Martinique

cap. 14

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Dal diario di bordo della Mistral

 

5 Giugno, 1785

 

Nubi basse, vento caldo da sud levatosi all’alba, mare navigabile.

Iniziati lavori di consolidamento trinchetto della Destin, prima murata riparata, attività incessante carpentieri promette buoni risultati in tempo prestabilito.

Stato salute feriti: resta convalescente solo André Grandier, che continua il ricovero in infermeria. Il dottor D’Orsay aspetta per pronunciarsi, ma la vista dell’uomo potrebbe essere definitivamente compromessa, mentre sembrano rientrati del tutto i problemi digestivi così come quelli alla spalla.

La nostra presenza nella baia comincia a destare preoccupazione, dopo il tramonto sono stati avvistati segnali luminosi sulla spiaggia e un suono di tamburi lontani, poi vicini, poi di nuovo lontani, è andato avanti per tutta la notte spaventando gli uomini. Se sospettano assedio c’è da affrettarsi.

 

 

Cap. 14 Sette giorni

 

 

“Ma cosa state insinuando?”

Ma cosa state insinuando” scimmiottò lui, facendole il verso con una smorfia. “Storie scandalose sottocoperta! Ma magari, che botta di vita sarebbe, Oscar!” aggiunse sarcastico Étienne più scocciato che divertito, continuando a sfogliare il diario di bordo.

Lei divenne color del vino, contando fino a dieci per non reagire.

 

Entrare in quella cabina traboccante di oggetti la metteva sempre sul chi va là, sia per traumi pregressi *vedi alla voce narcotizzazione* che per una vertigine da disordine. Una specie di  disorientamento dovuto allo spazio ingombro di ciarpame non classificabile misto a tesori inestimabili, specchio preciso del carattere imprevedibile del principale occupante.

Oscar amava il bianco. L’ordine minimale. Aveva sempre avuto un rapporto quasi ascetico col possesso degli oggetti e inorridiva di fronte agli accumulatori come Étienne.

L’aveva trovato intento a compilare il diario di bordo; c’era da registrare l’intero carico di armi trasportato dalla Destin e certo non doveva essere entusiasta del suo compito da amanuense.

Ancora prima di qualsiasi convenevole si era scusata per essersi precipitata da André il giorno precedente. Non era il momento, aveva ammesso.

Ma l’ammiraglio non si era fatto rabbonire. Così aveva ricevuto senza mezze misure il divieto assoluto di incontrarlo se non “con giudizio”, al massimo una volta al giorno e in presenza di Camille, e ancora, di evitare ad ogni modo atteggiamenti “intimi” che lasciassero trapelare della loro “vicinanza”. Con una faccia da schiaffi che farciva di sottintesi ogni singolo vocabolo, ma quello era il suo modo di fare, dopotutto.

 

“No Oscar, ovviamente non mi illudo che la vostra casta e ventennale relazione con André - di cui non mi è del tutto chiara la natura, ma concedetemi di ribadire anche qui che avreste da farvi qualche domanda voi stessa in proposito - si risolva con delle effusioni in infermeria proprio adesso. Intendiamoci, per me sarebbe comprensibilissimo, ma non credo sia il vostro modo di fare. Invece è esattamente quello che insinueranno tutti se continuerete a farvi trovare lì. Dopo lo spettacolo di ieri non possiamo correre rischi; siete l’argomento del giorno e l’intera nave avrà gli occhi su di voi, e io non ho intenzione di combattere inutili pettegolezzi assieme a tutte le altre rogne che già ci tocca affrontare.”

“Mi state dicendo che non posso vederlo ADESSO?” Adesso che è ferito, solo, dall’altra parte del mondo e probabilmente…

“Ho dovuto trascinarvi via dalla Destin ieri sera e stamattina so che siete già sgattaiolata in infermeria a controllarlo prima dell’alba!” La interruppe brusco sbattendo una mano sul tavolo ingombro, facendo saltare la penna dal calamaio. “E se lo so io siate pur certa che lo sanno tutti. Da qui in poi non è più una questione di discrezione, ci sono già le basi per insinuazioni pesanti che possono nuocere anche ad André, se proprio volete mettervi da parte.” Con quest’ultimo punto l’aveva colpita, registrò, notando il modo in cui si mordeva le labbra.

“Per quanto ieri possa essersi concluso tutto per il meglio, la vostra posizione resta traballante e non c’è un solo ufficiale della Destin che facendo rapporto non si sia sentito in dovere di esprimermi dubbi sul vostro caso. Per quello che ne so sono il vostro unico sostenitore su quella nave.”

“Sarò più attenta. Io…”

“No!” Si impuntò lui dando un altro colpo al tavolo. “Sto suggerendovi il modo più semplice per evitare problemi a tutti, anzi, vi ho già ordinato di non fare di testa vostra e basta! Non lo incontrerete da sola, punto. Sia benedetta la gerarchia militare, io e voi sembriamo parlare due lingue diverse quando non c’è Camille a fare da intermediario” concluse seccato.

“Sissignore.” cedette lei, amara. Erano stati giorni duri e si leggevano sul suo viso smunto, divorato da una febbre interiore che la consumava in solitudine. “Ammetto di essere poco lucida al momento. Riesco a capire il senso di ciò che dite, ma sono preoccupata.” Vorrei solo stargli accanto.

Étienne si stirò il volto con le mani, insistendo sulla fronte come per un mal di testa. Un’ondata di stanchezza gli fece buttare il collo bruno all’indietro, sulla sedia. Accidenti a quella ragazza, quanto riusciva a fargli tenerezza col suo rendere complicato il pane.

“Siate sincera con me, Oscar” chiese, cambiando anche lui il tono: “State prendendo sottogamba la questione perché pensate di non restare, vero? Con questo problema di André torna in auge anche l’idea di tornare subito in Francia?”

Lo sguardo di lei sembrò attraversare mille leghe prima di arrivare, da un’altra dimensione, dove probabilmente si arrovellava senza sosta su queste domande. Mortificata, scosse appena la testa.

“Non lo so. Forse. Se non dovesse recuperare la vista adesso credo che torneremmo in Europa, sì. Cercherei una cura con lui.”

“Ed ecco che per l’ennesima volta si riapre la questione del comando della guardia a Saint Pierre.”

“Mi dispiace tanto, Étienne. Invece di aiutarvi sto portando solo scompiglio.”

L’ammiraglio smise di stropicciarsi la faccia, e abbozzò una smorfia ironica.

“Adesso non rendiamo la situazione più tragica di quel che è, una cosa alla volta. È presto per prendere decisioni, e voi dovreste essere ottimista: André è già molto migliorato rispetto alle condizioni in cui l’hanno trovato. Se ho ben capito, oltre la slogatura alla spalla resta solo scoprire come sia messo l’occhio… quando ha detto che rimuoverà il bendaggio Camille?”

“Aveva detto sette giorni, quindi probabilmente il giorno stesso della partenza, se tutto va bene.”

“Bene. Allora qualsiasi cosa accada, tra sette giorni farò in modo di fornirvi più opzioni.” E senza aggiungere altro si alzò e le diede le spalle, rivolgendosi alla grande finestra aperta; il mare, illuminato dal sole a picco del mezzogiorno rimandava riflessi fin dentro la cabina, si inseguivano mobili sulle assi del soffitto, ipnotici.

Quale trovata delle sue poteva avere in pentola, adesso?

“In che senso… Étienne?”

Quello non diede segno di volersi spiegare. La congedò con un cenno della mano, e soddisfatto del proprio segreto continuò ad osservare la baia.

“Ah, Oscar?”

“Sì?”

“Ancora complimenti per il duello di ieri. Siete stata magnifica.” disse, senza voltarsi del tutto.

Al che Oscar esitò. Rimase ferma nella cornice della porta, meditabonda, e quel lungo momento di incertezza le fece riguadagnare l’attenzione dell’ammiraglio.

“Grazie, ma sono quasi certa che quell’Alain mi abbia lasciata vincere.” confessò.

 

***

 

“Capisci? Se tutti venissero educati allo stesso modo allora non si tratterebbe più di suddividere i ruoli della società per sessi, ma tutti potrebbero fare tutto. È una potenza della libertà di cui parli sempre quando immagini una Francia senza restrizioni di classe, ma allargando il concetto anche alla donna, mettendola alla pari dell’uomo per diritti e per doveri. E possibilità.”

Seduto accanto alla branda, Alain ascoltava giocando a far rimbalzare una palla di stracci sulla parete, lasciando all’amico l’esercizio dell’oratoria.

Con più cuscini a fargli da schienale e la spalla in via di guarigione, tracciava linee immaginarie di collegamento tra i suoi argomenti. La voce di nuovo solida, piena.

Aveva recuperato un po’ di peso e perso il colorito giallognolo dei giorni precedenti, e a guardarlo così, avvolto da candidi bendaggi e con la camicia lasciata aperta, poteva sembrare una sorta di oracolo greco.

È che mi sembra impossibile da immaginare. Come fai a dire al mondo di cominciare a girare in un altro modo? L’uguaglianza civile per il terzo stato è una cosa, ma gli uomini e le donne sono proprio animali diversi! Il comandante… mi è più semplice inquadrarla come un’eccezione, una specie di miracolo… tipo artista del circo, hai presente? Cioè, lo so che in via del tutto ipotetica fila il tuo ragionamento, per esempio mia zia Amélie è forte come un toro perché il marito è morto di febbre gialla e lei si è arrangiata trovandosi sola, quindi la mattina trasporta delle casse al mercato - condì con il gesto di caricarsi qualcosa in spalla, dimenticandosi che l’interlocutore non poteva vederlo - roba che farebbe impallidire un mulo.”

“Sì, però riflettici Alain. Non parlo di forza bruta, ma proprio di educazione. Siamo abituati ad assegnarci dei ruoli, a dire alle donne di fare un certo tipo di attività etichettate come femminili e a pensare che per costituzione non possano condurre la nostra stessa esistenza. Non è banale; diamo per scontato che le cose debbano andare così finché non cambiano, ma ogni rivoluzione parte proprio dalle nostre teste, quando iniziamo ad immaginare come potrebbe essere una società in cui…”

“Però se ci pensi sono fatte per fare i figli, altrimenti perché le tette?” Alain de Soissons, spoetizza i vostri discorsi aulici dal 1760, una garanzia.

“Se la metti in questo senso, per fare i figli mi sembra di ricordare che servano anche gli uomini, poi quella a cui alludi tu è la… manutenzione, diciamo.”

“Sì, ma anche il… trasporto, finché il bambino non è pronto, è a carico loro, quindi è proprio per natura che secondo me devono occuparsene; ma intendiamoci, a me non dispiace affatto l’idea di prendermi cura di un pupo…” a questa dichiarazione comparve nei loro pensieri l’immagine di Alain in versione balia, e ridacchiarono entrambi.

“Ecco, vedi? Sembra strano anche a te!”

“Non mi sembra strano perché sei un uomo, mi sembra strano perché sei… un bufalo! Mio Dio!” E scosse la testa divertito, ma sapeva che dietro l’aspetto da bestione c’era una persona affettuosa. Tenera, avrebbe azzardato. Non pensava si immaginasse già padre, tutto qui.

“Ridi, ridi, ma davvero io non mi tirerei indietro a far le cose da donna, per i miei figli.” rincarò l’altro. “Però mia moglie la vorrei classica: brava in cucina e ad aspettarmi rientrare, quel genere lì.”

André annuì, comprensivo, ma alieno a quel desiderio.

“Restando invece sul discorso generale, non credi anche tu sarebbe bello se ogni donna potesse scegliere tra una vita da madre e una come quella di Oscar, senza essere considerata strana?”

Alain a questo si soffermò a pensare, bloccò la palla di stracci che aveva continuato a lanciare e ci mise un buon minuto a riaprir bocca.

“Cioè tu sostieni che ci siano delle donne che non vogliono mettere su famiglia? Hai ragione sul fatto delle opzioni, bella la libertà, ma credi veramente che qualcuna sceglierebbe di fare il soldato o di non avere figli? A me sembra impossibile.”

“Non ho chiesto a tutte, ma mi sembra ragionevole supporre che qualcuna che la pensi in modo diverso esista, sì.” Passò le dita sulle bende attorno l’occhio destro, le assestò sconsolato e poi continuò: “La vita non deve necessariamente ridursi alla riproduzione, come dici tu, o comunque a sposarsi, e vale anche per gli uomini.”

“E quindi secondo te per cosa dovremmo vivere se non per formare una famiglia e difenderla?”

“Ma non so, per provare sentimenti ad esempio? Bada che non sto escludendo quello che dici tu, sto solo esponendo altre ipotesi. Ognuno ha un proprio percorso fatto di desideri, con una propria etica da rispettare per sentire di star seguendo “la strada giusta”, o anche per cambiare idea quando serve. C’è anche la possibilità di improvvisare senza uno scopo ultimo, immagino. Non vorrei generalizzare, ma ci sono così tanti modi di vivere la vita che limitarla a quei traguardi mi sembrerebbe avvilente.”

“…”

“…”

“André, sei proprio sicuro che ti stiano facendo bene le cure?”

“Davvero stai dubitando delle mie facoltà mentali solo perché ho idee diverse dalle tue?”

“No, dai, a parte questo. Che hai? Sembri abbattuto, hai fatto ‘na faccia…”

“Alain…”

“Hai paura?”

Non voleva commiserarsi, non voleva pensare a quel buio come definitivo, non voleva riaprire quel discorso.

“…Un po’.”

L’altro non seppe che dire, impantanato nella stessa preoccupazione.

“E poi lei…”

Era questo il pronome che doveva lasciarsi sfuggire, il peso sul cuore, lei. “Dimmi Alain, è molto impegnata? Cosa ha fatto in questi tre giorni?”

“Ma com’è che riesci a fare il brillante nei discorsi sul senso della vita e poi non sai usare le meningi su una questione semplice come questa? Secondo te, dopo il macello che si è scatenato sul fatto che è una donna, sarebbe saggio se venisse qui a fare l’infermiera per un tizio sconosciuto? O anche se si sapesse chi sei, per il suo attendente? - caricò di enfasi la parola -Sicuro è già nei casini per venire a trovarti una volta al giorno come sta facendo, non so con quale scusa.”

Tra i pro e i contro di avergli rivelato dei dettagli della storia con Oscar, che l’altro potesse consolarlo con cognizione di causa era decisamente un pro, considerò André.

“Comunque sì - continuò Alain - è infaticabile come un’ape; passa in rassegna reclute, supervisiona i lavori, il carico che stiamo spostando nella Mistral… ha già messo a posto i peggiori di noi, se ci tieni a saperlo. È un impiastro, dovevo vincere io e mandarla qui in infermeria a svernare con te, sarebbe stato meglio.”

Lanciò una volta ancora la palla contro la parete e André ne afferrò al volo il rimbalzo col braccio buono, per poi dargliela in testa, con una precisione da vedente che spiazzò Alain.

“Mi stai prendendo in giro?” e gli passò una mano avanti la faccia.

“Non ha fatto altro che venire qui con il dottor D’Orsay, e pure quando è qui si rivolge più spesso a lui che altro… e lo chiama per nome. Non sono abituato a sentirla chiamare per nome uno sconosciuto. Quanto possono essere entrati in confidenza in poco più di due mesi e mezzo?” chiese seccato.

Alain, che scemo non era, collegò a quei dubbi anche la curiosità che aveva avuto André sull’aspetto del medico, una curiosità che gli era sembrata assai strana, ma a cui aveva risposto con un resoconto onesto, pieno di lodi per il dottor D’Orsay buttate lì come prese in giro, il massimo grado di elogio concesso dai suoi parametri di machismo, insomma. Adesso se ne pentiva. Forse anche con la coda di paglia per aver sconfinato lui stesso in un paio di fantasie, si sentì subito di fare squadra contro il medico.

“Ma adesso non starai mica pensando… Guarda che quello è così magro che se soffi forte vola via, no, no, ma figurati.”

“Ma tu l’hai vista interagire con lui? Come ti sembra?”

Mozzafiato, gli suggerì la voce a cui non voleva dare ascolto nella sua testa. Vederla apparire lo innervosiva. E provava a distrarsi, ma c’era questa percezione insistente di sentire sempre dove si trovasse, come una bussola col nord, dovunque stesse per apparire si sarebbe voltato prima, per poi scansarla con lo sguardo, evitarla con una vaga agitazione da ragazzino a rendergli difficile qualsiasi attività.

La donna di un amico si difende come propria ma non si tocca neppure per scherzo si ripeté. Le basi, dannazione.

“La noia ti fa immaginare cose che non esistono.” rispose, e si augurò valesse anche per sé. “E il dottore è affabile con tutti, mica solo con lei. Poi ha questa vocina melensa, lo senti anche tu come parla, no? Non mi sorprenderei se fosse una che…”

“Eddai Alain!” lo bloccò. Si sentiva una merda. Il dottor D’Orsay era stato il suo salvatore e in cambio lui era qui a denigrarlo. Il primo giorno non si era mai allontanato dal suo capezzale, mettendo fine al supplizio delle cure del medico di bordo della Destin, un tale sporco che puzzava di alcool, garantito che ne sapeva più Nanny di medicina che lui.

Eppure adesso l’avrebbe preferito mille volte rispetto alla tortura di sentire Oscar e Camille armeggiare attorno a sé, scambiare battute e accennare ad argomenti a cui era estraneo. Non che dicessero chissà cosa, il più delle volte provavano solo a tenere alto il morale, lo capiva. Ma lei gli stava così attaccata durante il cambio delle bende. L’Oscar che conosceva lui non accettava quel genere di vicinanza senza irrigidirsi, c’era un perimetro preciso che non tutti potevano superare e in cui quest’uomo già entrava senza incontrare resistenza.

Li sentì arrivare che ancora scendevano le scale e azzittì i commenti beceri dell’amico.

 

Il duo entrò senza bussare. Camille con un cesto di vivande e la solita faccia scanzonata, Oscar al seguito, cauta, sembrò congelarsi appena notata la presenza del secondo occupante dell’infermeria.

“Buongiorno André! - salutò con accento creolo il medico - Oh, ma che onore! Diamo una controllata anche alla tua ferita, Alain?”

“Ferita, questo taglietto?” E nel dirlo scambiò un’occhiata con Oscar, che osservava dubbiosa il punto incriminato sul suo petto, come potesse vederlo attraverso l’uniforme.

Alain lasciò che il dottore sbirciasse velocemente il suo stato, sbottonò giacca e camicia senza sfilarle, continuando a studiare la situazione.

Forse fu l’espressione tesa dell’amico a suggestionarlo, ma c’era qualcosa che non andava, osservò. La donna continuava ad armeggiare a caso con la frutta nel cesto, spostando pomi dal colore ambrato - di cui ignorava nome, gusto e consistenza - per poi rimetterli esattamente dov’erano, senza aprire bocca. L’atmosfera era carica di irrisolti e pesava; l’unico che pareva non accorgersene era il medico, che con il suo sorriso impenetrabile o era un fesso o si fingeva tale, rifletté.

“Un ricamino te l’ho dovuto fare comunque… I punti si stanno rimarginando senza problemi, ma facci attenzione. E se dovesse gonfiarsi o cominciare a far male avvisami, anche se a questo punto dovremmo stare tranquilli.”

Gli altri due continuavano a fare il gioco del silenzio.

C’era qualcosa di esasperante e infantile in quello stallo e se André non fosse stato in quelle condizioni sarebbe scoppiato a ridere; ma dopotutto cosa poteva saperne lui di quei due? Era la prima volta che se li trovava contemporaneamente avanti, e forse aveva delle aspettative sbagliate. Non erano amanti. Erano due tizi contorti che avevano bisogno di parlare senza altra gente attorno, ecco cosa.

“Seh, seh… beh, io torno al lavoro o qui il comandante avrà da ridire. André, stammi bene!”

 

***

 

Pochi minuti dopo era sul ponte di coperta, riverso a terra a imprecare e a chiedere del dottor D’Orsay, dopo aver preso una casuale botta in pieno stomaco proprio sulla ferita, piazzatosi - sempre casualmente - alle spalle dei lavoratori che trasportavano il materiale per le riparazioni.

 

***

 

Soli, dunque.

 

Appena Camille chiuse la porta, corse a dare un’occhiata al corridoio. Lo trovò sgombro e si accomodò accanto alla branda.

 

“Perdona l’assenza, André. Pare non sia il momento giusto di far sapere che eri il mio attendente: mi è stata ordinata discrezione.”

“Qualcuno sa…” Di noi, avrebbe detto. Ma non vedere la sua espressione lo rendeva cauto. “ …che ci conosciamo?”

“…Ho parlato di te all’ammiraglio e a Camille.”

 

Una pausa prima di rispondere. Una nota di imbarazzo. Quel nome.

André rimase in silenzio, con le labbra piegate in una smorfia di impercettibile disappunto, prima di tornare a sorridere, con un sospiro.

 

Oscar sapeva di non aver tempo da perdere; Camille poteva tornare da un momento all’altro, ma era bloccata. Non riusciva a ricordare neppure un appiglio del turbine di pensieri eloquenti con cui si era immaginata di raccontargli del suo viaggio, le realizzazioni che lo riguardavano.

Stordita dalla sofferenza, spaventata dal non poterlo rassicurare, rimasero così, lei muta e lui cieco, per quello che sembrò un intervallo lunghissimo. Lui doppiamente in svantaggio per non poterla leggere - come sempre era stato tra loro - e per il semplice fatto di trovarsi lì, al suo cospetto, nelle Antille, che di per sé era una dichiarazione che lei non voleva o non sapeva interpretare.

 

André sentì la branda cedere a un nuovo peso, poi la mano di lei raggiunse la sua, un intreccio incerto delle dita, subito sciolto, cauto.

 

“Hai idea di quanta paura ho avuto?”

 

Lui annuì, con un altro flebile sorriso.

Ce l’aveva un’idea. Ormai non era più il ragazzino che credeva che avesse smesso di volergli bene perché presa dal lavoro, dalla regina.

Solo che adesso era lui ad essere terrorizzato, per due motivi diversi: il primo, razionale, era il fatto di trovarsi non richiesto e cieco nella nuova vita che lei aveva scelto per sé e non per entrambi. Il secondo, più irrazionale, ma altrettanto lacerante, (se non di più, proprio perché irrazionale) era questo medico sbucato dal nulla.

Allungò la mano che lei aveva sfiorato, e rivolse il palmo verso l’alto, richiamando la sua con un cenno. Non lo fece aspettare.

Stringerla gli procurò un immediato senso di benessere. Le sue dita affusolate, non poteva vederle ma eccole, forti ed emozionate, a trasmettere quello che lei non riusciva a dirgli, arenata in un silenzio tormentato di dubbi.

 

“Oscar, a cosa stai pensando?” Distraimi da questo buio, ricordami chi siamo. “Puoi chiedermi qualsiasi cosa, lo sai.”

“Perché, André?”

“Perché cosa?”

“Perché non sei andato a Pont-Aven?” Perché mi hai seguita?

“Ho cambiato idea la sera prima della tua partenza.”

“…”

“Lo so, ho improvvisato. Sei stata tu a fare quei discorsi sull’importanza di cambiare idea, sull’essenza dello spirito dell’uomo che sta nelle nuove esperienze… mettila così: sei stata convincente.” ridacchiò.

Lei non capì se quel tono affabile fosse per consolarla, rassicurarla, o sollevarla da eventuali responsabilità. Ma soprattutto, realizzò, non aveva davvero risposto.

“Dio Oscar, Non hai idea di quanto pagherei per vedere la faccia che stai facendo.” sospirò lui stanco, sperando di non intristirla.

“Ma… tutta la tua roba?”

“Questo è un capitolo spiacevole - si sistemò nel letto senza smettere di stringerle la mano - mi hanno rubato il carro, proprio nel porto di Brest. Le cose più importanti le avevo addosso, comunque.”

“E la tua spada?”

“Intendi… ma non l’avevo mica con me, l’ho lasciata a casa tua. Era della tua famiglia, Oscar.”

“Cosa? No, André, era tua! Era un mio regalo per te!”

Si alzò di scatto, indignata all’idea. La loro spada. Ma come aveva potuto non prenderla. Quella sua dannata modestia nei confronti del suo mondo.

Si addentrò per qualche passo nella stanza, il tenue chiarore della luce naturale sostenuto da un paio di lampade ad olio creava un gioco di ombre tremule; l’oscurità sembrava viva, pronta ad afferrare il resto, loro due compresi.

Senza tornare a guardarlo riprese a parlargli, ma la domanda suonò più aspra del dovuto: “Tua nonna sa che sei qui?”

“Le ho scritto come ultima cosa prima di partire, a quest’ora saprà di certo.” rispose lui, un po’ sulla stessa nota nervosa.

Forse Nanny se lo aspettava. Forse lei era più felice di figurarseli insieme, anche se lontani da casa; lo pensarono entrambi ed entrambi immaginarono lo sapesse anche l’altro, ma non lo dissero.

Un esemplare di non detto in più nella loro infinita collezione di incomprensioni che differenza poteva fare?

Fare domande non era mai stato il loro forte. Non quelle vere, quelle dirette che entrano a gamba tesa nella vita altrui; lei le limitava per educazione, lui per delicatezza, due motivazioni simili che però non erano la stessa. E anche adesso Oscar esitava, persa nell’angolo buio dell’infermeria non riusciva a trovare le parole per chiedergli ciò che voleva.

Si poteva far finta di nulla ancora una volta, girarci attorno fino a nuovo ordine, non era necessario sapere tutto.

Eppure.

Eppure erano finiti dall’altro lato del pianeta, strattonati, diversi, purificati. Che senso aveva indugiare adesso?

 

 

 

“Perché non mi hai detto dell’occhio?”

“In che senso?”

“Vedevi già con difficoltà prima della partenza, lo so da Camille.”

Lui sembrò raccogliere le forze prima di rispondere, disorientato.

“Non credevo di peggiorare così. Il dottor Lassonne non sapeva cosa pensare, e io ho voluto credere che fosse momentaneo.”

“Ma perché non me ne hai parlato?”

“Ho pensato che fosse momentaneo!” ripeté rassegnato.

“Dovevi comunque parlarmene!”

“E per cosa, Oscar?”

“Perché ti avrei aiutato, in ogni modo!”

“Ma non avrei più potuto… starti accanto.”

 

Non aveva più nulla da perdere. Eccolo qui, il suo soldo di verità per la fontana del destino. Come se avesse lanciato se stesso assieme a quelle parole, per la prima volta in quell’oscurità si sentì leggero, senza peso: poteva diventare i suoi pensieri, essere solo voce trasparente. Dopo così tanti anni.

 

“È tutta la vita che sono sempre al tuo fianco, in ogni occasione. Non potevo… non volevo rischiare che…”

 Un singhiozzo lo interruppe.

Poi un altro.

E poi era in piedi, cercandola a tentoni, incredulo.

Da qualche parte avanti a sé la sentiva sgretolarsi in un pianto disperato, come volesse dar fondo a tutte le lacrime che si era negata negli ultimi anni.

“Ehi tu, ehi… non piangere. Oscar?”

Gli si accartocciò contro, nascondendo i singhiozzi inarrestabili nella fasciatura della sua spalla. Era calore, confusione, angoscia e capelli. Lo strinse con furia; dimentica dei suoi acciacchi si aggrappò a lui come per trascinarlo in un abisso (e se questo fosse stato il caso André non si sarebbe certo tirato indietro) afferrandogli la camicia, tremante.

Lui non capiva, ma in quell’abbandono gli sembrò di poterla di nuovo proteggere, l’istinto gli disse che andava bene, che non c’era da avere paura anche se il cuore gli batteva fin nelle orecchie. Le accarezzò la schiena tirandola a sé colmo di tenerezza, lasciandola sfogare.

“Va tutto bene, Oscar, non devi sentirti in colpa di nulla, è stata una mia scelta.”

Sì beccò due pugni poco convinti tra le scosse del suo pianto.

“Sei un pazzo” articolò lei. “Sei… un pazzo!” e aggiunse ancora un pugno.

“Ehi! Ahi! Ma la smetterai mai di usare sempre le mani?”

“Scusami.” mormorò raccolta nel suo petto, la voce rimpicciolita e timida.

“Ma no, non mi hai fatto nulla, stavo scherzando.”

“Scusami, non dovevo andare via!” buttò fuori tutto d’un fiato. Lo strinse più forte, spingendo la fronte contro il suo sterno, provando a respirare. “Non dove-vo, ma io no-n sapevo…” singhiozzò senza riuscire a spiegarsi.

E lui non capì, sopraffatto da questa vulnerabilità di lei, tutta insieme dopo ventitré anni di sporadiche, brevissime concessioni.

“Non c’è nulla di cui tu ti debba scusare con me. Respira, Oscar.”

E anche lui doveva calmarsi, le gambe molli dalla speranza e un tremito a percorrerlo per intero, contagiato da lei.

Non l’aveva mai sentita così vicina.

Delicatamente, raccolse il viso di lei nelle mani, lo sfiorò, lo ricompose nella sua mente. Passò i pollici sulle ciglia cariche di pianto, sulle guance umide, sulla linea soffice del mento mentre lei col fiato sospeso si lasciava esplorare, commossa. Era così che si faceva: aveva i suoi contorni, il ricordo dei colori con cui riempirli, il suo profumo. Era lei. Tangibile. Reale.

Lei a racchiudergli le mani con le sue, lasciandole riposare sul suo volto, in una sorta di carezza composita, di dita su dita.

Avrebbe voluto dirle come si chiamava tutto questo. Forse per lei aveva ancora un altro nome, ma in quel momento gli sembrò di avere la chiave per tradurlo, in uno slancio di ottimismo contro tutti i pronostici.

“Non mentirmi mai più.” ordinò Oscar.

“No.”

“E poi…”

La interruppe. Il suo indice sulle sue labbra.

“Sta arrivando il dottor D’Orsay.”

Lei fece un passo indietro, liberandosi.

“André, la vista non è detto che sia perduta. Ma comunque vada troveremo una soluzione insieme.”

 

***

 

Approfittarono della luna nuova per avvicinarsi. Il cielo coperto e nero, un leggero vento, i soliti tamburi in lontananza; tutti contribuì a farli muovere senza essere avvistati.

Dovevano essere in pochi, una quindicina al massimo. Avevano provato ad arrampicarsi sullo scafo, armati di soli archi e frecce per colpire nel silenzio, una missione evidentemente intimidatoria che rischiava di avere un discreto successo.

Non fosse stato per Alain.

 

 

Pubblicazione del sito Little corner luglio 2019

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