Martinique

cap. 13

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ARIELPunto per punto. Sono salito a bordo della nave del re e ora a prua ora a poppa, ora sul ponte, in ogni cabina, ho fiammeggiato terrore: a volte mi dividevo e bruciavo in molti luoghi contemporaneamente:Sull'albero maestro, sulle antenne e il bompresso, ardevo come fiamme diverse e poi mi radunavo e riunivo di nuovo.I lampi di Giove, messaggeri dei tremendi tuoni, non erano più rapidi di me, né come me veloci più della vista.Il fuoco e gli scoppi di sulfureo fragore sembravano assediare il possente Nettuno e far tremare le sue onde superbe. Proprio così, e scuotere il suo terribile tridente.

 

PROSPEROE dimmi, Ariel, sono davvero salvi tutti?

 

The Tempest - W. Shakespeare (atto primo, scena II)

 

 

 

Cap. 13 Chaos (Ovvero: Dopo la Tempesta c’è davvero la quiete?)

 

 

 

Camille si chiese come avesse potuto andare tutto così a scatafascio in così poco tempo.

I meccanismi del branco e il modo in cui si autoalimentavano gli eccessi della folla lo avevano sempre affascinato, ma - realizzò con orrore - in tanti anni di traversate con Étienne non gli era ancora capitato di percepire sulla propria pelle il pericolo imminente di un ammutinamento. Doveva accadere qui. Sulla Destin. Sotto un cielo greve di pioggia, nella baia di St. Antoine.

 

Dell’ordine costituito non rimaneva che una piccola rappresentanza confinata sul cassero, probabilmente una trentina in tutto alle spalle di Étienne, Oscar e Camille compresi. Le urla di reprimenda dell’ammiraglio andarono a vuoto, le minacce di una repressione armata pure. Spaesati, ormai senza più speranza che la situazione potesse esaurirsi o rientrare a meno di un intervento esterno, si chiedevano cosa potessero fare. I ragionamenti vacillavano, e tuttavia c’era da agire, bisognava muoversi.

 

“Dagoût, segnalate immediatamente alla Mistral che abbiamo bisogno di rinforzi!” intimò l’ammiraglio dopo aver soffocato un’imprecazione. Frattanto che i soldati recuperarono le bandiere di segnalazione con la croce di sant’Andrea passarono altri lunghissimi minuti, gli ingranaggi lenti a ripartire dopo il momento di stallo. Il resto dell’umanità a bordo era ormai diventato un gorgo multiforme di voci sovrapposte, non c’erano più neutrali e sobillatori, solo un flusso continuo di gente che trascinava altra gente urlante.

Era il Caos.

Dalla gloriosa nave ancorata a breve distanza partirono alcuni spari intimidatori, ma neppure la minaccia dell’essere quasi a portata di fuoco riuscì a riportare il raziocinio nella folla in subbuglio, adesso galvanizzata dalla presenza di una scusa ulteriore per la propria esasperazione: la donna al comando delle reclute.

Con chi credevano di avere a che fare? Si trattava certo di un’idiozia da nobilastri, che si aggiungeva al non poter abbandonare quel relitto per chissà quali giochi di potere su queste terre barbare ed era troppo. Troppo dopo un naufragio, l’acqua e il cibo razionati così a lungo da impazzire.

Già gruppi di loro armeggiavano alle scialuppe quando la voce di Alain risuonò sul ponte di coperta in un terrificante BASTA, prolungato nella sua ultima vocale fino a diventare un verso primordiale, selvatico. Funzionò.

Nello stesso momento, il fragore di un tuono lontano e le prime grosse gocce di pioggia disorientarono i rivoltosi, dando il tempo al ragazzo di farsi largo con tutta l’imponenza di cui era capace, mantenendo l’attenzione su di sé, col cuore ancora martellante nel petto per la corsa.

Era arrivato il momento di spendere quell’autorità che gli era stata naturalmente attribuita dalle reclute sulla nave, così come era accaduto tante altre volte nel suo passato, fin dalla sua infanzia nei vicoli più malfamati di Parigi.

Non è che lui volesse emergere o fare il capo; non era mai stata una questione di sua volontà. Né sapeva come funzionassero certe dinamiche: non avrebbe saputo trovare il motivo preciso per cui man mano sempre più persone gli affidavano quel ruolo (che il più delle volte lo stancava), però non si sarebbe mai tirato indietro.

Diane, la sua sorellina, ci scherzava su e diceva che era per le spalle grosse. E lui si lasciava prendere in giro, perché la adorava, fondamentalmente, ma anche perché per quanto si dimostrasse spaccone era pieno di insicurezze e non avrebbe mai ammesso che la sua popolarità potesse provenire da qualcosa in lui più degno della forza bruta.

Che pure aiutava. Aveva un fisico invidiabile fin da ragazzino, e la spanna in più d’altezza rispetto ai suoi compagni gli aveva dato coraggio, senza dubbio. Ma furono il prontissimo e acutissimo intuito, unito al suo innato senso di giustizia a renderlo prima un eroe di quartiere e man mano un nome noto in un raggio sorprendentemente ampio, un nome da chiamare nelle emergenze e a cui chiedere consiglio. 

Alain De Soissons, che si fa carico delle vite altrui senza chiedere nulla in cambio. Ad un certo momento aveva iniziato a farsene una ragione, e alle volte pure a godersela.

 

Étienne riprovò a placare gli animi: “Restate tutti dove siete e metteremo da parte l’accaduto senza ulteriori conseguenze. Per quanto siate provati questo è un ammutinamento! È inconcepibile! È …”

“Ammiraglio, non è questo il modo di fare; è una situazione delicata - e la sua faccia seria tradiva una profonda ironia, la padronanza della folla più intimidatoria di un’arma da fuoco carica.

“Come vedete, qui vogliono tutti scendere e nessuno vuole prendere ordini da una donna, dico bene?”

Ci fu un coro brutale di assenso dal pubblico dei rivoltosi, mentre un silenzio di tomba, indignato, fu la sola risposta del seguito di Étienne.

“Allora, io dico che occorre contrattare.” e a questo punto il ragazzone col fazzoletto rosso sorrideva apertamente. Una mano soddisfatta sul fianco e l’altra a sostenere il suo peso contro ciò che restava del tronco di trinchetto. “Ma come ti permetti? Bada che stai rischiando il tribunale militare, non credere che…” si inserì Dagoût, ma Etienne voleva ascoltare e fermò il sottoposto; conveniva prendere tempo. E non sembrava affatto infastidito dai modi irriverenti del ragazzo, che ancora ricordava da Brest e non come un piantagrane.

“Uno contro uno: è una questione di onore, dopotutto” propose Alain. “Voi contro di me. Se vinco, madamigella torna a giocare al soldatino altrove. E scendiamo tutti da qui.”

 

Arrogante pezzo di… somaro

Oscar inghiottì a vuoto la rabbia, riconoscendo in lui il tizio delle scale. Aveva solo indovinato che era lì per André, prima? O sapeva qualcosa?

 

Il profilo della costa lussureggiante brillava vicino, verde e rigoglioso sotto la pioggia battente, a meno di una lega di distanza. Terribilmente invitante di per sé, figurarsi per qualcuno appena scampato ad un naufragio. Eppure proprio quel punto l’isola non era più da considerarsi Martinica; si trovavano nel cuore del territorio occupato. Si estendeva per miglia sotto il controllo di Garreau, con schiavi e mercenari armati fino ai denti come comitato di accoglienza a voler attraccare. Sicuramente la nave era stata avvistata, sicuramente erano sul chi va là, ma non disponendo il nemico di navi, lì in rada erano al sicuro, almeno per adesso.

 

L’ammiraglio raccolse tutta la pazienza di cui era capace. Provò a ricapitolare, adesso che c’era di nuovo la possibilità di farsi ascoltare: “Non è una scelta sbarcare o meno; abbandonare la nave e il suo carico di armi in questa baia sarebbe pura follia. Ma abbiamo portato viveri e acqua fresca, il tempo di scaricarli dalla Mistral e non ci sarà più da far razionamenti.” Un’onda di sollievo corse liquida tra gli ascoltatori. Qualcosa infine si stava sciogliendo, pur continuando ad esserci nervosismo. “L’emergenza è finita, ragazzi - continuò l’ammiraglio - E’ stato turbolento, ve lo concedo, ma siete arrivati vivi e vegeti, fossi in voi non rischierei di farmi ammazzare proprio adesso per ammutinarvi.” E le bocche dei cannoni della grande nave in avvicinamento sembrarono sottolineare l’ultimo pensiero dell’ammiraglio, che continuò: “I carpentieri - e nel dirlo indicò alle sue spalle un trio spaurito di giovani - hanno stimato che si tratta di pochi giorni di riparazioni, lo stretto necessario per riprendere il mare, quindi…”

“Quindi resta la questione sul comandante.” Intervenne Alain, a nome del malcontento generale che non si estingueva. “Accettate la sfida?”

 

Le bastò un cenno per farsi capire dall’ammiraglio. Gli sfiorò il braccio con la spada inguainata e senza staccare gli occhi dall’uomo col fazzoletto rosso scese dal ponte rialzato. Étienne se l’aspettava e non batté ciglio, mentre Camille boccheggiò a vuoto, totalmente nel panico per la svolta imprevista. “Non penserai di lasciarglielo fare? E’ ridicolo, non ha nessuna speranza, è la metà di lui, Étienne fermala!” esplose, non osando però intervenire lui stesso.

È la soluzione migliore, rifletti!” bisbigliò l’ammiraglio avvicinandolo. “A fronte di una piccola umiliazione per lei, le assicuriamo un ritorno immediato in Francia, André al seguito. Non sarebbe esattamente quello che voleva?” Il dottore lo fissò considerando l’ipotesi per buona, ma ancora allarmato. Un’apprensione materna gli annacquava gli occhi dorati e non riuscì a dire nulla, avrebbe solo voluto abbracciare l’altro, che continuò a consolarlo. “Calmiamo gli animi concedendo una mezza vittoria su questo punto e rimandiamo la questione del comando delle truppe.” Una carezza sulla testa divenne una pacca cameratesca sulla spalla.

”Fidati di me, Camille. Anzi: fidiamoci di lei. Non si farà ammazzare.”

 

***

 

È me che devi sfidare.”

Accerchiata dalla folla avversa, luminosa ed esile sotto la pioggia, la figura di Oscar appariva ultraterrena.

Estrasse la spada scatenando l’incredulità ilare degli spettatori, che cominciarono a fischiare e a sghignazzare, nuovamente eccitati.

Alain si lasciò sfuggire una risata strozzata e sentì un nodo di panico formarsi all’altezza di quello del suo fazzoletto, mentre pensava alla rinfusa a come evitare il disastro imminente.

 

Amico, io ci ho provato, ma ho dovuto affettarla.

O forse un Capisci, dall’ammiraglio potevo farmi battere, ma farsi atterrare da una damina sarebbe stato quantomeno inverosimile avrà più effetto quando André proverà a strozzarlo.

 

“Vostra grazia - e inarcò un sopracciglio carico di ridicolo per il vocativo pomposo - con tutto il rispetto… una donna…”

“Sul rispetto c’è da lavorare” disse lei, facendo risuonare la sua spada contro l’elsa pendente dalla cintura di lui. Veloce come un dardo.

Di certo non si trattava di una principiante, pensò. Ma Alain sapeva di essere uno spadaccino temibile; un po’ rozzo magari, ma decisamente sopra la media. Ineguagliabile rendeva l’idea. Perché quella bionda aveva deciso di giocare alla novella Giovanna D’Arco proprio con lui?

“Per non parlare della tua uniforme… Cos’è, hai deciso di infischiartene delle regole o non ti hanno insegnato ad usare i bottoni?” disse ancora lei, niente affatto preoccupata dall’essere circondata da un branco di uomini inselvatichiti.

“Alain, fagliela vedere!” arrivò.

“Sì, mandala a casa a ricamare!”

“Le donne a bordo portano male!” contribuì il cambusiere e aggiunse un corposo sputo scaramantico a terra.

Ma Oscar non li ascoltava, fissava solo lui, dritta come un fuso.

“Ma tu guarda questa…” bofonchiò Alain abbozzando ancora una risata, mentre l’intera nave ormai aspettava il duello raccolta attorno ai due. Reclute e marinai, fino all’ultimo dei mozzi, affollavano il ponte. Ammassati, si sporgevano per non perdersi neppure una parola di quello scambio, i più giovani e agili appesi ai pennoni e al sartiame pur di godersi lo spettacolo e incitare il proprio campione dal fazzoletto rosso, l’orgoglio popolare contro l’aristocrazia rappresentata dalla stravagante donna soldato.

“Rispondi senza mugugnare e stai sull’attenti.” intimò lei seria, iniziando a dargli sui nervi.

Coprì i tre passi che li separavano e così vicina gli sembrò piccola. Ecco perché sulle scale l’aveva scambiata per un ragazzino. Era certo più alta di Diane; ma sottile, ugualmente delicata al di là dell’audacia che dimostrava. Rischiare di farle del male era fuori discussione.

“Ascolta bene: se non mi vuoi come superiore, non ti resta che accettare di sfidarmi. E battermi.” disse a suo solo beneficio, la voce bassa e gli occhi profondissimi piantati nei suoi mentre la pioggia e la vicinanza permisero all’odore di pulito di lei di raggiungere le sue narici. Sapone di Marsiglia e rosa? L’inaspettata scarica di eccitazione che gli percorse la spina dorsale ricordò ad Alain dei troppi mesi di astinenza.

Allungò il braccio con fare scherzoso, per fermarla lì; occorreva dissuaderla, trascinarla sul cassero di peso se necessario. Ma lei era già fuori portata, e l’ultimo bottone della manica destra di Alain tintinnò a terra sul ponte mentre la lama di lei si stagliava alta tra loro. Ma cosa diavolo…

“Credo che la tua uniforme avrà bisogno di ulteriore manutenzione se non ti decidi.”

Fece un altro passo verso Oscar, come per acchiappare un gatto selvatico, con le mani in vista e l’espressione spazientita ma bonaria di chi ha a che fare con un bambino dispettoso e fu così che altri due bottoni, stavolta dal bavero e dal petto, saltarono via. Sapeva usare quel ferro come un maledetto chirurgo, realizzò Alain, e reazioni miste di stupore e rabbia rinvigorirono il pubblico, ormai tanto scatenato da ignorare le manovre di abbordaggio della Mistral, le passerelle già calate, il pericolo di un ammutinamento definitivamente rientrato grazie alla superiorità numerica delle truppe di Étienne.

Alain vide anche questo, e il sorrisetto di lei lo fece incazzare del tutto.

A scorte di pacifismo esaurite tirò fuori la spada, con sommo gaudio degli astanti che chiedevano adesso di intervenire sull’uniforme di lei.

Il tempo di disarmarla e via, si disse.

 

I primi colpi li contenne più per istinto di sopravvivenza che con metodo. Non riuscendo subito a realizzare, subì una raffica di assalti angolari, come se lei potesse attaccarlo da più direzioni contemporaneamente, costringendolo ad arretrare come poteva. Non se lo aspettava che no, ma questa specie di elfo sapeva il fatto suo. Donna o non donna, non c’era da restare con le mani in mano.

Il suo punto di forza, il peso che poteva mettere negli attacchi per stancarle il braccio, venne continuamente smorzato dalla velocità con cui lei sfilava la sua arma dalla sua, il filo sfiorato nel punto di equilibrio e rispedito al mittente senza dargli tempo di affondare. Questo per lui era un modo del tutto nuovo di combattere. Come il dorso iridato dei pesci nell’acqua, la spada della sua avversaria guizzava sfuggente e liquida; non le apparteneva nessuna trita routine o schema, ma una dinamica ricerca di un punto debole, un intuito implacabile che non ammetteva la minima distrazione.

Già più volte lei aveva cercato di chiudere, con un passo inaspettato, una rotazione, aprirsi un varco. Si ritrovò a desiderare più spazio, perché certo sarebbe stato diverso a potersi muovere senza la pressione della folla che li accerchiava. In più di un momento concitato uno di loro finì a ridosso della marea di gente, che però sosteneva lui e infastidiva lei. Detestò quel vantaggio, perché da anni non combatteva con qualcuno così in gamba e voleva godersela senza intromissioni.

  

Da dove è saltato fuori questo tizio?

Riusciva quasi ad anticiparla. Stava ai suoi ritmi e aveva capito come provava a fargli perdere l’equilibrio. Ma nonostante gli sbilanciamenti l’uomo sembrava sempre una muraglia, troppo stabile e troppo attento per offrire un fianco. Quando parò uno dei suoi colpi con il fodero continuando poi ad usarlo come una seconda arma le venne quasi da protestare, ma non lo fece. Riteneva un duello anche - se non soprattutto - il confronto tra le menti degli sfidanti, quindi non gli avrebbe dato la soddisfazione di mostrarsi intimidita o di avere dubbi. Decise che lo avrebbe sconfitto anche così, dopotutto non ricordava di una regola precisa che vietasse l’uso di due spade. Era una trovata da considerare, che l’avrebbe incuriosita se di fatto non avesse costituito un incredibile vantaggio per il suo avversario. Certo è che lui sembrò leggerle nel pensiero e dopo poco lanciò via il fodero con un un’alzata di sopracciglia. Voleva giocare corretto, o forse si era aspettato una reazione diversa che non era arrivata. Sentiva il peso di quegli occhi scuri percorrerla, fissarla, mentre le loro spade si incrociavano.

Sta studiandomi, come io lui.

 

 

***

 

“Hai anche tu l’impressione di stare assistendo ad una sfida epica?” domandò il dottore all’ammiraglio, estasiato.

“Non ho mai visto niente del genere, Camille. Credimi, per una volta non sto esagerando.”

 

 

***

 

La pioggia cominciò a cadere più forte, ma il duello non perse di tensione, i due continuavano a tenersi testa, colpo dopo colpo, nessuno dei due sembrava cedere o rallentare.

Affannati, presero tempo girandosi attorno come felini, una distanza tenuta minima ed elastica a dividerli, dimentichi del pubblico stupefatto dallo spettacolo. Ripartirono all’unisono, ad un segnale invisibile. E come la più studiata delle coreografie si divincolarono ripetutamente dalle strategie di attacco dell’una e dell’altro in una danza impossibile, pericolosa, fatta di movimenti a specchio, interpretati da lei con maestria, da lui con potenza. Ci fu uno scambio senza parole di pura ammirazione e certo un barlume di divertimento; non ci credevano neppure loro.

Alain si sistemò il fazzoletto al collo, pareva compiaciuto. E nell’avvicinarsi con un passo affettato, quello che sembrò un appoggio meno saldo sulle assi bagnate lo portò in scivolata praticamente a ridosso di Oscar.

Il guizzo della lama di lei, lo scarto di lui, poi le spade si congiunsero stridendo fino alla guardia. Divenne un braccio di ferro. Una questione di mera forza fisica. Lei strinse i denti fino a sentir dolore e spinse il suo peso sul manico, il braccio ormai tremante contro la massa stabile di lui. Infine, stremata, Oscar lasciò la presa.

La spada cadde a terra e il tifo esplose in un boato.

 

“State zitti! Zitti ho detto!”

 

“Finiscila adesso!” incitavano.

È fatta, Alain!”

 

“Zitti, non capite? Ha vinto lei!”

Spalancò la falda della giacca, dove una striscia di sangue vivo cominciava ad espandersi sul costato. Una ferita di poco conto, ma determinante per l’esito della sfida.

 

Oscar sembrò la più stupita. Teneva ancora il polso destro con la sinistra, zuppa di pioggia e densa di pensieri recuperava fiato ricostruendo gli ultimi colpi nella sua mente.

 

Alain raccolse la spada per lei, dolorante e accaldato, ma soddisfatto.

Questa donna… come poteva combattere così bene, una donna? Quanto doveva aver lavorato, quanto tempo doveva aver impiegato per raggiungere una simile perfezione di movimenti? Era assolutamente al suo posto, tuttalpiù era sprecata per quelle reclute, considerò. E quasi si sentì dispiaciuto per il lavoraccio che le sarebbe toccato con gli inetti che si erano imbarcati, non proprio con la vocazione di riuscire ad imparare qualcosa.

 

“Credo che questa sia vostra, comandante.”

 

La folla, turbata dal risultato inatteso, non protestava. Un brusio di sconcerto fu il massimo della loquacità udibile proveniente dagli spettatori, tornati perlopiù ragionevoli, persi nel proprio passaparola.

Oscar accettò l’investitura e l’arma senza scomporsi.

Dietro la coltre delle onde dei capelli appesantiti dalla pioggia, il viso elegante appariva appena increspato da una smorfia enigmatica, nulla di più diverso dall’animale selvatico di poco prima, e lo fissava inchiodandolo col suo sguardo azzurro mentre rigirava la spada tra le mani, meditabonda.

 

Senza tradire nessuna emozione precisa, il nuovo comandante gli chiese soltanto: “…Alain, giusto?”

“Sì.” rispose lui in un soffio a lei che già si allontanava.

Hai capito il cieco.

 

(In quell’istante giurò a se stesso di non pensarci neppure per un attimo, ed era in buona fede.)

 

 

 

 

 

Pubblicazione del sito Little corner luglio 2019

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