Martinique

cap. 7

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André era dimagrito dall’inizio del viaggio. Non si trattava solo dell’aria stropicciata che avevano assunto quasi tutti, a bordo; c’era dell’altro… il colorito aveva qualcosa di innaturale osservando bene, ignorando l’abbronzatura. Ogni suo gesto sembrava più lento, spossato; calibrato sul minimo sforzo per il massimo della resa.

Eppure non si lamentava mai, pensò Alain.

Unico custode del suo segreto, guardava André consumarsi in silenzio, sempre più affaticato nonostante le giornate sulla Destin trascorressero nell’ozio, così desolatamente carenti di prospettiva che molte delle reclute cominciarono a chiedere ai marinai di insegnare loro a svolgere qualche compito base, pur di non starsene con le mani in mano su quel legno a mollo nell’oceano. E gli uomini di mare non si fecero pregare troppo.

“Spiegare” è stretto parente del “raccontare”, che si sa; è da quando gli esseri umani hanno deciso di mettersi su delle barche a solcare gli oceani, è una cosa che riesce molto bene ai marinai.

Alain fu tra i più insistenti nel richiedere le lezioni di vela all’equipaggio e, infallibile in questo, coinvolse molti altri uomini, tra cui André, che non mancava mai di trascinarsi dietro, nonostante il suo atteggiamento sempre più distante. In breve, molte delle reclute avevano cominciato a rendersi utili nelle manovre e in altre mansioni meno importanti, cosicché il viaggio, grazie a questa iniziale fusione delle compagnie a bordo, stava procedendo a meraviglia. Ma poi era arrivato il giorno in cui il vento era calato e l’armonia del perfetto funzionamento degli ingranaggi si era spezzata.

Dalle file degli ufficiali fino all’ultimo dei mozzi serpeggiava un nervosismo palpabile; la paura inespressa di venire sconfitti per logoramento, sopraffatti dal deserto blu che circondava tutti loro.

I giorni passavano pigri, André peggiorava, Alain osservava.

Più della noia, lo tormentava la paura di essere complice di un lento suicidio.

 

 

Cap.7

Notti nere

 

 

Alcune delle reclute che erano passate da uno stato di passeggero a quello di apprendista stavano sistemando delle cime sul ponte di coperta. Il sole batteva implacabile tra le vele arrese della Destin, e tutto attorno non si sentivano altro che le lamentele per l’assenza di buon vento.

“E ho capito che stiamo andando piano! Ma quello che non sopporto io è di ascoltarli ripetere la stessa solfa per tutto il maledettissimo giorno! Gonfiassero le vele col fiato che ci sprecano in lamenti, ‘sti…” fece uno in uno slancio di insofferenza.

“Aho! Rilassati, René!” Interruppe Alain, con sufficienza divertita. “Siamo tutti un po’ scocciati… portiamo pazienza; il vento tornerà.”.

Un altro aggiunse: “A me dà sui nervi quel cretino del nostro comandante! E’ così… così… completamente inutile!”

“Vedi tu se basta essere nobili per avere ‘sti incarichi pure se si è così imbecilli!” continuò René, seccato.

Sentenziare su Dagoût equivaleva a giocare il jolly: tutti sembravano andare d’accordo quando si trattava di sparare a zero sul povero comandante, che in fin dei conti non aveva altra colpa che quella di mancare di autorità. Continuarono per un po’ a suon di battute, finché Gérard intervenne, timidamente, felice di poter aggiungere qualcosa di nuovo sull’argomento: “Sapete che non sarà lui il comandante in capo, quando sbarcheremo? Pare che l’ufficiale che si occuperà delle truppe di terra sia una ex guardia reale e che sia in viaggio sulla Mistral.”

Rimasero di stucco. Tutti tranne uno, il più silenzioso tra loro, che si fece improvvisamente attento.

“Come le sai queste cose?” chiese Hugo sospettoso, mentre la notizia, prima ancora di essere verificata, era già passata dal loro gruppo ai ragazzi che trafficavano alla trozza del boma, ascoltatori distratti delle uscite di prima su Dagoût. C’era da scommettere che nell’arco di pochi minuti sarebbe diventata di pubblico dominio. André intuì cosa si stava scatenando e ne ebbe paura, Gérard ebbe la stessa intuizione e ne andò fiero: era stato lui a scoprire una novità così succulenta, in fondo.

Commenti agitati cominciarono a levarsi dagli astanti, che non lasciarono al ragazzo il tempo di rispondere a Hugo.

“Una guardia reale! Un galoppino dei sovrani, direttamente da Versailles! Che onore, signori!”

“Ci insegnerà il minuetto, vedrete!”

E due di loro si cimentarono nella parodia di un giro di ballo, facendo esplodere una risata carica di odio mal represso per tutto ciò che aveva a che fare con la nobiltà e i suoi dorati privilegi.

“Ma com’è possibile che non ne avessimo ancora saputo niente?”

“Non è che debbano chiedere il nostro permesso, sai?”

“Qua finiamo di male in peggio, ragazzi! Ci spediranno in missione a cercare uccelli tropicali per i ventagli dell’austriaca, altro che!”

“Questa storia non mi piace, non mi piace affatto” fece Alain.

“Ma sarà poi vera?”

“Insomma Gérard, tu da chi l’hai saputo?” insisté Hugo.

“Me l’ha detto il cambusiere!” Spiegò lui, emozionato. “Mi ha raccontato lui ogni cosa, del comandante nuovo, e poi anche di un sacco di leggende e storie di mare… parlava e parlava mentre ero giù a pelar montagne di patate. Insomma, perché mi avrebbe dovuto mentire?”

André prese la parola, forse per la prima volta da giorni: “Perché è un marinaio, prima di tutto!” insinuò con ironia calcolata. Rincarò quindi la dose di dubbio negli ascoltatori: “Perché mai una delle guardie di sua maestà dovrebbe finire ad occuparsi di un esercito come il nostro nella Martinica? Non è certo un incarico prestigioso… Insomma, figurati: le guardie reali vengono selezionate tra gli esponenti dell’alta aristocrazia.” Tacque un istante, il tempo di notare che aveva convinto la sua platea; non ci era voluto granché. Riprese a rivolgersi a Gérard, rimasto spiazzato dalle sue conclusioni: “Dai, non ci restare male, lo sai che si divertono a prenderci in giro. Dicevi che ti ha raccontato anche delle storie, potresti condividerle con noi, tanto qui abbiamo finito. Che dici, ce ne racconteresti una?”

Il ragazzo sembrava mortificato all’idea di esser stato così ingenuo da non aver neppure immaginato che potesse trattarsi di frottole e sul naso e sulle guance affollate di lentiggini si poteva notare un certo rossore. Addirittura, gli occhi vispi erano lucidi di imbarazzo, mentre trovava scampoli di parole per negarsi alla richiesta e all’attenzione del gruppo, timidamente.

André si sentì uno stronzo quando anche gli altri cominciarono a domandare a gran voce di ascoltare una storia, non proprio con la stessa gentilezza che aveva usato lui. Gérard, nettamente più educato della media, timido e molto infantile, veniva punzecchiato spesso dalle altre reclute, con l’eccezione del gruppo di ragazzi che come lui si era spostato dai soldati della guardia di Parigi, tutti dalla stessa compagnia, avventuratisi in massa sulla scia di Alain.

Anche André stonava con i suoi modi gentili tra i soldati, ma aveva una sicurezza diversa, e qualche anno in più degli altri, anche. Circolavano inoltre diverse storie sanguinarie su come avesse perduto l’occhio (sempre per merito dei marinai; ogni spunto era buono per ricamarci su una leggenda) che avevano accresciuto la stima nei suoi confronti anche tra chi cercava sempre motivi per attaccar briga. Infine era diventato il braccio destro del capo indiscusso, uno status davvero invidiabile a bordo.

 

Gérard sembrò farsi più piccolo mentre tra una risata nervosa e l’altra si tirava indietro, le storie non le ricordava, dichiarò.

Mettendo a tacere ogni altra voce con la sua, Alain avanzò una proposta: “Tu che sai tante cose, André, non ne conosci di racconti? Magari è una buona idea per passare il tempo.”

Gérard lo guardò speranzoso.

André tentennò. No, non ne conosceva. Ma poteva sempre inventare; da piccolo lo aveva fatto, per Oscar (1). L’idea di raccontare una favola ad un gruppo di rudi soldati scocciati poteva suonare abbastanza folle, ma era pur sempre preferibile all’angoscia di ascoltarli affilare le armi sull’ipotetico nuovo comandante. Meglio parlare, distrarli da quell’informazione ingiustamente denigrata.

Oscar, di tutti i modi in cui ti ho difeso negli anni, questo è senza dubbio il più strano.

 “Vediamo…” disse accomodandosi a sedere direttamente sul ponte, mentre gli altri si sistemavano sui barili e sulla massa delle cime. André notò con timore crescente che il numero dei suoi ascoltatori superava la ventina. Si passò una mano nelle onde castane arruffate dalla salsedine e cercò attorno con lo sguardo, alla ricerca di uno spunto da cui partire.

 

“Ricordo una storia… una storia da ragazzi… però non l’ascolto da tantissimo tempo.” Disse. “Quindi siate clementi, d’accordo?”

Nessuno fece obiezioni. C’era nell’aria un’atmosfera divertita che sembrava quella che precede il gioco, quando vengono spiegate le istruzioni. E André iniziò a raccontare.

 

Esisteva una città sull’Oceano in cui la notte era nera come la pece. Non c’era mai la luna e mai le stelle: solo un buio pesto, contro cui gli occhi umani nulla potevano; dopo il calar del sole, una tenebra assoluta che beveva ogni luce e impediva di vedere al di là del proprio naso si impossessava di questo luogo incantato…

 

La prima interruzione non si fece attendere: “Ma non è possibile!”

“Eddai, Louis: è una storia di fantasia, sono licenze poetiche! André, non ci far caso, vai avanti!” fece Gérard, insolitamente spavaldo.

 

“… Allora, il re di questo regno chiese a tutti i suoi stregoni un modo per illuminare la notte, poiché da troppo tempo i viandanti del mare venivano inghiottiti dalle acque oscure, dopo aver infranto le proprie navi contro le alte scogliere su cui sorgeva quel reame.

In molti provarono, ma nessuno riusciva nell’impresa. Allora uno dei vassalli del re, il più fedele, decise di andare ad interpellare una vecchia strega che nessuno aveva consultato perché tutti ne avevano il terrore. La vecchia strega si chiamava vanità, era brutta più della morte e al vassallo fedele e alla sua richiesta rispose così: “C’è un modo per illuminare la notte e ricevere la gloria dal tuo re, ma dovrai per questo sacrificare la minore delle tue sei figlie.”

E l’uomo concesse senza esitazioni la ragazza.

Questa giovane era la più buona, la più saggia, la più bella delle sue sei figlie, se non la più bella del regno intero: una cascata di capelli dorati e ribelli le incorniciava il viso delicato, eppure fiero, il cui vero incanto non stava nell’armonia dei lineamenti, ma nello sguardo da cui traspariva un’aura pensierosa, inafferrabile, che tutti rapiva.

La ragazza accettò senza fiatare il suo destino, poiché vedeva la possibilità di salvare il reame dalla Notte, e senza voltarsi indietro si incamminò verso l’antro della strega dove le fu data da bere una pozione scintillante che la trasformò in una stella. Al crepuscolo, dunque, degli spiriti invocati dalla strega la condussero in quell’angolo speciale del firmamento, dove per sempre sarebbe stata rinchiusa, da cui tutti avrebbero potuto ammirare la sua luce, ma nessuno le si sarebbe potuto avvicinare…”

Gli ascoltatori, vuoi perché di meglio da fare non ce n’era, vuoi perché André aveva il dono di una voce suggestiva, reagirono con fastidio alla puntualizzazione di Louis riguardo all’impossibilità di considerare “un angolo” della volta celeste.

Alain lo mise a posto: “Louis, chiudi la bocca o ti ci spedisco con un calcio, in quell’angolo, così controlli. André, dicevi?”

 

“… Il reame aveva finalmente il suo faro; la stella solitaria e splendente vinse l’oscurità e da quel giorno in poi illuminò la strada ai naviganti, salvandoli dalla morte contro le scogliere spietate.

Tutti l’ammiravano, tutti erano felici della sua luce, ma nessuno poteva raggiungerla, o amarla, racchiusa lassù nel cielo. La ragazza scelse di dimenticare di essere stata una donna, e dispose il suo cuore a sopportare il destino che le era toccato: quello di osservare la vita senza poterne prendere parte.

Il caso volle che sotto quel cielo non più oscuro, passasse un povero diavolo invisibile con la sua barchetta invisibile, che, come tutte le creature invisibili, aveva gli occhi buoni per guardare oltre il visibile. E vide oltre la luce della stella, comprese la sua solitudine. E osservando quegli occhi pensierosi e distanti realizzò in un solo momento che non sarebbe più andato via.

Il povero diavolo invisibile cominciò allora a creare pioli invisibili per innalzare una scala invisibile che gli consentisse di avvicinarsi all’astro silenzioso. Molto presto si rese conto della portata dell’impresa: il cielo era così distante che forse non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo, ma ogni notte il povero diavolo era lì, ad aggiungere montagne di pioli invisibili alla sua scala.

Passarono gli anni e il diavolo invisibile non rinunciava al suo sogno di raggiungere la stella; immaginava di stare al suo fianco ad osservare il tran-tran del mondo: avrebbero potuto condividere il silenzio notturno ed essere felici l’uno della presenza dell’altro, o usare la scala per fuggire lontano, in un luogo dove la stella avrebbe potuto smettere di illuminare la terra, e, finalmente, cominciare a sorridere, solo per loro due.

Qualche volta, quando il diavolo canticchiava, mentre lavorava alla scala, gli sembrava che la stella si voltasse incuriosita nella sua direzione. Sembrava. Ma ancora non aveva il coraggio di rivolgersi a lei direttamente. In fondo lui era solo un povero diavolo invisibile e lei una creatura luminosa, la più bella che fosse mai esistita. Doveva prima raggiungerla, si diceva, e solo allora, forte dell’impresa, anche se invisibile, si sarebbe inginocchiato al cospetto della ragazza, offrendole quella storia d’amore e la sua vita trasparente.

Ma un giorno, anzi, una notte, arrivò nel porto del regno una nave dai freddi mari del Nord, alla cui  guida stava un cavaliere meraviglioso. La sua armatura sembrava fatta di scaglie di drago ed il mantello argenteo si agitava nella brezza della notte, come una mano che salutasse con cortesia la stella lontana. Il cavaliere, dal pontile della sua nave, si rivolse accoratamente alla sua luce, per chiederle di proteggerlo sulla strada verso la pericolosa battaglia che stava andando a intraprendere.

Il povero diavolo invisibile, che ormai si trovava abbastanza vicino, sentì chiaramente il cuore della stella ricominciare a palpitare a quella preghiera, dopo anni di silenzio. La sua luce divenne così forte da illuminare ogni notte il percorso della nave del cavaliere, che pure era diretto molto lontano.

Era stato anticipato. La stella aveva finalmente scelto di tornare ad essere una donna, ma non per lui, e la scala invisibile sarebbe rimasta incompiuta, così come il suo amore segreto: era stato tutto inutile.

Eppure non riuscì ad andar via. Aggiungeva i suoi pioli invisibili, anche se meno di prima; procedeva a zig-zag nel cielo senza riuscire a prendere una direzione, accontentandosi della vicinanza di quella luce.

Quando il cavaliere tornò, dopo molti mesi, sul pontile con lui apparve anche una splendida ragazza incoronata, avvolta dalle vesti più preziose che si fossero mai viste. A lei, il cavaliere mostrò la stella, dicendole: ”Ecco, vedi quella luce? E’ grazie alla sua protezione che sono riuscito a venire a salvarti e adesso possiamo essere per sempre felici, mia regina.”

E andarono via insieme.

La stella, in effetti, avrebbe dovuto aspettarselo. Invece l’amore le aveva fatto provare il brivido dell’impossibile, la speranza che, senza neppure chiedersi come, poi, il cavaliere sarebbe tornato per liberarla da quella prigione dalle pareti di cielo.

Comprese appieno il suo destino solo in quell’istante. E non riuscì a sopportarlo.

Il povero diavolo invisibile intuì la sua disperazione e, da dove si trovava, raccolse il coraggio per urlare a squarciagola del suo amore, per provare a consolarla, per farle capire che niente era perduto, che l’avrebbe liberata lui e resa felice. Ma era troppo tardi. La stella non l’aveva ascoltato e si era lasciata cadere, giù, giù, fin oltre l’Oceano nero.

E la sua scia di fuoco bruciò gli occhi e la scala del povero diavolo invisibile, che cadde sulla terra nuovamente buia e nuovamente solo, per di più cieco. E…”

 

“Insomma, questi due non quagliano?”

Una risata sguaiata coinvolse tutti gli ascoltatori, a questa uscita di Louis.

Se per alcuni minuti erano riusciti a tornare bambini, ormai la magia era stata spezzata, definitivamente, e cominciarono a rialzarsi alla spicciolata. Un vago imbarazzo accompagnò il disperdersi della compagnia e le proposte di attività più consone alla loro età; un goccetto di rum, una partita di carte e via dicendo.

André era ancora preso a valutare il proprio insuccesso; era il caso di cancellare l’aedo dalla lista di possibili occupazioni lavorative in caso di cecità, pensò. Alain gli si avvicinò, trascinando il barilotto su cui stava seduto fino ad un passo da lui, per poi piazzarcisi su nuovamente. Appoggiò la solida schiena contro il parapetto e la camicia di tela bianca (la giacca della divisa l’aveva indossata sì e no un paio di volte) sembrò voler cedere ai muscoli del suo torace, quando incrociò le braccia.

Aveva lo sguardo sornione di chi la sa lunghissima.

 

“L’hai tirata un po’ troppo per le lunghe, André, non prendertela.” Esordì.

André non era certo in uno stato tale da dover essere consolato; guardò cauto il suo interlocutore, provando a capire dove volesse andare a parare: “Siamo troppo cresciuti per queste storie, eh?”

“Già.”

“Già.”

Ma si vedeva che non era finita lì.

“E’ un vero peccato che lui non le abbia confidato il suo amore prima.” Fece Alain.

André rimase in silenzio. Sentiva la stanchezza di mille anni addosso e una voglia infinita di scendere a terra, camminare, cavalcare, bere acqua che non sapesse di stagno e rum. Si alzò e si sporse ad osservare il mare, sognando impossibili vie di fuga.

“Certo che se non fosse arrivato quel cavolo di cavaliere dal Nord…” commentò Alain, strappandogli un sorriso.

Si affacciò con lui a guardare l’orizzonte. “Allora si tratta di una donna.” E non era una domanda. “E’ nella Martinica?” continuò.

André rimase contemplativo, ma una mezza smorfia di ammissione fece capolino sul suo volto.

L’ispettore Alain annuì soddisfatto; il terzo grado gli veniva bene.

“Una donna che conosci da tanto tempo, ma che non puoi avere… una nobile! Perbacco, questo spiegherebbe tante cose sui tuoi modi da cicisbeo… Eri al suo servizio e hai finito con l’innamorartene!”

Premesso che con “i modi da cicisbeo” si riferiva all’abitudine di provvedere quotidianamente a sbarbarsi e alla cura per l’igiene personale, André non lo contraddisse affatto. Era sorprendente come l’amico le stesse indovinando tutte.

Alain si accarezzò meditabondo il mento e la fossetta per qualche istante, prima di continuare. Poi piantò il pugno sul parapetto ed esclamò tutto d’un fiato: “Lei aspetta un figlio senza essere sposata ed è scappata nella Martinica per partorire il bambino che il padre non ha voluto riconoscere; tu hai sfidato il mascalzone a duello per amor suo e hai perduto l’occhio, e adesso stai andando da lei per allevare… Ma insomma, che cavolo ti ridi?”

L’altro si stava sbellicando. Non si fermava quasi per respirare, era più forte di lui.

Quando si riprese, aveva le lacrime agli occhi per le risate: “Dovevi raccontarla tu una storia! Alla faccia della fantasia!”

“No, dai… davvero non ho indovinato?” fece Alain, realmente stupito.

André era pronto a premiare quell’indagine; aveva già deciso di raccontargli di Oscar, aspettava solo il momento per farlo: “Sulla prima e sull’ultima parte non ci hai preso. Però, per il resto hai proprio…” un tocco leggero alla spalla lo interruppe. Gérard, titubante, chiese loro scusa per l’intromissione: “Non volevo disturbare… solo… André, se è possibile, vorrei conoscere il finale del racconto.”

Il narratore era mortificato: “Mi spiace, io in realtà stavo andando a braccio… non esiste un finale.”

“Ah…” fece il ragazzo, camuffando la delusione. “Beh, non importa!” E girò i tacchi frettoloso.

“Gérard!” lo richiamò André. La voce gli uscì più aspra del previsto, sembrò un rimprovero, ma era la gola ad esserglisi seccata per il tanto parlare senza poter bere. “Adesso che mi ci fai pensare, sono solo due i modi possibili in cui può concludersi la storia.”

Anche Alain lo guardò incuriosito.

“O il povero diavolo invisibile vagherà per sempre, cieco, alla ricerca della stella caduta al di là dell’oceano, struggendosi di rimorso per non averle detto prima che l’amava…”

“Oppure?” (E la domanda speranzosa veniva dall’uomo grande e grosso con il fazzoletto rosso attorno al collo.)

“Oppure il nostro eroe attraverserà il grande mare, recupererà quel poco di vista sufficiente a scoprire di essere diventato visibile, ché la scia della stella che aveva bruciato i suoi occhi aveva fatto lo stesso col suo manto d’ombra, e ritroverà la stella, ormai umana, nel nuovo mondo al di là dell’oceano. E quando lui le parlerà non saranno necessarie spiegazioni, perché lei riconoscerà la voce che per tanti anni, nelle notti tristi di stella, le aveva tenuto compagnia, comprendendo l’immenso amore di lui e scoprendosi innamorata a sua volta del povero diavolo fedele. E poi sapete com’è a questo punto: vivranno felici e contenti.”

   

Sul viso lentigginoso del giovane soldato comparve un’espressione soddisfatta. “Preferisco di gran lunga il secondo finale.” Disse.

E André scambiò un’occhiata stanca e un sorriso tirato con Alain, mentre ammetteva: “Anche io, Gérard. Credimi; anch’io.”

 

 

(1) Dove c’è un André che racconta una favola, lì ci sarà sempre un rimando al meraviglioso Cetera Desunt di Sydreana, che non mi stancherò mai di rileggere.

 

pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012

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