Martinique

cap. 15

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

Come la donna affonda e dice vieni

dentro più dentro dov'è largo il mare

Come la donna è calda e dice vieni

dentro più dentro dov'è caldo il pane

E dirla noi vorremo mare pane

la donna sfatta che ci prese all'alba

dentro il suo petto e ci nutrì di sonno.

 

 

Cap. 15 Sette Giorni (reprise)

 

 

 

“Sembra ci sia solo tu su questa nave, Alain; sei sempre in mezzo.” lo prese in giro l’ammiraglio de Périgord. “Come te ne sei accorto? Non eri di guardia.”

“Con una notte così scura, stare sul chi va là non è uno sbaglio.”

Si portò la mano al labbro tumefatto, valutando i danni. Non gli era andata affatto male, considerando i numeri. “Diamine però; più sfuggenti delle anguille, si sono lanciati in mare prima che avessi il tempo di capirci qualcosa.”

“Accendete più torce, controllate da cima a fondo la nave: che non ci siano brutte sorprese!” ordinò Etienne all’equipaggio e agli uomini che l’avevano seguito dalla Mistral. Sempre più reclute spaurite cominciavano ad apparire alla spicciolata sul ponte. Giovani ancora mezzo addormentati si passavano la voce dell’accaduto, disorientati.

“Ne hai stesi quattro, Alain!” puntualizzò uno degli uomini intervenuti al suo allarme.

“Ne avevo visti altri arrampicarsi, devono aver lasciato perdere una volta scoperti.”

“Non hai idea dell’impressione, erano neri come la pece, sembrava stessi lottando con delle maledettissime ombre!”

“Sono scappati a nuoto, le barche che hanno usato sono ancora lì.”

Le tre piroghe, simili a delle canoe, ma schiacciate e leggere, urtavano la chiglia ad ogni onda, abbandonate alla corrente, a stento visibili nella fitta oscurità.

Sul ponte dov’era avvenuta la colluttazione giaceva una faretra in pelle ricolma di frecce in legno scuro, corte e piumate. Alain si piegò ad osservarla, ricordando a stento di averla strappata ad uno degli assalitori nel tentativo di trattenerlo. Dalle decorazioni dell’involucro alla coda dei singoli dardi non vi era assolutamente nulla di familiare, nulla di conosciuto. Per la prima volta, sentì Parigi davvero lontana.

L’ammiraglio gli fermò il braccio prima che potesse raccogliere una delle frecce. “Fossi in te starei bene attento a non sfiorare la punta neppure per sbaglio.”

“Urari” spiegò uno dei marinai. “Una brutta morte. Veloce, ma brutta.”

“È il genere di informazione che dovrei avere prima di vedermela con questi tizi disarmato, vero?”

Il vecchio marinaio rise, battendogli una mano sulla spalla.

“La tua incoscienza ci ha salvati da un brutto risveglio, Alain. Saranno stati in pochi, ma questa roba bastava per parecchi di noi.”

 

***

 

“Prima leviamo le tende meglio è.” commentò Étienne. “Gli uomini che si sono imbarcati sono per lo più giovani sprovveduti, l’episodio sta assumendo caratteri angosciosi, sono spaventati.”

Oscar stessa non era del tutto tranquilla, ma lo sembrava. Convinta sostenitrice della teoria che per avere tutto sotto controllo si dovesse partire dall’apparenza, conservava il sangue freddo.

“Il più è fatto, non restano che riparazioni di minima per riprendere la navigazione” rassicurò lei. “Domattina, come previsto, salperemo. E le reclute farebbero meglio a conservare i timori per quando insegnerò loro a…”

Accidenti.

Forse, non sarebbe stata lei ad insegnar loro alcunché.

“Non state ad angustiarvi.” intervenne comprensivo l’ammiraglio.

“Potrei restare comunque abbastanza per dar loro un’impostazione. Aspettare un sostituto.”

“Sappiamo sia io che voi che adesso la priorità è un’altra.”

L’aria si scaldava e i gabbiani annunciavano l’avvicinarsi del giorno, l’ultimo di attesa, prima di dover prendere decisioni definitive.

“Spero con tutto il cuore di avere l’occasione di dimostrarvi quanto vi sia grata della comprensione che mi avete concesso fin dal primo minuto. Grazie. Davvero, Étienne.”

L’ammiraglio non sembrò un granché colpito dalla dichiarazione che sapeva d’addio. Si schiarì la voce, e il guizzo di un sorriso passò veloce sui suoi tratti olivastri, donandole la migliore delle sue arie di chi ha la mano vincente: “Capitano di vascello Oscar François de Jarjayes, so che non credete al mio sesto senso e ai miei tarocchi, ma io sono sicuro che le nostre storie si siano intrecciate definitivamente. Non vi libererete di me e Camille tanto presto.”

 

Alain li ammirò avvicinarsi circondato dai ragazzi con cui aveva recuperato le piroghe, distratto smise di rispondere all’ennesimo giro di domande.

Non ne poteva più di uomini grandi e grossi pieni di timori basati sul nulla, in cerca di rassicurazione che neanche dei bambini.

“Stanotte non c’era la luna, il cielo era coperto e noi non eravamo pronti. Questi selvaggi non sarebbero mai così folli da riprovarci oggi. Dobbiamo stare tranquilli, se avessero potuto ci avrebbero già attaccato, non è vero comandante?”

Non si aspettava di essere interpellata direttamente dal ragazzo.

Guardò Étienne, poi lui, col solito fazzoletto rosso e la fossetta ben piantata in quel mento che pareva inciso con lo scalpello, aspettare trepidante una sua risposta.

“Ottima intuizione” gli concesse. “Non sei solo uno spadaccino eccezionale, ragioni bene.”

Per una volta, Alain si trovò senza parole. Rivolse un ghigno imbarazzato alle sue spalle, sorpreso lui stesso dalla propria reazione, ricevendo qualche gomitata cameratesca che lo fece reagire.

“Ormai siamo in partenza, mettere i piedi a terra sarà un toccasana per tutti.” tagliò corto.

“Hai ancora voglia di sbarcare o il comitato di accoglienza di stanotte ti ha fatto cambiare idea?” interrogò lei.

Lui si concesse un momento e uno sbuffo, calibrando uno sfogo sincero senza voler sembrare troppo negativo.

“A dirla tutta, io ho solo fatto da portavoce per la maggioranza qui, ma personalmente non sono affatto entusiasta di questa storia della Martinica, comandante. Potendo me ne tornerei a Parigi.”

Sia Oscar che l’ammiraglio rimasero spiazzati e lui continuò a spiegarsi.

“Non è che senta questo slancio verso il nuovo mondo. Faccio parte di quelli che in prima battuta ci si sono trovati, arruolati, per una misura disciplinare. Non ho titoli per un avanzamento di carriera, né prospettive di miglioramento di altro tipo, che accidente mi può importare allora di quest’isola? Scusate, eh. Meno ci resto meglio è. L’unico posto verso cui nutro qualche desiderio è casa mia: lì sì che vorrei andare!”

Era una visione agli antipodi da quella di Oscar, che suo malgrado sentiva scalpitare la voglia d’avventura nei recessi della sua razionalità, nel nucleo selvatico e libero che le sembrava di aver tenuto a bada tutta la vita.

“E non sei neppure curioso di vedere questa terra? Un posto completamente diverso da ciò che conosci, dopo aver viaggiato così lungo?”

Lui scosse la testa piano e le restituì uno sguardo amaro.

“La curiosità è un lusso. L’adattamento è l’unica virtù contemplata dai poveracci come me, comandante.”

Lei non provò a ribattere banalità rassicuranti o salottiere. Lo osservava a braccia conserte e rifletteva su quella risposta, forse intrigata da un’opinione così inaspettata, da un’esistenza completamente diversa dalla sua.

Alain intravide dietro quegli occhi agitati una mente vasta e aperta, un essere umano così particolare, unico, che non riusciva ad inquadrare o a prevedere. Non si poneva nei discorsi con la protervia del proprio titolo nobiliare, né come esponente del gentil sesso. Contraddicendosi nel pensiero, nasceva in lui il desiderio di esplorare quel territorio sconosciuto, che pure confinava nel proibito, nello sbaglio, in così tanti modi.

“L’adattamento, vi dico. Con quello me la cavo.” concluse lui sorridendo. “E ho la pellaccia dura, credetemi.”

 

***

 

Camille contemplava il suo paziente mentre finiva il pasto, provvedendo a ingurgitare gli ultimi bocconi della zuppa di marlin per poi passare alla frutta avidamente, come ormai succedeva da due giorni. I tratti del viso distesi dalla serenità, la parlantina, la fame da lupi.

Doveva essere successo qualcosa mentre li aveva lasciati soli, perché l’umore di André era cambiato, se ne sarebbe accorto anche un bambino.

E il dottore friggeva di curiosità, quasi offeso perché Oscar non fiatava, nonostante lui avesse retto il gioco a quel teatrino messo su da Alain, lasciando loro il tempo per parlarsi. Era un complice, diamine, come potevano non dirgli nulla?

Quasi sperò che fosse l’allegro convalescente avanti ai suoi occhi a concedergli qualche confidenza in proposito, visto quanto era diventato amichevole. E sorridente.

Smagrito, strapazzato, ancora impacchettato nei bendaggi, André era comunque di una bellezza che non voleva sentir ragioni, considerò Camille. Conturbante. Si perse a osservare quei denti regolari e bianchissimi strappare bocconi di frutta, e ammirò il disegno deciso del suo mento sottolineato dalla barba leggera. C’era qualcosa di trascendentale che andava al di là di tutto il resto e che consentiva di trascurare la mancanza di un occhio o due. L’eleganza delle sue proporzioni? Il modo in cui quell’insieme equilibrato interagiva gentilmente con il mondo? Era aggraziato, in un senso quasi pittorico, leggendario, del termine.

Se e si disse SE aveva resistito al suo charme per così tanti anni senza cascargli tra le braccia, Oscar doveva essere dotata di una rara forza di volontà. O forse questo aspetto non le interessava?

Come doveva essere particolare la questione del desiderio per una ragazza simile, con una tale rettitudine da risultare quasi ottusa e senza nessun tipo di figura a cui rapportarsi per un confronto. In fin dei conti questi due erano finiti con l’essere le pietre di paragone l’una della vita dell’altro, con il loro rapporto unico e interdipendente. Una roba molto complicata, davvero.

Lui invece era una persona semplice, rifletté, considerando l’effetto che gli faceva osservare le gocce di succo d’ananas sfuggire dagli angoli della bocca di André e perdersi sul collo, dove il pomo d’Adamo pronunciato sottolineava una deglutizione appassionata.

Quello rise del macello che stava combinando e cercò a tentoni il tovagliolo, che gli porse Camille, a dir poco attento.

“Avrei proprio bisogno di una lavata, dottore. E comincia a darmi fastidio di nuovo la barba, potrei chiederle un aiuto anche per questo?”

 

***

 

Quando lei li raggiunse, Camille aveva già preparato la schiuma e si apprestava a iniziare la rasatura.

“Oscar, come ve la cavate con quest’arma bianca?” Le fece, sollevando il rasoio nella sua direzione. “Avete mai provato? André ti va di fare da cavia?”

 

Oscar aveva sedici anni quando si era autoinvitata nella stanza di André una mattina di estate con il preciso scopo di provare a fargli la barba e ancora adesso restava per lui una delle esperienze più erotiche mai vissute. Chissà cosa le era scattato, se si era trattato di uno dei suoi tentativi di sfidare il genere che non le apparteneva, superandolo in ogni attività, persino quelle di routine quotidiana.

André non le avrebbe mai detto di no. A ben vedere, da parte di Oscar era stata un’invasione dei suoi spazi. Se lui fosse stato davvero solo il suo attendente e non la sua finestra sul mondo, si sarebbe potuto sentire offeso, non era mica un giocattolo. Qualcuno avrebbe potuto definirla prepotente. A tratti lo era.

E invece, oltre ad un banale, viscerale desiderio di intimità con lei che in quegli anni ricordava essere stato quasi doloroso nella sua intensità, si era sentito lusingato. L’unica persona con cui lei potesse interagire a quel livello.

L’aveva lasciata fare, rabbrividendo di piacere al contatto delle sue dita delicatamente autoritarie a manovrarlo. Riusciva a sentire il suo respiro attraverso la pelle inumidita dalla schiuma, mentre - concentratissima - Oscar seguiva i suoi tratti e affondava la lama sulla carne, avvolgendolo col suo odore estivo, mentre le cicale consumavano il mondo conosciuto col loro frinire incessante.

Quel giorno tra tutti aveva capito quanto il suo desiderio viaggiasse con il paraocchi. Mai, nei pochi episodi in cui una ragazza si era affacciata per offrirsi nella sua adolescenza repressa per una pomiciata, si era sentito così.

Inebriato. Estatico. Non poteva guardare; lei avrebbe capito cosa lo divorava.

Solo il dolore gli aveva aperto gli occhi e aveva trovato quelli di lei preoccupati a osservarlo.

“Non te la prendere, il mento è un punto difficile, capita anche ai migliori!” l’aveva rassicurata.

Quando a fine rasatura il taglio aveva continuato a sanguinare le aveva passato una ditata di schiuma sul broncio mortificato, provando a sdrammatizzare. Non c’era voluto molto per cominciare a lottare con quella: lei lo aveva inseguito col pennello carico e l’aveva spinto sul letto, costringendolo a reagire per vincere, pur di non darle modo di capire, tenendola alla giusta distanza con le braccia bloccate, spaventato dalla forza con cui la voleva, il corpo sottile ed elastico di lei che provava a divincolarsi, con la faccia divertita e imbrattata di schiuma.

L’aveva liberata, crollandole accanto sul materasso eccitato e sconvolto.

Allora, lei gli era salita addosso.

Lei. L’incosciente. Passando la schiuma dalla propria guancia al suo naso, dolorosamente adesa ad ogni sua curva, selvatica. Ne era consapevole? Rimase immobile e stordito alla sua mercé, paralizzato, pregando non finisse quel contatto.

Era lei a tenerlo bloccato.

Lei a prolungare quei momenti a cui sarebbe tornato infinite volte col pensiero, chiedendosi se anche per lei fosse stata la stessa cosa.

 

Quella del desiderio di Oscar rimaneva una questione misteriosa. Per ovvi motivi doveva essere molto consapevole del proprio corpo. Si allenava, lo conosceva a menadito e riusciva ad affrontare con obiettività le difficoltà a cui il suo essere donna la portava ogni mese. Benedetta da un flusso poco abbondante continuava, pur con qualche precauzione, una vita normale. E non era certo una sprovveduta, perché gli stessi libri di medicina che aveva letto lui, nella biblioteca de Jarjaeyes, li aveva letti anche lei, più volte oltretutto. Quindi non poteva ignorare cosa avesse provato a comunicarle il suo fisico in quei rarissimi momenti in cui avevano superato certi confini dopo l’infanzia.

Si era trattato sempre di sue iniziative, tra l’altro.

In Normandia, ad esempio. Quella volta in cui l’aveva abbracciato, sorprendendolo nell’oceano gelato mentre nuotavano vestiti, in preda ad una delle loro bravate nate da una scommessa. Tutte le passeggiate a cavallo in cui per qualche motivo aveva pensato di condividere la sella con lui. Ad Arras, i pisolini sul prato in cui aveva richiesto la sua spalla come cuscino, il suo petto come guanciale e quell’unica notte alcolica e indimenticabile in cui si era risvegliato con lei accanto a stringergli la mano, l’illusione che quella felicità, quella distanza potesse bastargli per sempre e la consapevolezza della fame che ne seguiva. Il volerne ancora. Di più.

E a lei cosa passava per la testa? Era mai stata almeno curiosa? Conservava quei ricordi o li aveva rimossi?

 

La risposta di Oscar arrivò con un po’ di ritardo.

“No Camille, sarà meglio facciate voi. Ma attenzione al mento: è un punto difficile.”

 

***

 

“Allora è domattina, eh?”

“Già.”

Era passato a trovarlo a sera, dopo la cena, trovandolo teso come una corda pronta a spezzarsi. Aveva immaginato un cedimento, ma non si aspettava di ritrovarlo di nuovo in un simile stato di angoscia.

“Non è che cambi qualcosa se sei preoccupato, sai. Aspetta domani e capirai cosa fare.”

Eh. La fai facile.

Alain intuì di essere stato poco efficace.

“A questo punto una bella dormita è quello che ti ci vuole per affrontare tutto, no?”

Ma ancora, André non rispondeva, e dubitava di poter chiudere occhio. Che poi, quanto era irritante il fatto di ritrovarsi continuamente ad utilizzare figure retoriche “riguardanti” la vista? Che razza di congiura anche della lingua.

“Senti… ma sarebbe poi la fine del mondo se non dovessi più vederci?”

André si riscosse, di nuovo completamente attento.

“Non dovresti neppur preoccuparti di sbarcare il lunario perché certo ti fornirebbero una pensione, ma se volessi lavorare sei un uomo colto, ci sarebbero tante cose che potresti ancora fare. Qui in Martinica o altrove. E l’altra cosa fondamentale è che non sei solo. Il comandante ci tiene a te. E per quello che vale anche io farò il possibile, lo sai, no?”

Doveva essere arrivato a livelli di paranoia preoccupanti per trovare sospetto il modo in cui Alain pronunciava la parola comandante.

“Alain… grazie.”

“Prova a dormire un po’.”

 

***

 

La disperazione ha un suono sordo, una nota che non si spegne, un trampolino di lancio verso la follia a lasciarla andare. I pensieri possono rimbalzare contro le quattro pareti del cranio come una pallina impazzita, ripetendosi nell’ossessione, sfuggendo alle reprimende della ragione, arrivando a squarciare dall’interno il contenitore incauto.

L’insonnia, sorella e compagna di questo stato, affliggeva André nell’ultima notte di attesa prima del resto della sua vita.

Era stato un ottimista. Solo adesso realizzava la sua situazione in toto. Solo adesso ne abbracciava davvero il peso e con questo precipitava in un baratro cupo, senza traccia di sonno ristoratore.

Forse Alain non aveva tutti i torti, non era la fine del mondo non vedere. Si era adattato velocemente, e se ci era riuscito in un’umida infermeria, sul fondo di una nave, il resto non poteva che trattarsi di una passeggiata. Ormai era cieco da quanto? Due settimane? E prima ancora, da molto tempo, aveva iniziato a capire come fare, contare i passi, imparare a memorizzare gli spazi. Raffinare tutti gli altri sensi che stanotte potevano solo renderlo consapevole della morsa d’ansia che lo stritolava, rotolandosi esausto nel lettino che da troppi giorni era buona parte del suo mondo.

 

Eppure, ad un certo punto doveva essersi addormentato.

 

Il sogno iniziò con una carezza sfiorata, impalpabile e indecisa. Qualcosa di così delicato poteva appartenere solo alla sua immaginazione, eppure indugiava, resisteva sulla sua guancia con la consistenza di un alito di vento.

Il contatto si ripeteva, trattenendosi come uno spirito curioso su ogni tratto del suo volto, rispondendo al cambio dei suoi respiri. Forse stava finalmente impazzendo, ma che importava? Se la follia era fatta di carezze non avrebbe esitato ad abbandonarcisi.

 

Da un punto vicinissimo ai suoi stessi pensieri, sentì la voce rassicurante di lei. Come poteva non essere lei, se era il suo sogno? Un soffio sovrastò l’intero universo, mormorando con dolcezza al suo orecchio.

Andrà tutto bene sussurrava.

Le sue braccia sostituirono la morsa. Il tepore la paura. Col viso nel suo petto, si lasciò cullare dall’apparizione consolatrice e la cullò a sua volta.

Nella sua stretta ritrovò e perse il tempo, il proprio nome, il sopra, il sotto e l’intorno, un bozzolo incantato e sospeso a sostenerlo senza incertezze, disteso in quella che avrebbe potuto essere la sua branda come il letto di casa, il prato in Bretagna, le nuvole. I luoghi in cui non era mai stato e che mai avrebbe visto.

Andrà tutto bene ripeteva la creatura onirica che sapeva di Oscar, scacciando quei rigurgiti di paura con la sua accoglienza. Modellandosi al suo contorno senza esitare. Offrendogli la pelle tenera del collo come ultimo rifugio.

Lui con le labbra saggiò una clavicola, beandosi della seta tesa su quell’osso, respirò il suo stesso fiato raccolto nella piccola conca che stava sfiorando e sentì il sogno rabbrividire e stringerlo. Sospirare.

Lo avvolse morbida, e lui fuso con quel corpo sempre immaginato con dovizia di particolari, si lasciò naufragare nella vertigine dell’illusione e poi nel sonno più profondo.

Andrà tutto bene disse ancora lei, tracciando una scia bruciante di baci leggeri sul suo capo, sulla fronte nascosta dai capelli, sulla benda che conteneva la risposta ai suoi dubbi.

 

***

 

 

 

Si risvegliò scuotendosi all’improvviso, passando con rapidità da un’oscurità all’altra, e riconobbe il profumo di sapone di Marsiglia e rosa.

Era accaduto davvero?

Disorientato, passò più volte il naso sul cuscino e sulle maniche della camicia che indossava, non riuscendo nell’intento di discriminare il ricordo dalla suggestione, agitato e con un battito febbrile nel petto, come quando alzava troppo il gomito (da quanto tempo non toccava alcool, adesso!) e dimenticava di bere acqua prima di crollare nel sonno.

Certo, di recente la sua testa era stata strapazzata, ma poteva addirittura avergli giocato uno scherzo simile? Poteva un sogno essere così vivido? Fu tentato dall’idea di provare a riaddormentarsi per tornare lì, ma le prime strida dei gabbiani in volo lo strapparono da quel mistero, annunciandogli l’incedere del giorno; l’ora della resa dei conti.

Mise i piedi a terra. Rimase seduto sulla branda, stranito, tenendo le lenzuola strette nelle mani come brandelli di realtà allucinata. Sul fondo della lingua, dove il palato molle incontra la gola, sentì il sapore acido della paura. Pungeva.

Passarono una decina di minuti e si decise ad alzarsi del tutto, mettersi per quanto poteva in ordine, distrarsi, ma ci impiegò pochissimo e dopo pochi altri minuti la tensione raggiunse livelli insopportabili. Uno, due, tre passi prudenti, brevi, non come quelli di prima, per raggiungere il secondo lettino, girarci attorno, toccare la seconda sponda opposta, stop. Sei altri passi, e trovava la porta, le assi scricchiolanti e il mobiletto sulla destra che ogni visitatore spostava entrando, magari di poco, ma bastava una sola volta per demoralizzarsi, la mano nel vuoto, d’accapo.

Non avrebbe aspettato il dottore, non poteva.

Voleva farlo da solo.

Voleva almeno la libertà di questa sentenza.

Sprofondò nuovamente a sedere nella branda e cercò nella chioma scarmigliata lo stretto nodo che teneva chiusa la fasciatura, che nonostante tutto si arrese in fretta alle sue dita tremanti.

Svolse le bende deciso, ma spaventato, giro dopo giro, sollevando i capelli selvaggi, liberando il capo non più rigonfio dopo la botta, fino a trovare l’impacco, l’ ultimo strato a contenere l’occhio destro. Lo rimosse con delicatezza e le palpebre, recalcitranti, risposero piano ai suoi comandi.

 

Fili di grigio. O era un nero molto chiaro a prenderlo in giro? No, era proprio grigio. Il grigio esisteva. Ancora.

Guizzi di luce infuocata, puntini, forme indefinite in movimento precipitarono ruotando vorticose, lasciandolo quasi nauseato, e richiuse gli occhi.

Ma era un buon segno, era qualcosa, si disse. Non era la sua immaginazione. Ancora in subbuglio riprovò.

Resisté al giramento di testa e i punti divennero fori, vasti squarci si allargarono sul tessuto scuro che lo avvolgeva e rivelarono le sue mani, il letto, il catino con l’acqua con cui si sciacquò il viso. Conosceva quell’angolo al tatto, ma adesso il tutto era disegnato senza insicurezze dal suo occhio, nella penombra.

Possibile? Da quanto tempo non vedeva la penombra?

Il cuore gli batteva all’impazzata, ma respirava piano, per paura di interrompere l’incanto. Continuava ad aprire e chiudere le mani nel suo grembo, come se distinguerle significasse anche riscoprirne il funzionamento, riassociarle alla percezione dello sguardo, sentendosi intero, sopraffatto dalla speranza.

Luce. Corse dalla luce che pioveva dalle scale, vide di nuovo la nave, le dimensioni degli scalini, il violetto del cielo nel riquadro che lo portò a sbucare in superficie; sul ponte di coperta già un piccolo gruppo di marinai sistemava le vele, scambiandosi cenni e cime senza rompere la quiete del mattino.

Ancora ovattata di lieve condensa notturna, la baia raccoglieva un bacino di onde cristalline, di un punto di blu che mai avrebbe associato ad uno specchio d’acqua profondo, purissimo e placido come il respiro di un bimbo addormentato, così diverso dall’ultima volta aveva visto l’Oceano, così diverso da ogni altro mare. La vastità di un panorama sconosciuto, non più fatto solo di distanza immaginata, lo attirò verso la murata ad est, verso lo spettacolo del sole che iniziava a salire e a insinuarsi tra le forme sinuose dei rilievi incontaminati dell’isola a restituirgli i colori più tenui e quelli infuocati, uno dopo altro nel cielo.

Fu grato per gli azzurri, grato per i rosa, e grato sopra ogni altra cosa per quel profilo ritagliato dai raggi radenti dell’alba che avrebbe riconosciuto fino alla fine dei suoi giorni, senza possibilità di errore. Affacciata alla prua, parve avvertire la sua presenza, si voltò e lo vide.

 

Oscar.

 

 

Rimasero immobili, nessuno dei due osò fare un passo in quell’istante cristallizzato.

Gli bastò annuire alla domanda muta e inutile che lesse nei suoi occhi e vide il viso di lei trasfigurato dalla gioia, il suo sorriso emozionato riflettersi nel proprio come il più bello degli specchi.

Questo prima di ritrovarsi sommerso dai primi compagni di viaggio urlanti, che lo travolsero con malagrazia, scoprendolo lì. Scesero gli uomini di guardia dall’albero maestro, venne suonata la campana d’adunata, Gérard commosso e Alain strepitante non smisero di strattonarlo tra i tanti felici per lui, eroe di nuovo, Orfeo riemerso dagli inferi senza pendenze.

Il dottor d’Orsay si fece largo per visitarlo, si ripresentò e conobbe il suo aspetto delicato, la figura gentile come la sua voce emozionata nel dirgli “È un miracolo, André!”, entusiasta come se l’occhio fosse il proprio, riuscì a riempirlo di raccomandazioni sovrastando il pandemonio della nave in festa.

Solo quando finalmente apparve la silhouette regale dell’ammiraglio sul cassero, col tricorno nero e l’uniforme tirata a lucido, gli uomini parvero acquietarsi.

Il colpo di scena fu sentirlo annunciare non ancora la partenza delle navi, ma la promozione di André Grandier e Alain de Soissons ad allievi ufficiali, con effetto immediato. Per meriti dimostrati nel viaggio turbolento della Destin, arrivato infine al suo ultimo giorno.

 

Fu una nuova esplosione.

Nessuno escluso, gioivano tutti, assetati di buone notizie e di voglia di far baldoria.

 

“Sapevi qualcosa di questa storia?” chiese una Oscar così esterrefatta da scivolare nel tu, per la prima volta, con Camille.

Il dottore, compiaciuto, aveva l’aria di saperla lunghissima, ma si limitò ad ammettere un “Forse.”

“Ma… si può? Voglio dire, non occorrerebbe un’autorizzazione dalla Francia, dall’esercito?”

Il suo interlocutore sollevò le spalle, minimizzando: “Qui le cose procedono a una velocità diversa, snellite dalla pressione della burocrazia del continente. Come saprete, la promozione di persone non di rango ad allievi ufficiali è possibile anche in Francia, solo è molto complicata quando ci sono troppe persone ammanicate a litigarsi privilegi. E questo in Francia accade praticamente sempre. Qui, se pure dovessimo ricevere critiche, tarderebbero ad arrivare. Un’eventuale destituzione dall’incarico impiegherebbe mesi, senza contare che non credo sia ancora nata una persona così ostinata da contraddire una decisione dell’ammiraglio. Che resta la carica militare più importante delle Piccole Antille al momento, ricordatelo.”

Lei galleggiava, travolta dai cambiamenti repentini di percorso e ancora incredula per concedersi la felicità che però, con prudenza, si insinuava. Bruscolini di sollievo si aggregavano nei recessi del suo animo, formavano piccoli nuclei di rinascita, le possibilità, concimate, rifiorivano.

“Forse è tempo che prendiate una decisione, Oscar.” Gli occhi dorati di Camille capivano. “Se volete tornare a casa, ci sarebbe una soluzione semplice e immediata: Étienne è disposto ad organizzare nei prossimi giorni un brigantino per voi, un piccolo veliero che ormai sareste in grado di condurre voi stessa, ma vi assicureremmo comunque qualcuno di fidato come secondo e una rappresentanza della Mistral nell’equipaggio.”

Il deus ex machina colpiva ancora. E il complice biondo qui presente le sorrideva con dolcezza, senza nascondere l’affettuoso coinvolgimento nelle sue vicende.

I bivi oggi non facevano più paura.

“Allora, cosa volete davvero?”

 

 

***

 

Questa versione di Oscar dalla pelle caramellata e dai capelli così chiari da sembrar bianchi nella lunghezza, non era necessariamente più bella della creatura di porcellana a cui si era abituato crescendole accanto, ma di certo era nuova e non riusciva smettere di osservarla.

Mai, neppure nelle loro lunghe estati da ragazzi l’aveva vista con quei colori selvaggi.

Il mare l’aveva stropicciata, smussandone gli angoli e riemergendo con forza nel colore dei suoi occhi accesi, saturi di luce riflessa. E poi portava la coda. Gli piaceva un sacco con la coda bassa e le ciocche sfuggenti a carezzarle le guance; con le sue onde sembrava quasi un’acconciatura elaborata, mentre probabilmente non ci aveva messo più di un minuto a legarli.

La camicia bianca frustava il vento all’unisono con le vele spiegate, mentre la nave procedeva veloce verso la meta e la felicità lo assaliva a ondate; quasi sembrava volesse prenderlo in giro per il contrasto con il suo umore del giorno prima, e si sentì sciocco e fragile di fronte agli alti e bassi dell’esistenza, le luci e le ombre in perpetuo divenire, che nel suo caso disegnavano curve vertiginose.

 

“Hai le lentiggini, non te le vedevo da quando eri alta così”

 

Lei si portò una mano al viso, intimidita dal suo primo commento dopo esser stata studiata così a lungo da aver finito ogni argomento di conversazione spicciola per dissimulare l’imbarazzo.

 

“Sono incantevoli, tu sei incantevole.”

 

E si trattenne dal dirle altro o dal lasciarsi trasportare dallo spirito euforico che lo possedeva, dalla voglia di stringerla lì e adesso tra le sue braccia, avanti a tutti che certo stavano osservandoli, splendidi così come erano, insieme, al cospetto del mare e del cielo, in bilico tra la vita di prima e quell’attimo.

 

“André, tu cosa vuoi fare… non dobbiamo restare per forza in Martinica.”

 

Il plurale, ma che bella idea il plurale, chi mai l’avrà inventato?

 

“Potremmo anche tornare in Francia, sai, c’è anche questa opzione.” continuò.

 

E lui lesse nei suoi occhi la voglia di avventura, la risposta che era anche la sua, a patto di averla accanto.

 

“Ti va di provare a restare?”

 

 

 

FINE (PRIMA PARTE)

 

 

  

Lettera aperta ai lettori di Martinique

 

 A chi si trovasse di passaggio, magari sfuggirà che questa storia è ripartita dopo uno stop di ben sei anni.

Anni in cui in parallelo con la Oscar della storia, ho preso decisioni drastiche e ho imparato che tutto può cambiare, pur con un grande impegno e sempre a costo di sacrifici.

 

Sentivo una sorta di mortificazione nei confronti dei personaggi irrisolti, pensavo soprattutto ad André, nel buio della nave e al buio dovuto al contorto stato di salute inventato per lui. (A tal proposito, a chi di voi interessasse giocare con le diagnosi traballanti dirò che si è trattato di un caso particolare di emeralopia, in cui si sono sovrapposte una sofferenza epatica da abuso di alcolici, una grave ipovitaminosi e - ciliegina sulla torta - il trauma cranico durante il naufragio. Scusa André. Pietra sopra, dai.)

 

Adesso posso lasciarvi i nostri in una sorta di finale aperto, di qui in poi le loro avventure si spostano nella calda Martinica (in cui non sono mai stata se non con l’immaginazione, ma quasi quasi, prima o poi, magari.)

 

Vorrei parlarvi a grandi linee di quello che ho in mente accadrà, di come certe dinamiche potrebbero ripetersi, di quanto i personaggi di rottura servano a farci uscire dai binari delle nostre abitudini, di come sia facile dare per scontato che le cose che fanno tutti attorno a noi siano quelle giuste. Ma non lo farò perché da qualche parte spero di continuare, con i miei tempi.

 

Grazie a chiunque sia qui a leggermi, ma soprattutto chi c’è sempre stato e mi ha accompagnata con pazienza e affetto: Laura questa storia non esisterebbe senza te e il Little Corner, lo sai, ma mi piace ripetertelo. Ti voglio bene.

 

P.S. La poesia iniziale in questo capitolo è “All’alba”, di Alfonso Gatto.

P.P.S. Per la rubrica citazioni da Little Corner, quelle che riesco a ritrovare perché ho una memoria analogica e fallace (e ahimè, peggiora nel tempo) c’è una scena di rasatura – tenera e gelosa – nel primo capitolo in assoluto di BK’s Night di Laura. E il modo in cui Alain pronuncia la parola comandante… andrebbe ricercato nell’opificio letterario di Alessandra, che nel suo seguito ipotetico di Autunno di Laura lo spiega assai bene!

 

 

Pubblicazione del sito Little corner luglio 2019

vietati pubblicazione e uso senza il consenso dell'autore

 

 

Fine (I parte)

Mail to dreaming_aloud@libero.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage