Martinique
cap. 14
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Dal
diario di bordo della Mistral
5
Giugno, 1785
Nubi
basse, vento caldo da sud levatosi all’alba, mare navigabile.
Iniziati lavori di consolidamento trinchetto della Destin, prima murata
riparata, attività incessante carpentieri promette buoni risultati in tempo
prestabilito.
Stato
salute feriti: resta convalescente solo André Grandier, che continua il ricovero
in infermeria. Il dottor D’Orsay aspetta per pronunciarsi, ma la vista dell’uomo
potrebbe essere definitivamente compromessa, mentre sembrano rientrati del tutto
i problemi digestivi così come quelli alla spalla.
La
nostra presenza nella baia comincia a destare preoccupazione, dopo il tramonto
sono stati avvistati segnali luminosi sulla spiaggia e un suono di tamburi
lontani, poi vicini, poi di nuovo lontani, è andato avanti per tutta la notte
spaventando gli uomini. Se sospettano assedio c’è da affrettarsi.
Cap. 14
Sette giorni
“Ma
cosa state insinuando?”
“Ma
cosa state insinuando” scimmiottò lui, facendole il verso con una smorfia.
“Storie scandalose sottocoperta! Ma magari, che botta di vita sarebbe, Oscar!”
aggiunse sarcastico Étienne più scocciato che divertito, continuando a sfogliare
il diario di bordo.
Lei
divenne color del vino, contando fino a dieci per non reagire.
Entrare
in quella cabina traboccante di oggetti la metteva sempre sul chi va là, sia per
traumi pregressi *vedi alla voce
narcotizzazione* che per una vertigine da disordine. Una specie di
disorientamento dovuto allo spazio ingombro di ciarpame non
classificabile misto a tesori inestimabili, specchio preciso del carattere
imprevedibile del principale occupante.
Oscar
amava il bianco. L’ordine minimale. Aveva sempre avuto un rapporto quasi
ascetico col possesso degli oggetti e inorridiva di fronte agli accumulatori
come Étienne.
L’aveva
trovato intento a compilare il diario di bordo; c’era da registrare l’intero
carico di armi trasportato dalla Destin e certo non doveva essere entusiasta del
suo compito da amanuense.
Ancora
prima di qualsiasi convenevole si era scusata per essersi precipitata da André
il giorno precedente. Non era il momento, aveva ammesso.
Ma
l’ammiraglio non si era fatto rabbonire. Così aveva ricevuto senza mezze misure
il divieto assoluto di incontrarlo se non “con giudizio”, al massimo una volta
al giorno e in presenza di Camille, e ancora, di evitare ad ogni modo
atteggiamenti “intimi” che lasciassero trapelare della loro “vicinanza”. Con una
faccia da schiaffi che farciva di sottintesi ogni singolo vocabolo, ma quello
era il suo modo di fare, dopotutto.
“No
Oscar, ovviamente non mi illudo che la vostra casta e ventennale relazione con
André - di cui non mi è del tutto chiara la natura, ma concedetemi di ribadire
anche qui che avreste da farvi qualche domanda voi stessa in proposito - si
risolva con delle effusioni in infermeria proprio adesso. Intendiamoci, per me
sarebbe comprensibilissimo, ma non credo sia il vostro modo di fare. Invece è
esattamente quello che insinueranno tutti se continuerete a farvi trovare lì.
Dopo lo spettacolo di ieri non possiamo correre rischi; siete l’argomento del
giorno e l’intera nave avrà gli occhi su di voi, e io non ho intenzione di
combattere inutili pettegolezzi assieme a tutte le altre rogne che già ci tocca
affrontare.”
“Mi
state dicendo che non posso vederlo ADESSO?”
Adesso che è ferito, solo, dall’altra
parte del mondo e probabilmente…
“Ho
dovuto trascinarvi via dalla Destin ieri sera e stamattina so che siete già
sgattaiolata in infermeria a controllarlo prima dell’alba!” La interruppe brusco
sbattendo una mano sul tavolo ingombro, facendo saltare la penna dal calamaio.
“E se lo so io siate pur certa che lo sanno tutti. Da qui in poi non è più una
questione di discrezione, ci sono già le basi per insinuazioni pesanti che
possono nuocere anche ad André, se proprio volete mettervi da parte.” Con
quest’ultimo punto l’aveva colpita, registrò, notando il modo in cui si mordeva
le labbra.
“Per
quanto ieri possa essersi concluso tutto per il meglio, la vostra posizione
resta traballante e non c’è un solo ufficiale della Destin che facendo rapporto
non si sia sentito in dovere di esprimermi dubbi sul vostro caso. Per quello che
ne so sono il vostro unico sostenitore su quella nave.”
“Sarò
più attenta. Io…”
“No!”
Si impuntò lui dando un altro colpo al tavolo. “Sto suggerendovi il modo più
semplice per evitare problemi a tutti, anzi, vi ho già
ordinato di non fare di testa vostra
e basta! Non lo incontrerete da sola, punto. Sia benedetta la gerarchia
militare, io e voi sembriamo parlare due lingue diverse quando non c’è Camille a
fare da intermediario” concluse seccato.
“Sissignore.” cedette lei, amara. Erano stati giorni duri e si leggevano sul suo
viso smunto, divorato da una febbre interiore che la consumava in solitudine.
“Ammetto di essere poco lucida al momento. Riesco a capire il senso di ciò che
dite, ma sono preoccupata.” Vorrei solo
stargli accanto.
Étienne
si stirò il volto con le mani, insistendo sulla fronte come per un mal di testa.
Un’ondata di stanchezza gli fece buttare il collo bruno all’indietro, sulla
sedia. Accidenti a quella ragazza, quanto riusciva a fargli tenerezza col suo
rendere complicato il pane.
“Siate
sincera con me, Oscar” chiese, cambiando anche lui il tono: “State prendendo
sottogamba la questione perché pensate di non restare, vero? Con questo problema
di André torna in auge anche l’idea di tornare subito in Francia?”
Lo
sguardo di lei sembrò attraversare mille leghe prima di arrivare, da un’altra
dimensione, dove probabilmente si arrovellava senza sosta su queste domande.
Mortificata, scosse appena la testa.
“Non lo
so. Forse. Se non dovesse recuperare la vista adesso credo che torneremmo in
Europa, sì. Cercherei una cura con lui.”
“Ed
ecco che per l’ennesima volta si riapre la questione del comando della guardia a
Saint Pierre.”
“Mi
dispiace tanto, Étienne. Invece di aiutarvi sto portando solo scompiglio.”
L’ammiraglio smise di stropicciarsi la faccia, e abbozzò una smorfia ironica.
“Adesso
non rendiamo la situazione più tragica di quel che è, una cosa alla volta. È
presto per prendere decisioni, e voi dovreste essere ottimista: André è già
molto migliorato rispetto alle condizioni in cui l’hanno trovato. Se ho ben
capito, oltre la slogatura alla spalla resta solo scoprire come sia messo
l’occhio… quando ha detto che rimuoverà il bendaggio Camille?”
“Aveva
detto sette giorni, quindi probabilmente il giorno stesso della partenza, se
tutto va bene.”
“Bene.
Allora qualsiasi cosa accada, tra sette giorni farò in modo di fornirvi più
opzioni.” E senza aggiungere altro si alzò e le diede le spalle, rivolgendosi
alla grande finestra aperta; il mare, illuminato dal sole a picco del
mezzogiorno rimandava riflessi fin dentro la cabina, si inseguivano mobili sulle
assi del soffitto, ipnotici.
Quale
trovata delle sue poteva avere in pentola, adesso?
“In che
senso… Étienne?”
Quello
non diede segno di volersi spiegare. La congedò con un cenno della mano, e
soddisfatto del proprio segreto continuò ad osservare la baia.
“Ah,
Oscar?”
“Sì?”
“Ancora
complimenti per il duello di ieri. Siete stata magnifica.” disse, senza voltarsi
del tutto.
Al che
Oscar esitò. Rimase ferma nella cornice della porta, meditabonda, e quel lungo
momento di incertezza le fece riguadagnare l’attenzione dell’ammiraglio.
“Grazie, ma sono quasi certa che quell’Alain mi abbia lasciata vincere.”
confessò.
***
“Capisci? Se tutti venissero educati allo stesso modo allora non si tratterebbe
più di suddividere i ruoli della società per sessi, ma tutti potrebbero fare
tutto. È una potenza della
libertà di cui parli sempre quando immagini una Francia senza restrizioni di
classe, ma allargando il concetto anche alla donna, mettendola alla pari
dell’uomo per diritti e per doveri. E possibilità.”
Seduto
accanto alla branda, Alain ascoltava giocando a far rimbalzare una palla di
stracci sulla parete, lasciando all’amico l’esercizio dell’oratoria.
Con più
cuscini a fargli da schienale e la spalla in via di guarigione, tracciava linee
immaginarie di collegamento tra i suoi argomenti. La voce di nuovo solida,
piena.
Aveva
recuperato un po’ di peso e perso il colorito giallognolo dei giorni precedenti,
e a guardarlo così, avvolto da candidi bendaggi e con la camicia lasciata
aperta, poteva sembrare una sorta di oracolo greco.
“È
che mi sembra impossibile da immaginare. Come fai a dire al mondo di cominciare
a girare in un altro modo? L’uguaglianza civile per il terzo stato è una cosa,
ma gli uomini e le donne sono proprio animali diversi! Il comandante… mi è più
semplice inquadrarla come un’eccezione, una specie di miracolo… tipo artista del
circo, hai presente? Cioè, lo so che in via del tutto ipotetica fila il tuo
ragionamento, per esempio mia zia Amélie è forte come un toro perché il marito è
morto di febbre gialla e lei si è arrangiata trovandosi sola, quindi la mattina
trasporta delle casse al mercato - condì con il gesto di caricarsi qualcosa in
spalla, dimenticandosi che l’interlocutore non poteva vederlo - roba che farebbe
impallidire un mulo.”
“Sì,
però riflettici Alain. Non parlo di forza bruta, ma proprio di educazione. Siamo
abituati ad assegnarci dei ruoli, a dire alle donne di fare un certo tipo di
attività etichettate come femminili e a pensare che per costituzione non possano
condurre la nostra stessa esistenza. Non è banale; diamo per scontato che le
cose debbano andare così finché non cambiano, ma ogni rivoluzione parte proprio
dalle nostre teste, quando iniziamo ad immaginare come potrebbe essere una
società in cui…”
“Però
se ci pensi sono fatte per fare i figli, altrimenti perché le tette?” Alain de
Soissons, spoetizza i vostri discorsi aulici dal 1760, una garanzia.
“Se la
metti in questo senso, per fare i figli
mi sembra di ricordare che servano anche gli uomini, poi quella a cui alludi tu
è la… manutenzione, diciamo.”
“Sì, ma
anche il… trasporto, finché il bambino non è pronto, è a carico loro, quindi è
proprio per natura che secondo me devono occuparsene; ma intendiamoci, a me non
dispiace affatto l’idea di prendermi cura di un pupo…” a questa dichiarazione
comparve nei loro pensieri l’immagine di Alain in versione balia, e
ridacchiarono entrambi.
“Ecco,
vedi? Sembra strano anche a te!”
“Non mi
sembra strano perché sei un uomo, mi sembra strano perché sei… un bufalo! Mio
Dio!” E scosse la testa divertito, ma sapeva che dietro l’aspetto da bestione
c’era una persona affettuosa. Tenera, avrebbe azzardato. Non pensava si
immaginasse già padre, tutto qui.
“Ridi,
ridi, ma davvero io non mi tirerei indietro a far le cose da donna, per i miei
figli.” rincarò l’altro. “Però mia moglie la vorrei classica: brava in cucina e
ad aspettarmi rientrare, quel genere lì.”
André
annuì, comprensivo, ma alieno a quel desiderio.
“Restando invece sul discorso generale, non credi anche tu sarebbe bello se ogni
donna potesse scegliere tra una vita da madre e una come quella di Oscar, senza
essere considerata strana?”
Alain a
questo si soffermò a pensare, bloccò la palla di stracci che aveva continuato a
lanciare e ci mise un buon minuto a riaprir bocca.
“Cioè
tu sostieni che ci siano delle donne che non vogliono mettere su famiglia? Hai
ragione sul fatto delle opzioni, bella la libertà, ma credi veramente che
qualcuna sceglierebbe di fare il soldato o di non avere figli? A me sembra
impossibile.”
“Non ho
chiesto a tutte, ma mi sembra ragionevole supporre che qualcuna che la pensi in
modo diverso esista, sì.” Passò le dita sulle bende attorno l’occhio destro, le
assestò sconsolato e poi continuò: “La vita non deve necessariamente ridursi
alla riproduzione, come dici tu, o comunque a sposarsi, e vale anche per gli
uomini.”
“E
quindi secondo te per cosa dovremmo vivere se non per formare una famiglia e
difenderla?”
“Ma non
so, per provare sentimenti ad esempio? Bada che non sto escludendo quello che
dici tu, sto solo esponendo altre ipotesi. Ognuno ha un proprio percorso fatto
di desideri, con una propria etica da rispettare per sentire di star seguendo
“la strada giusta”, o anche per cambiare idea quando serve. C’è anche la
possibilità di improvvisare senza uno scopo ultimo, immagino. Non vorrei
generalizzare, ma ci sono così tanti modi di vivere la vita che limitarla a quei
traguardi mi sembrerebbe avvilente.”
“…”
“…”
“André,
sei proprio sicuro che ti stiano facendo bene le cure?”
“Davvero stai dubitando delle mie facoltà mentali solo perché ho idee diverse
dalle tue?”
“No,
dai, a parte questo. Che hai? Sembri abbattuto, hai fatto ‘na faccia…”
“Alain…”
“Hai
paura?”
Non
voleva commiserarsi, non voleva pensare a quel buio come definitivo, non voleva
riaprire quel discorso.
“…Un
po’.”
L’altro
non seppe che dire, impantanato nella stessa preoccupazione.
“E poi
lei…”
Era
questo il pronome che doveva lasciarsi sfuggire, il peso sul cuore, lei. “Dimmi
Alain, è molto impegnata? Cosa ha fatto in questi tre giorni?”
“Ma
com’è che riesci a fare il brillante nei discorsi sul senso della vita e poi non
sai usare le meningi su una questione semplice come questa? Secondo te, dopo il
macello che si è scatenato sul fatto che è una donna, sarebbe saggio se venisse
qui a fare l’infermiera per un tizio sconosciuto? O anche se si sapesse chi sei,
per il suo attendente? - caricò di
enfasi la parola -Sicuro è già nei casini per venire a trovarti una volta al
giorno come sta facendo, non so con quale scusa.”
Tra i
pro e i contro di avergli rivelato dei dettagli della storia con Oscar, che
l’altro potesse consolarlo con cognizione di causa era decisamente un pro,
considerò André.
“Comunque sì - continuò Alain - è infaticabile come un’ape; passa in rassegna
reclute, supervisiona i lavori, il carico che stiamo spostando nella Mistral… ha
già messo a posto i peggiori di noi, se ci tieni a saperlo.
È un impiastro, dovevo vincere
io e mandarla qui in infermeria a svernare con te, sarebbe stato meglio.”
Lanciò
una volta ancora la palla contro la parete e André ne afferrò al volo il
rimbalzo col braccio buono, per poi dargliela in testa, con una precisione da
vedente che spiazzò Alain.
“Mi
stai prendendo in giro?” e gli passò una mano avanti la faccia.
“Non ha
fatto altro che venire qui con il dottor D’Orsay, e pure quando è qui si rivolge
più spesso a lui che altro… e lo chiama per nome. Non sono abituato a sentirla
chiamare per nome uno sconosciuto. Quanto possono essere entrati in confidenza
in poco più di due mesi e mezzo?” chiese seccato.
Alain,
che scemo non era, collegò a quei dubbi anche la curiosità che aveva avuto André
sull’aspetto del medico, una curiosità che gli era sembrata assai strana, ma a
cui aveva risposto con un resoconto onesto, pieno di lodi per il dottor D’Orsay
buttate lì come prese in giro, il massimo grado di elogio concesso dai suoi
parametri di machismo, insomma. Adesso se ne pentiva. Forse anche con la coda di
paglia per aver sconfinato lui stesso in un paio di fantasie, si sentì subito di
fare squadra contro il medico.
“Ma
adesso non starai mica pensando… Guarda che quello è così magro che se soffi
forte vola via, no, no, ma figurati.”
“Ma tu
l’hai vista interagire con lui? Come ti sembra?”
Mozzafiato,
gli suggerì la voce a cui non voleva dare ascolto nella sua testa. Vederla
apparire lo innervosiva. E provava a distrarsi, ma c’era questa percezione
insistente di sentire sempre dove si trovasse, come una bussola col nord,
dovunque stesse per apparire si sarebbe voltato prima, per poi scansarla con lo
sguardo, evitarla con una vaga agitazione da ragazzino a rendergli difficile
qualsiasi attività.
La
donna di un amico si difende come propria ma non si tocca neppure per scherzo
si ripeté. Le basi, dannazione.
“La
noia ti fa immaginare cose che non esistono.” rispose, e si augurò valesse anche
per sé. “E il dottore è affabile con tutti, mica solo con lei. Poi ha questa
vocina melensa, lo senti anche tu come parla, no? Non mi sorprenderei se fosse
una che…”
“Eddai
Alain!” lo bloccò. Si sentiva una merda. Il dottor D’Orsay era stato il suo
salvatore e in cambio lui era qui a denigrarlo. Il primo giorno non si era mai
allontanato dal suo capezzale, mettendo fine al supplizio delle cure del medico
di bordo della Destin, un tale sporco che puzzava di alcool, garantito che ne
sapeva più Nanny di medicina che lui.
Eppure
adesso l’avrebbe preferito mille volte rispetto alla tortura di sentire Oscar e
Camille armeggiare attorno a sé,
scambiare battute e accennare ad argomenti a cui era estraneo. Non che dicessero
chissà cosa, il più delle volte provavano solo a tenere alto il morale, lo
capiva. Ma lei gli stava così attaccata durante il cambio delle bende. L’Oscar
che conosceva lui non accettava quel genere di vicinanza senza irrigidirsi,
c’era un perimetro preciso che non tutti potevano superare e in cui quest’uomo
già entrava senza incontrare resistenza.
Li
sentì arrivare che ancora scendevano le scale e azzittì i commenti beceri
dell’amico.
Il duo
entrò senza bussare. Camille con un cesto di vivande e la solita faccia
scanzonata, Oscar al seguito, cauta, sembrò congelarsi appena notata la presenza
del secondo occupante dell’infermeria.
“Buongiorno André! - salutò con accento creolo il medico - Oh, ma che onore!
Diamo una controllata anche alla tua ferita, Alain?”
“Ferita, questo taglietto?” E nel dirlo scambiò un’occhiata con Oscar, che
osservava dubbiosa il punto incriminato sul suo petto, come potesse vederlo
attraverso l’uniforme.
Alain
lasciò che il dottore sbirciasse velocemente il suo stato, sbottonò giacca e
camicia senza sfilarle, continuando a studiare la situazione.
Forse
fu l’espressione tesa dell’amico a suggestionarlo, ma c’era qualcosa che non
andava, osservò. La donna continuava ad armeggiare a caso con la frutta nel
cesto, spostando pomi dal colore ambrato - di cui ignorava nome, gusto e
consistenza - per poi rimetterli esattamente dov’erano, senza aprire bocca.
L’atmosfera era carica di irrisolti e pesava; l’unico che pareva non
accorgersene era il medico, che con il suo sorriso impenetrabile o era un fesso
o si fingeva tale, rifletté.
“Un
ricamino te l’ho dovuto fare comunque… I punti si stanno rimarginando senza
problemi, ma facci attenzione. E se dovesse gonfiarsi o cominciare a far male
avvisami, anche se a questo punto dovremmo stare tranquilli.”
Gli
altri due continuavano a fare il gioco del silenzio.
C’era
qualcosa di esasperante e infantile in quello stallo e se André non fosse stato
in quelle condizioni sarebbe scoppiato a ridere; ma dopotutto cosa poteva
saperne lui di quei due? Era la prima volta che se li trovava contemporaneamente
avanti, e forse aveva delle aspettative sbagliate. Non erano amanti. Erano due
tizi contorti che avevano bisogno di parlare senza altra gente attorno, ecco
cosa.
“Seh,
seh… beh, io torno al lavoro o qui il comandante avrà da ridire. André, stammi
bene!”
***
Pochi
minuti dopo era sul ponte di coperta, riverso a terra a imprecare e a chiedere
del dottor D’Orsay, dopo aver preso una casuale botta in pieno stomaco proprio
sulla ferita, piazzatosi - sempre casualmente - alle spalle dei lavoratori che
trasportavano il materiale per le riparazioni.
***
Soli,
dunque.
Appena
Camille chiuse la porta, corse a dare un’occhiata al corridoio. Lo trovò sgombro
e si accomodò accanto alla branda.
“Perdona l’assenza, André. Pare non sia il momento giusto di far sapere che eri
il mio attendente: mi è stata ordinata discrezione.”
“Qualcuno sa…” Di noi, avrebbe detto.
Ma non vedere la sua espressione lo rendeva cauto. “ …che ci conosciamo?”
“…Ho
parlato di te all’ammiraglio e a Camille.”
Una
pausa prima di rispondere. Una nota di imbarazzo. Quel nome.
André
rimase in silenzio, con le labbra piegate in una smorfia di impercettibile
disappunto, prima di tornare a sorridere, con un sospiro.
Oscar
sapeva di non aver tempo da perdere; Camille poteva tornare da un momento
all’altro, ma era bloccata. Non riusciva a ricordare neppure un appiglio del
turbine di pensieri eloquenti con cui si era immaginata di raccontargli del suo
viaggio, le realizzazioni che lo riguardavano.
Stordita dalla sofferenza, spaventata dal non poterlo rassicurare, rimasero
così, lei muta e lui cieco, per quello che sembrò un intervallo lunghissimo. Lui
doppiamente in svantaggio per non poterla leggere - come sempre era stato tra
loro - e per il semplice fatto di trovarsi lì, al suo cospetto, nelle Antille,
che di per sé era una dichiarazione che lei non voleva o non sapeva
interpretare.
André
sentì la branda cedere a un nuovo peso, poi la mano di lei raggiunse la sua, un
intreccio incerto delle dita, subito sciolto, cauto.
“Hai
idea di quanta paura ho avuto?”
Lui
annuì, con un altro flebile sorriso.
Ce
l’aveva un’idea. Ormai non era più il ragazzino che credeva che avesse smesso di
volergli bene perché presa dal lavoro, dalla regina.
Solo
che adesso era lui ad essere terrorizzato, per due motivi diversi: il primo,
razionale, era il fatto di trovarsi non richiesto e cieco nella nuova vita che
lei aveva scelto per sé e non per entrambi. Il secondo, più irrazionale, ma
altrettanto lacerante, (se non di più, proprio perché irrazionale) era questo
medico sbucato dal nulla.
Allungò
la mano che lei aveva sfiorato, e rivolse il palmo verso l’alto, richiamando la
sua con un cenno. Non lo fece aspettare.
Stringerla gli procurò un immediato senso di benessere. Le sue dita affusolate,
non poteva vederle ma eccole, forti ed emozionate, a trasmettere quello che lei
non riusciva a dirgli, arenata in un silenzio tormentato di dubbi.
“Oscar,
a cosa stai pensando?” Distraimi da
questo buio, ricordami chi siamo. “Puoi chiedermi qualsiasi cosa, lo sai.”
“Perché, André?”
“Perché
cosa?”
“Perché
non sei andato a Pont-Aven?” Perché mi
hai seguita?
“Ho
cambiato idea la sera prima della tua partenza.”
“…”
“Lo so,
ho improvvisato. Sei stata tu a fare quei discorsi sull’importanza di cambiare
idea, sull’essenza dello spirito dell’uomo che sta nelle nuove esperienze…
mettila così: sei stata convincente.” ridacchiò.
Lei non
capì se quel tono affabile fosse per consolarla, rassicurarla, o sollevarla da
eventuali responsabilità. Ma soprattutto, realizzò, non aveva davvero risposto.
“Dio
Oscar, Non hai idea di quanto pagherei per vedere la faccia che stai facendo.”
sospirò lui stanco, sperando di non intristirla.
“Ma…
tutta la tua roba?”
“Questo
è un capitolo spiacevole - si sistemò nel letto senza smettere di stringerle la
mano - mi hanno rubato il carro, proprio nel porto di Brest. Le cose più
importanti le avevo addosso, comunque.”
“E la
tua spada?”
“Intendi… ma non l’avevo mica con me, l’ho lasciata a casa tua. Era della tua
famiglia, Oscar.”
“Cosa?
No, André, era tua! Era un mio regalo per te!”
Si alzò
di scatto, indignata all’idea. La loro spada. Ma come aveva potuto non
prenderla. Quella sua dannata modestia nei confronti del suo mondo.
Si
addentrò per qualche passo nella stanza, il tenue chiarore della luce naturale
sostenuto da un paio di lampade ad olio creava un gioco di ombre tremule;
l’oscurità sembrava viva, pronta ad afferrare il resto, loro due compresi.
Senza
tornare a guardarlo riprese a parlargli, ma la domanda suonò più aspra del
dovuto: “Tua nonna sa che sei qui?”
“Le ho
scritto come ultima cosa prima di partire, a quest’ora saprà di certo.” rispose
lui, un po’ sulla stessa nota nervosa.
Forse
Nanny se lo aspettava. Forse lei era più felice di figurarseli insieme, anche se
lontani da casa; lo pensarono entrambi ed entrambi immaginarono lo sapesse anche
l’altro, ma non lo dissero.
Un
esemplare di non detto in più nella loro infinita collezione di incomprensioni
che differenza poteva fare?
Fare
domande non era mai stato il loro forte. Non quelle vere, quelle dirette che
entrano a gamba tesa nella vita altrui; lei le limitava per educazione, lui per
delicatezza, due motivazioni simili che però non erano la stessa. E anche adesso
Oscar esitava, persa nell’angolo buio dell’infermeria non riusciva a trovare le
parole per chiedergli ciò che voleva.
Si
poteva far finta di nulla ancora una volta, girarci attorno fino a nuovo ordine,
non era necessario sapere tutto.
Eppure.
Eppure
erano finiti dall’altro lato del pianeta, strattonati, diversi, purificati. Che
senso aveva indugiare adesso?
“Va
tutto bene, Oscar, non devi sentirti in colpa di nulla, è stata una mia scelta.”
“Sei un
pazzo” articolò lei. “Sei… un pazzo!” e aggiunse ancora un pugno.
“Ehi!
Ahi! Ma la smetterai mai di usare sempre le mani?”
“Scusami.” mormorò raccolta nel suo petto, la voce rimpicciolita e timida.
“Ma no,
non mi hai fatto nulla, stavo scherzando.”
“Scusami, non dovevo andare via!” buttò fuori tutto d’un fiato. Lo strinse più
forte, spingendo la fronte contro il suo sterno, provando a respirare. “Non
dove-vo, ma io no-n sapevo…” singhiozzò senza riuscire a spiegarsi.
E lui
non capì, sopraffatto da questa vulnerabilità di lei, tutta insieme dopo
ventitré anni di sporadiche, brevissime concessioni.
“Non
c’è nulla di cui tu ti debba scusare con me. Respira, Oscar.”
E anche
lui doveva calmarsi, le gambe molli dalla speranza e un tremito a percorrerlo
per intero, contagiato da lei.
Non
l’aveva mai sentita così vicina.
Delicatamente, raccolse il viso di lei nelle mani, lo sfiorò, lo ricompose nella
sua mente. Passò i pollici sulle ciglia cariche di pianto, sulle guance umide,
sulla linea soffice del mento mentre lei col fiato sospeso si lasciava
esplorare, commossa. Era così che si faceva: aveva i suoi contorni, il ricordo
dei colori con cui riempirli, il suo profumo. Era lei. Tangibile. Reale.
Lei a
racchiudergli le mani con le sue, lasciandole riposare sul suo volto, in una
sorta di carezza composita, di dita su dita.
Avrebbe
voluto dirle come si chiamava tutto questo. Forse per lei aveva ancora un altro
nome, ma in quel momento gli sembrò di avere la chiave per tradurlo, in uno
slancio di ottimismo contro tutti i pronostici.
“Non
mentirmi mai più.” ordinò Oscar.
“No.”
“E
poi…”
La
interruppe. Il suo indice sulle sue labbra.
“Sta
arrivando il dottor D’Orsay.”
Lei
fece un passo indietro, liberandosi.
“André,
la vista non è detto che sia perduta. Ma comunque vada troveremo una soluzione
insieme.”
***
Approfittarono della luna nuova per avvicinarsi. Il cielo coperto e nero, un
leggero vento, i soliti tamburi in lontananza; tutti contribuì a farli muovere
senza essere avvistati.
Dovevano essere in pochi, una quindicina al massimo. Avevano provato ad
arrampicarsi sullo scafo, armati di soli archi e frecce per colpire nel
silenzio, una missione evidentemente intimidatoria che rischiava di avere un
discreto successo.
Non
fosse stato per Alain.
Pubblicazione del sito Little corner luglio 2019
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