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In questo momento il sito di napster è sotto costruzione ma, quando sarà riaperto, non troveremo più le canzoni gratis come una volta non coperte da copyright, a causa dello scandalo che lo ha coinvolto. Tuttavia per collegarsi al sito cliccate quì.

 

 

 

Le fasi della polemica a Napster

Industria discografica contro Napster, atto terzo. Il 12 febbraio scorso i giudici statunitensi della Corte d'Appello del Nono Distretto hanno emesso la loro sentenza: Napster, la società americana che ha messo a punto un software che consente ai propri utenti di scambiarsi via Internet file musicali che mantengono la qualità audio di un cd, viola la legge sulla protezione del copyright e deve impedire ai propri utenti di accedere a canzoni protette se chi ne detiene i diritti d'autore lo richiederà. Mentre gli analisti si interrogano sui destini commerciali di Napster, la Recording Industry Association of America (l'associazione che riunisce le maggiori case discografiche mondiali) canta vittoria, pensando di aver assestato un colpo mortale alla famigerata distribuzione della musica via Internet, che avviene senza il pagamento di alcuna royalty. Ma sarà davvero così?

Facciamo un passo indietro. I brutti sogni delle case discografiche erano iniziati un paio di anni fa, con la diffusione del cosiddetto Mp3. Si tratta di un formato che permette di comprimere i file audio in modo che risultino abbastanza leggeri da viaggiare attraverso il web, mantenendo però una qualità audio vicina a quella di un cd. Il problema è che una canzone in formato Mp3 può essere duplicata un numero praticamente infinito di volte senza pagare una lira in royalty e diritti d'autore.

Cronaca di un successo. Ma a trasformare i brutti sogni in incubi è stato l'arrivo di Napster, che ha reso oltremodo semplice e veloce individuare la canzone che interessa nell'oceano del web e scaricarla sul proprio computer. Il successo del sistema, inventato da Shawn Fanning e Sean Parker, due studenti statunitensi conosciutisi frequentando la stessa chat line, è stato immediato e travolgente. Secondo la società americana, ben 58 milioni di utenti in tutto il mondo usano il software di Napster per scambiarsi musica online. E le case discografiche lamentano perdite miliardarie.

Scoppia il caso. Così le cinque big (Emi, Soni, Warner Music Group, Universal e Bertelsmann) decidono di portare Napster in tribunale. Il primo round è loro: un giudice americano ingiunge a Napster di sospendere il servizio. Ma la risposta non si fa attendere.

La difesa di Napster. Primo: il sistema è nato per la distribuzione di artisti underground il cui lavoro non è protetto da diritto d'autore. Secondo: le condizioni d'uso del sistema sottolineano chiaramente che Napster condanna ogni violazione del copyright. Ma soprattutto, terzo, Napster non fornisce alcuna copia illegale di musica protetta da copyright, ma solo un sistema che facilita il contatto e lo scambio di file tra i propri utenti. Condannare la società sarebbe come condannare un service provider perché alcuni suoi abbonati decidono di organizzare un crimine comunicando attraverso il suo servizio di posta elettronica. Così un'altra sentenza rimanda la questione ai giudici d'appello e nell'attesa permette a Napster di continuare a funzionare.

Nel frattempo però il fronte discografico si è incrinato. Alla Bertelsmann (che rappresenta big del calibro di Whitney Houston, Elvis Presley e Carlos Santana) cominciano a sospettare che nel mondo digitale, dove produrre copie infinite del tutto identiche all'originale è un giochetto da ragazzi, la difesa a oltranza del copyright vecchia maniera non è forse la politica più saggia. Forse bisogna rivedere il modello di business tradizionale, basato sul valore della singola copia di un disco (o di un libro, o di un film) trovando il modo di spremere quattrini dai nuovi sistemi di distribuzione online.

Napster trova un accordo. A ottobre dell'anno scorso la Bertelsmann si accorda con Napster, mettendo a disposizione il proprio ricchissimo archivio di musica a patto che la società inizi a far pagare il servizio che finora rendeva gratuitamente. L'esempio viene seguito a gennaio dalla Edel Music Ag, una delle maggiori etichette discografiche indipendenti che rappresenta artisti come i Roxette, Jennifer Page e Phunky.

 

 

Una vittoria di Pirro. Ora, la sentenza della Corte d'Appello rovescia di nuovo la situazione a favore dei paladini del copyright. Ma parecchi commentatori (uno su tutti, Jon Pareles dalle prestigiose pagine del New York Times) sono pronti a scommettere che si tratta di una vittoria di Pirro. Per cominciare, l'ipotesi che la distribuzione di musica via Internet sia davvero un danno per la vendita dei cd è tutt'altro che dimostrata. Anzi: secondo la rivista American Demographics l'introduzione di sistemi come Napster ha creato nuove e potenti opportunità per l'industria musicale e i dati più recenti sembrano indicare che lo scambio di file aumenta le vendite di cd, anziché diminuirle. La Greenfield Online, una società di indagine del Connecticut, ha stimato che il 75 per cento degli studenti di college americani scarica musica dal web, il 58 per cento di loro utilizzando Napster. Ma più della metà, finisce poi con l'acquistare il cd. Insomma, la musica si assaggia via web e si compra poi in negozio, un po' come avviene con i campioni che l'industria cosmetica regala a piene mani alle clienti per avvicinarle ai propri prodotti.

La rivoluzione del marketing on line. La sentenza del 12 febbraio stima che il 70 per cento della musica scambiata via Napster è di proprietà delle case discografiche. Ma ciò significa che il 30 per cento degli utenti (che è una bella fetta di mercato) vuole e cerca musica che l'industria non produce. Secondo alcuni esperti, tarpare le ali a sistemi come Napster, significa rinunciare a raggiungere questa massa di consumatori, che oltretutto sono quelli più fedeli, assidui e appassionati. Ma soprattutto, significa ignorare le potenzialità di un sistema di marketing online agli albori, articolato in tre fasi. Primo: connettere e avvicinare i clienti ai produttori. Secondo: generare interesse attorno ai prodotti (ricordate The Blair Which Project, il film che era già un cult prima di uscire nelle sale grazie a un formidabile e sapiente passa parola online?). Terzo: sfruttare i mezzi digitali per seguire costantemente l'evoluzione dei gusti del pubblico.

Gli eredi di Napster. E per finire, rimane il fatto che nel mondo digitale, una volta che il genio è uscito dalla lampada, rimettercelo non è così facile. Se Napster è senza dubbio il sistema di scambio di file di maggior successo, ce ne sono ne sono però altri, primo fra tutti Gnutella, ancora più decentralizzati, difficili da governare o bloccare. E non è difficile ipotizzare che se davvero Napster dovesse chiudere, il popolo della rete si butterebbe sui suoi eredi senza pensarci troppo. E chissà che domani le case discografiche non si trovino a rimpiangere il vecchio nemico.