere confezionati, i dischi devono essere ripresi per la tranciatura del profilo esterno e del foro centrale (Fig. 11).

 

Fig. 10 Stampaggio con etichettatura del disco
Fig. 11 Il disco su un nastro trasportatore viene avviato al confezionamento.
Si notano le “bave” di tranciatura che mediante il medesimo nastro sono avviate alla rigenerazione
LETTERATURA

Enciclopedia della scienza e della tecnica – MONDADORI (1965)
M. Douriau : Stereofonia, dischi alta fedeltà. Parigi (1960)
G. Slot : Dal microfono all’orecchio. Eindhoven (1960)

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