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Con dentro te

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

C'è un'immagine che non mi abbandona, di quella sera. L'immagine di te di spalle, seduto. Abbandonato, immobile sul selciato. Le tue mani legate dietro la schiena. Il cappio di quella corda annodata che penzolava davanti a te, e il tuo viso mentre lo guardavi. Non c'era niente nei tuoi occhi mentre lo guardavi: non sono riuscita a distinguere una sola emozione.

Forse perché di emozioni ne avevo troppe io.

Paura di averti perduto, dolore. Ciò che all'improvviso m'invadeva di te. Lo strazio e la rabbia di averlo capito in quel modo, quando solo per caso - e non per merito mio - non ti avevo visto morire davanti a me. O non ti avevo trovato morto, senza neanche vederti, da solo, in mezzo a quella strada, appeso a quella corda.

Il pensiero di fuggire subito, di sparire con te, per trovarmi al sicuro, lontano da quell'orrore. L'angoscia che la folla tornasse prima. Prima che te lo dicessi, che non dovevi morire. Che della tua vita avevo bisogno io.

Ma sul tuo viso non c'era una sola emozione. Era vuoto, come i tuoi occhi aperti davanti a te. L'immagine di come sarebbe stato il vuoto della tua morte: così, in quel momento, senza preavviso.

E di come l'avresti affrontata, senza di me.

 

E' questo che non mi lascia neppure adesso. Neppure ora che il tuo volto è sereno, abbandonato in un sonno che per la prima volta quasi mi appartiene. Ora che la tua mano riposa sul mio fianco. Che sulla pelle, se chiudo gli occhi, posso ancora sentire la pressione delle tue dita, il fremito che ti ha percorso mentre mi tenevi stretta, dividendo il mio piacere, mentre con un gemito travolgente e con una voce che non ti avevo mai sentito ti perdevi dentro il mio corpo. Più quella voce di tutti i tuoi ti amo mi ha raccontato chi sei.

 

E ora vorrei conoscere tutto, ogni segreto di quello sguardo che avevi. La forza immensa che c'era in quel vuoto, in mezzo a quella strada, la forza di saper morire senza avermi avuto.

 

Troppa distanza, tra noi. E non importa capire, ormai, se è quella che ho creato io, se l'ha tracciata la vita. Non importa, anche se adesso ci amiamo. Perché ormai c'è, e continuiamo a pagarla.

Io ho imparato a vivere senza averti. L'ho fatto per anni, senza chiedermi niente. Tu per anni hai imparato a morire senza di me.

 

E' questo che mi fa davvero paura: sapere che sapresti morire da solo. Accorgermi che avresti potuto farlo in qualsiasi momento di questa vita troppo lunga passata insieme, senza che riuscissimo a inventarle un senso, e raccontarcelo consolandoci in due. Quanto è grande la tua solitudine, André? Quanto è più grande, quanto è lontana dalla mia?

Com'è possibile che la tua solitudine riesca a convivere con l'amore? Senza corroderlo, senza consumarlo, senza avvelenarlo lentamente? E senza svanire?

 

Eppure ci sei riuscito, è stato così. Tutte le notti da quella stessa notte, al ritorno a casa, che senza scambiarci una parola siamo finiti insieme su questo letto, a prenderci con disperata passione. E con rabbia, dolcezza, con urgenza sconvolta nelle mani che gettavano via i vestiti, nei corpi che si cercavano nella smania di unirsi. Subito, quasi senza carezze, senza parole.

Questa è stata la nostra prima volta, poco tempo fa. Senza carezze, eppure piena d'amore.

 

Ti amo da quella sera, dentro questo letto. Da quando il tuo corpo fremendo si è accostato al mio. Da quando mi hai tenuto ferma sotto di te e ti sei preso la mia vita che ti apparteneva. Da quando sei diventato l'unico uomo al mondo, e i gemiti appassionati che ti ho strappato hanno cambiato la mia rabbia di sempre in una preghiera. Ti amo da allora, perché da allora ho conosciuto l'istante immenso dei respiri trattenuti per troppa gioia. Delle dita che s'intrecciano nel silenzio, del sonno indifeso e muto che tiene dietro all'erompere travolgente del tuo piacere.

 

Il primo bacio me lo hai dato dopo, non quella notte. Quella notte dovevamo dirci che eravamo vivi, dovevamo trovare subito, senza rinviare, un modo per esistere ancora in tanta rovina.

 

Ora la tua pelle è liscia, e calda, sotto questa coperta, così addosso alla mia. Ti sfioro il petto con le dita mentre stai dormendo e vorrei poter entrare dentro il tuo sonno. Stanotte è stata una notte d'amore: ce lo siamo detto tante, infinite volte, che ci amiamo. Abbiamo chiuso gli occhi baciandoci lentamente. Piano, pianissimo, muovendo i nostri corpi in un abbraccio dolce.

Stanotte è stata una notte di tanti anni fa, quella che avremmo passato davanti al fuoco, quella in cui io mi sarei affidata al tuo corpo sorridendo, e avrei morso con gli occhi chiusi quella mela che mi porgevi. La stessa mela che una pallottola mandò in pezzi, invece, mentre me la lanciavi in mezzo al tramonto. Stanotte abbiamo ritrovato quella notte, nei nostri cuori, e ce la siamo ripresa.

 

E' questo che stiamo cercando di fare, senza dirlo nemmeno, dal giorno che finalmente abbiamo capito: riprenderci a poco a poco, quasi in silenzio, tutti i momenti del nostro passato che ci siamo negati.

Stiamo cercando di raccontarci una storia nuova. E non è facile: perché è tanto, troppo, quel tempo. Perché quel tempo adesso è dentro di noi, e io non so entrare nel tuo sonno per impedirti di restare solo. Non so farti dimenticare come si muore senza di me. Non so decifrare quello sguardo vuoto che avevi, in mezzo a quella strada.

 

Anche se adesso ti amo, e se mi ami anche tu.

 

Eppure devo, devo riuscirci. Devo impegnarmi per trovare il gesto che conti, quello che da solo possa tenerci sospesi sopra la fuga della speranza che si è stancata di noi. Il gesto che intuii quella sera, venendo dietro le tue spalle in mezzo a quel buio, chiudendomi ad abbracciare il tuo corpo mentre ti scioglievo le mani, dicendoti sono qui in un orecchio, andiamo a casa, ti prego, amore.

Per tutto il viaggio in quella carrozza ti dissi amore. Senza aspettare che rispondessi, senza domandarmi cosa avresti pensato di quelle frasi ignote sulle mie labbra, di quegli abbracci esistiti soltanto, fino ad allora, come gesti negati dalle mani serrate. Per troppo tempo senza coraggio, per troppo tempo incapaci di liberare il cuore. Finché la fiducia ha smesso di vegliare su noi e ci ha lasciato soli, finché Dio è rimasto senza figli unici da mandare.

Devo imparare a riconoscere in questa condanna la linea sottile, appena tracciata, che può ancora salvarci.

 

Per questo ti cerco ogni notte, da quella notte, in questa casa addormentata, percorrendo in silenzio corridoi oscuri nemmeno stupiti di vedermi passare. Aprendo porte, entrando in stanze accovacciate una dentro l'altra, fino alla tua, fino alla tua porta, fino alla tua vita. Per questo. Come allora, che rientrammo in silenzio, salendo le scale abbracciati e feriti senza avvertire nessuno, per non lasciarci e rifugiarci insieme al caldo di un letto che fosse l'unica risposta ai nostri troppi perché. Questa notte come quella notte che iniziammo a lottare quando ormai da tanto tempo la partita era chiusa. E ostinati, ignorando regole e giudici non scelti da noi, cominciammo a scrivere insieme le nostre leggi.

Per sopravvivere. Perché non basta amarsi per sopravvivere. Bisogna anche sopportarlo, l'amore, reggerlo insieme e insieme accettare di affidarsi a lui, proteggerlo perché trovi la forza di respirare. E il nostro dobbiamo riuscire a consolarlo di tutto quello che gli abbiamo fatto. Ridargli la fiducia che ha perso, che non è più capace di dare a noi.

 

Amore mio, amore, cos'è che pensi di giorno, quando siamo insieme in piedi sulla superficie del mondo, cosa pensi quando mi vedi combattere e chiamare soldati, quando nelle mani fasciate dai guanti impugno una spada con cui potrei uccidere, con cui ho ucciso. Di giorno, nel freddo di questa lotta, di questa guerra che la vita combatte spietata contro di noi, cosa pensi, amore…

Ti prego, dimmi che pensi anche tu a ieri notte, alle mie mani nude dei guanti che serravano la ringhiera fredda del letto, strette dentro le tue, al caldo del tuo petto sulla mia schiena, a te sul mio corpo, ai morsi delle tue labbra sulle mie spalle. Alla mia voce arresa che t'implorava di non smettere, non smettere mai, di tenermi così per sempre, restando così, per sempre, dentro di me. Dimmi che pensi a questo, ti prego, amore, dimmi che lo stiamo pensando insieme.

 

Dimmi che non sai più morire senza di me, che hai disimparato, dimenticato come si fa. Dimmi che non mi perderò più dentro il tuo silenzio, che accetterai di darmi tutto il dolore che provi, senza prenderlo sulle spalle da solo perché non faccia male anche a me. Perché se non divido il tuo dolore non potrò mai entrare nel tuo sonno, sotto le ciglia, mentre mi dormi a fianco.

 

Tre giorni fa, al corpo di Guardia, dentro il mio ufficio, un generale voleva che sparassi sul popolo per ordine del re. Ho rifiutato, e la sera stessa, per fedeltà al re, mio padre ha alzato la spada sopra la mia testa. Io ero là, seduta su quella sedia ad attendere di morire, e la cosa quasi non mi toccava. Cercavo di concentrarmi per ricordare il tuo viso in un giorno felice, un giorno qualsiasi di tutti quelli che abbiamo buttato, il sorriso che allora avevi e adesso non più, anche se, sì, mi sorridi ancora. Non ci sono riuscita, e solo per questo ho pensato che morire è difficile.

Per fortuna sei entrato e lo hai impedito tu.

Mio padre pensa ancora che sia stata la regina a salvarmi.

 

Ma non voglio ricordarlo adesso. Le ore venute dopo contano molto di più. Quella notte stessa di tre giorni fa, quando mio padre è sceso, e siamo rimasti a guardarlo vicini, in cima alle scale, ha contato infinitamente di più la mano che per primo hai stretto intorno alla mia, la forza inesauribile e pura che c'era dentro. Una forza antica, che da millenni non sentivo più.

E' rimasta nelle tue mani tutta quella notte, quando mi hai sfiorato, leggerissimo, in piedi davanti a me. Quando mi hai spogliato, piano, vicino al letto, e col dorso delle dita hai accarezzato il mio viso che si è piegato a seguirle. E sei sceso, leggero, sul mio petto, a sfiorare il mio seno nudo.

Le ore venute dopo contano molto di più. Anche più della decisione che ho preso di disertare. Più di questa scelta che non ti ho detto vale il sapore della tua pelle sulle mie labbra, l'amore che mi ha invaso il petto mentre ti tenevo i fianchi con le mani e mi chinavo sul tuo ventre con gli occhi chiusi. Quello che ti ho fatto vale molto di più. Quello che siamo, ogni giorno, ogni respiro di più.

 

Quanto è grande la tua solitudine, André? No, non può essere più grande del tuo amore. E se è più grande del tuo amore non può esserlo più del tuo e del mio contati insieme. Forse da solo no… il tuo, il mio amore non poteva bastare. Ma insieme sì, insieme bastano, sono sicura, André.

 

Sì, sono sicura, ora lo so, te lo leggo in viso. Dormi e c'è un sorriso appena accennato sulle tue labbra. Un sorriso impercettibile, che forse solo io posso riconoscere. Perché solo io ho visto come sorridevi, quel giorno che avevamo quattordici anni, davanti al fiume, prima che la tua bocca si curvasse piano nella piega amara che da allora è stata sua compagna fedele, anche nella tenerezza di ogni tuo sguardo per me. Prima che cogliessi quel filo d'erba e iniziassi a trarne una stridula melodia. Prima che mi alzassi di scatto, e ti gridassi di smettere.

Prima di farlo mi avevi sorriso, amore. Forse per l'ultima volta, fino a questo istante. Prima che la nostra vita iniziasse a correre lungo questa discesa aspra che ormai, lo so, è arrivata alla fine. Tu sorridesti, un momento prima, e non stavamo soffrendo.

Come sorridi ora, che forse è la luce di un altro inizio. Oh, sì, amore, ne sono certa, lo è. Un lunghissimo inizio, in questo momento, prima che ti svegli. Lascia che lo viva con te, non svegliarti ancora… solo un istante… fatti raggiungere, fammi entrare …

 

 

Sì, non smettere, adesso non smettere, André, tieni ancora i miei polsi nelle tue mani, e continua a baciare il mio collo, la mia pelle, sotto il mio viso che abbandono indietro sorridendo di gioia. Continua. Sì, continua, amore. Continua, perché adesso non ho più paura. Ora che sei sveglio. Sei felice, lo so, e sono felice anch'io, perché prima che ti svegliassi ho visto nella tua mente, ed ho scoperto che c'ero.

Continua, continua adesso, per tutto il tempo che ci è rimasto voglio restare così. Continua a gemere sul mio corpo, non smettere di amarmi, non l'hai mai fatto, non devi farlo mai più. Voglio sentirti su di me tutta la notte, la lunga notte che dobbiamo dormire insieme, lo so che non ti stancherai se t'imploro, se ti regalo i miei gemiti e ti accarezzo, se con le gambe ti stringo al caldo dentro di me, se infilo le dita lunghe tra i tuoi capelli e porto il tuo capo al mio seno perché lo baci. Lo so che impazzisci, amore, se ti chiamo così.

 

 

Adesso possiamo davvero, amore.

Adesso che forse ti ho trovato, mi hai trovato tu, mentre vagavo perduta dentro il tuo sonno.

Mi hai visto, mi hai sorriso, mi hai ripreso con te.

E non importa per quanto tempo ci sarà ancora permesso.

 

Piccola annotazione “storica” relativa a questo racconto. Le righe che precedono furono scritte molto tempo fa - nel 2003 - nell’ambito di uno specifico progetto. Furono poi, per una mia scelta, archiviate senza essere pubblicate e sono rimaste a lungo serenamente dormienti in una delle memorie del mio computer, e non solo del mio.

Oggi, rileggendo “Dentro”, che ho appena scritto e che si colloca narrativamente allo stesso punto della vicenda originale, mi è rivenuto in mente “Con dentro te”. E solo adesso mi accorgo che anche i due titoli, a distanza di undici anni, si somigliano e si richiamano. Davvero non ne avevo idea mentre scrivevo il secondo, e posso dire che rendermene conto a posteriori mi ha in qualche modo toccato: anche se il senso delle due formulazioni è diverso (e due cose diverse intendevo dire), lo spirito, il nucleo “poetico” dal quale originano è il medesimo, quello esplicitato dalla parola comune. Sarò io che sono prevedibile e ripetitiva a distanza di decenni, probabilmente, eppure penso che questo “dentro” sia importante, che sia giusto. Che sappia descrivere l’intensa e pacata dolcezza di un lungo amore, nella sua insostituibile, preziosa intimità. Per questo, e anche per altro, ho chiesto a Laura di tirarlo fuori dal cassetto, e di pubblicarlo adesso.

Fine

pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2014

 

mail to: alessandra1755@yahoo.it

 

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