Omaggio ad Osamu Dezaki

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Copyright -The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k.
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Warning: testo adatto ad un pubblico maturo

 

Il 17 aprile 2010 è scomparso a Tokyo Osamu Dezaki. http://www.corriere.it/spettacoli/11_aprile_18/dezaki-osamu-ladyoscar-remi_b19acb1e-6997-11e0-890a-a1e6d714ad88.shtml

Questo è l'omaggio di Little Corner al regista.

Alessandra - Addio al maestro, e al suo incanto

 

La morte di Osamu Dezaki mi ha rattristato come la perdita di qualcuno che, seppure non conosciuto personalmente, faceva parte in qualche modo della mia vita. E con quale importanza, a pensarci bene, considerata l'influenza che la sua opera ha avuto su di me e sul mio modo di vedere il mondo.

Più della Ikeda, che di Oscar è l'inventrice e che in oriente è un mito dei fan per le tavole del manga di Versailles, per me era Osamu il vero padre di Lady Oscar, ed erano suoi i miei Oscar e André.

Era così in tutta l'Europa credo, perché da noi è stato l'anime il primo, l'unico e irripetibile: e dubito fortemente che saremmo stati presi da questa psicosi collettiva trentennale, noialtri, se non ci fosse stato lui col suo lavoro appassionato e attento, col suo spirito tempestoso e gentile.

È stato Osamu Dezaki a prendere in mano la storia di Riyoko Ikeda e a trasformare una bella idea in un grande capolavoro, comunicabile a noi e alla nostra cultura, ai nostri valori. È stato lui a ripensare, reinterpretare, riscrivere, ricostruire la vicenda dandole un'anima adulta, consapevole, triste. Sono suoi i passaggi da una scena all'altra, i cambi allusivi, i richiami a distanza, i dialoghi trattenuti, le frasi lasciate a mezzo col cuore gonfio, la tragedia dell'amore represso che implode in uno strazio sottile lungo una vita intera, per liberarsi soltanto una volta, solo alla fine, in uno struggente, melodiosissimo e fragile canto del cigno prima di morire.

Fu Osamu, una volta arrivato alla regia della serie di “Lady Oscar”, che andava in onda zoppicando in patria, a imprimerle una svolta, a darle un pathos mai visto prima, a soffonderla di un'intensità emotiva e di un lirismo commoventi. E fu lui a dare mano libera a Shingo Araki, che ai personaggi donava volto e gesti: a dirgli – perché sapeva quanto egli fosse straordinario nell'esprimere le emozioni – di piantarla di fare compitini diligenti per collegi da signorine e smetterla di trattenersi. A sciogliere i legacci delle convenzioni imposte ai suoi polsi frementi di creatività, spronandolo ad avere il coraggio di essere ciò che era: un artista.

Mi sono chiesta spesso di chi dei due sia stata l'idea della spugna grondante acqua, stretta dalla mano di André che lava il cavallo nella fontana, mentre Oscar, al piano di sopra, suona straziata il pianoforte. O il brevissimo, fulmineo aprirsi della sua espressione in un moto di silenzioso stupore, subito dominato, quando lei gli prende la mano in un gesto dolce e inatteso per chiedergli di accompagnarla a casa perché “ha paura” delle strade mal frequentate. La successione magistrale dei tre sguardi che gli compaiono sul volto – uno di profilo, due di fronte – quando per la prima volta la vede in abito da donna, in cima alle scale, nella puntata 25. L'immagine dei loro corpi svenuti dopo l'attentato e della mano di André che le stringe il braccio, scena che viene vista e commentata da un Alain quasi timido, che si gratta la testa. Il  modo doloroso e forte  – ed il suo effetto sonoro tenue e deciso – in cui André afferra i polsi di lei prima di baciarla, nell'episodio 28. La mano di lui che, con ben altra delicatezza, copre quella di Oscar che gli piange addosso nella 37, prima di darle quel bacio tenerissimo e condiviso che, per una scelta consapevole e struggente della regia, non per caso, ci viene mostrato non in volto, e solo da lontano.

Di tutti e due, credo: credo che l'idea e la realizzazione, in questi casi minuti e in tanti, tanti altri, siano venute a Dezaki e Araki quasi insieme, l'una in conseguenza dell'altra, l'una come traduzione dell'altra ma anche come suo arricchimento con nuovi particolari. Lo storyboard e il disegno, il fotogramma e il senso. Sono convinta che la straordinaria coralità dell'anime sia frutto di una altrettanto straordinaria coralità nella sua creazione. Di una sintonia, di uno spirito unanime che a un certo punto ha preso coloro che lavoravano insieme a quest'opera e ha fatto sì che essa diventasse un'opera, appunto, e non semplicemente un prodotto vendibile sul mercato.

Fu Osamu Dezaki, come l'ispirato c.t. di una nazionale vittoriosa ai mondiali, a saper infondere questo spirito, quella sintonia perfetta, nei suoi. E lo fece da subito, appena arrivato, come uno che ha studiato da lontano ciò che era stato fatto e ha capito come avrebbe voluto che fosse fatto.

Osamu Dezaki era un artista con un'anima indipendente, gentile e un po' insofferente delle norme irrigidite dalla convenzione sociale. Era ironico e autoironico: ricordo quella sua intervista di qualche anno fa, di cui parlai in un altro scritto per questo sito

 http://digilander.libero.it/LittleCorner/Essays/banzai_o_non_banzai.htm, in cui rispondeva sorridendo alle domande che gli facevano: “Cosa ami di più? “Il mio lavoro”; “Cosa odi di più?” “Il mio lavoro”; che era un pessimo impiegato, prima del suo lavoro, che rischiava di diventare “un poco di buono”. Quello che pensava di Oscar e del suo carattere forte, della storia di “questi due giovani che la vita conduce rapinosa verso la tragedia”...

Autoironico e dolce e serissimo nel parlare delle cose su cui aveva lavorato, e che non aveva dimenticato neanche nelle sfumature a distanza di tanti anni. Eccezionale nello scavare in profondità, nel cercare con coraggio tra i chiaroscuri dell'anima la verità che è al fondo dell'arte. Un giapponese capace di dare ascolto alla sregolatezza creatrice insita nel suo genio senza farsene sopraffare, di parlarne in scioltezza non ingessata senza assumere pose  arroganti da “maledetto”. Disordinato e affabile, trascurato e pieno di educazione e rispetto, complesso e disponibile nel cercare di spiegarsi. Rilassato e a suo agio dentro una giacca un po' troppo grande per lui, nel fumo di quelle sigarette incessanti che parevano parte del suo temperamento di artista e cui ha pagato il grave tributo della sua malattia, Osamu è vissuto 67 anni e, tra le molte cose belle che ha fatto e per cui verrà ricordato, ci ha regalato una storia. E noi, che abbiamo avuto l'impagabile fortuna di ascoltarla, mai potremo dimenticare come ce l'ha raccontata.

 

 

Elisabetta – ep. 19

 

Non sono un'esperta di regia ma proprio il 19esimo episodio mi ha sempre molto colpita per il tema trattato e la resa dei sentimenti dei personaggi attraverso metafore che riescono a farci cogliere il loro travaglio interiore.

Siamo posti subito nei panni di Charlotte e del suo disgusto. Traspare subito che, nella Polignac, l'amore per la figlia passa in secondo piano rispetto alla voglia di riscatto sociale. La reazione della ragazza è violenta, non sopporta nemmeno la vista del suo promesso sposo, reso come grande, grosso, sgraziato, mellifluo, viscido (quando all'inizio dice alla madre che desidera avere accanto qualcuno di giovane che gli rallegri le giornate ho provato quasi disgusto). Le sensazioni di disgusto, di profondo fastidio che prova Charlotte sono le nostre, subito il regista ci obbliga a metterci nei suoi panni tanto  che, come spettatori non abbiamo più tregua. Viviamo questi sentimenti opposti: l'amore per una madre, imperfetta e interessata solo alla scalata sociale, e il desiderio naturale di sposare solo chi si ama. Per tutto l’episodio ci si sente soffocare come si sente soffocare la protagonista; ci si sente il cuore stretto nella morsa dei costumi dell'epoca così come lo sente lei. Questo senso di soffocamento, questa angoscia, sono merito del regista.

Uno spiraglio è il momento in cui Charlotte si confida con Oscar, alla quale domanda una rosa bianca, simbolo di bellezza e purezza.

Quando, dopo il tentativo di Rosalie di uccidere la Polignac, Oscar informa quest’ultima che si tratta proprio della figlia da lei abbandonato anni prima, i sentimenti della madre sono evidenziati dal turbinare del vento che scuote le pesanti tende di velluto, quel vento così forte sembra muovere quel poco di bontà e umanità che la Polignac ha in fondo al cuore.

Charlotte vede il duca come un mostro, la drammaticità è palpabile: le lacrime e le fughe della ragazza, la colonna sonora di un pianoforte che sembra toccare le note del profondo dramma che sta vivendo e che, ben presto, giunge al culmine. Il bacio sulla mano, che il duca le impone, scatena la crisi. Charlotte, sporcata, corre alla fontana i cui flutti appaiono spesso in questo episodio. Il vento si alza, di nuovo, sottolineando pensieri che hanno trovato una via di salvezza. Charlotte in cima alla torre del palazzo alza quella rosa bianca e si getta nel vuoto per essere in eterno pura come quel fiore.

 

 

Sonia – ep. 20

 

Scegli una scena dall’episodio 19 in poi...
E mi trovo qui, seduta a un anonimo tavolo a circa 1792 km dai dvd.
Se la ragione vorrebbe aspettare di vedere nuovamente le scene più intense donateci dalla maestria di Osamu Dezaki, l’istinto ha scelto subito.
Perché tutti abbiamo la nostra Oscar.
Quella che portiamo nel cuore, che sintetizza l’immagine di lei, che dice tutto quel che c’è da dire e quel che significa per noi.
La “mia” è quella che fa sussurrare ad un André incantato e assorto: “E’ splendida in alta uniforme”.

Quelle inquadrature e quello sguardo sono dentro di me, sono Oscar.
Quegli occhi, in particolare, così risoluti e calmi, così trasparenti e profondi, inadatti a celare. Due laghi di alta montagna, che danno le vertigini a fissarli se non sei preparato al tutto.
La mia Oscar ha l’aspetto e il portamento di un eroe epico e ne condivide il coraggio e la purezza delle intenzioni. Prende decisioni profonde e le porta avanti a qualunque costo, conosce il valore dei sentimenti, dell’onestà, della coerenza.
Ed è tutto detto lì, nel suo apparire in alta uniforme, in quell’epifania riproposta, in quel viso angelico e cavalleresco su cui, infine, ci si sofferma.

Io amo quella Oscar.
Amo quello sguardo che ritroveremo tante volte, con infinite e indimenticabili sfumature di emozione.
E’ lo stesso - segnato dalla sofferenza e illuminato da quella speranza forte e folle che si chiama amore - che rivolgerà ai suoi uomini, quando farà il passo più coraggioso ed estremo della sua vita:
“Vi parlerò con molta franchezza e vi dirò quello che farò io: ho deciso di rinunciare all’uniforme e di non essere più il vostro comandante e questo perché l’uomo che io amo forse mi chiederà di battermi insieme al popolo in rivolta. Tutto sommato la mia è una scelta facile, per voi forse non lo sarà altrettanto…e giuro che mi dispiace.”
La Oscar capace di scegliere e di essere coerente, anche quando il prezzo è alto, è la mia.
Ci siamo incontrare lì, nell’episodio 20.
La sua apparizione così solenne e significativa non ha lasciato senza fiato solo André.

 

 

Audrey NY – ep. 20 - Dezaki, quel mantello che mi ha fatto innamorare

 

È da Laura’s Little Corner, e precisamente da un saggio a quattro mani scritto da Laura ed Alessandra ben cinque anni fa, che ho scoperto, per usare le parole delle autrici, “chi c’era dietro gli ettolitri di lacrime che hai prodotto guardando Lady Oscar”.

Osamu Dezaki era il suo nome, regista di più di un cartone animato negli anni ’70 ed ’80, ma per me, da quel momento, sempre e soltanto il papà di Lady Oscar dall’episodio 19 in avanti.

Lo ritrovo oggi quel personaggio, colpevole di quel familiare magone che ha tanto funestato la mia infanzia, e che ancora oggi non mi abbandona al rivedere le sue scene struggenti ed indimenticabili, di quel nodo allo stomaco ben noto a tutte noi orfane di Oscar ed André e del loro amore indimenticato.

Lo ritrovo oggi insieme alla notizia della sua morte e non posso non accogliere la richiesta di Laura di provare ad esprimere con qualche povera parola che cosa l’opera Dezaki in Lady Oscar abbia significato per me.

Io non sono una critica cinematografica, nulla so di scelte registiche, di “inquadrature oblique” ed angolate dal basso e di split screen, ma non c’è bisogno di essere Morandini per cogliere il mutamento dell’anime e dei personaggi da quell’episodio 19, caposaldo di tutta quanta la storia, e poi via, fino a quel finale che non mi è mai andato giù, ma che forse era davvero l’unico possibile per questa storia.

Dezaki ci offre personaggi più adulti, più maturi, di una bellezza struggente, con quella malinconia negli sguardi e nei volti che non possono che essere un preludio di quello che purtroppo si sta per compiere.

Certo, i doppiatori ci mettono del loro, ma non possiamo dimenticare che è dall’episodio 20 che per la prima volta ci rendiamo conto di che bel tomo sia il Grandier e che cominciamo a porci la fatidica domanda, ma come fa quella tonta di madamigella Oscar a non accorgersene?

E non è solo André a cambiare con l’arrivo di Dezaki; la regina Maria Antonietta smette di essere il paffuto clone di Candy Candy a cui eravamo abituati, Fersen dismette i panni di supereroe alla Actarus (e qui cito di nuovo Laura, anche se per me sempre merluzzo svedese rimane); ed infine è grazie a Dezaki che Oscar rivela finalmente la sua natura di donna straordinaria, senza più ambiguità, senza quegli equivoci di pessimo gusto che da sempre, e francamente non ho mai capito perché, ne accompagnano l’immagine.

Oscar è una donna, e questo Dezaki lo sapeva bene ed altrettanto bene ce lo ha mostrato. Semplicemente. Senza incertezze. Una donna e basta.

Tra tutte le scene di Dezaki che conservo nella memoria e nel cuore, e fortunatamente sono davvero tante, una mi ha sempre suscitato una sensazione di struggente ed autentica emozione.

Siamo per l’appunto nel mai abbastanza celebrato episodio 20, quando la nostra eroina, su incarico della regina e sotto un diluvio universale, con una compostezza degna di miglior causa, porta a Fersen il messaggio della sua amata: per quella sera nisba, non se ne parla, doccia fredda e pietra sopra.

Il merluzzo ascolta con fare compassato e compreso le parole del comandante, senza nemmeno invitarla a trovare riparo nel suo palazzo, salvo poi ricordarsi di essere in presenza di una signora e invitarla per lo meno ad entrare quando lei, è ovvio, ha già girato i tacchi e se l’è filata di gran carriera.

È disperata Oscar in questo momento della storia, e il suo tormento appare in ogni scena, nella tensione del suo viso, nell’ombra dei suoi occhi (e qui gli unici lucciconi che si vedono sono al massimo quelli delle lacrime). È confusa dall’amore che prova (ma mi è sempre piaciuto pensare che lei crede di provare) per il conte svedese, dalla lealtà dovuta alla sua regina, prima ancora che per i suoi doveri istituzionali, per il profondo senso di amicizia che da sempre lega le due donne. Ma allo stesso tempo non le basta più essere terza spettatrice dell’amore altrui, latrice di messaggi che testimoniano l’altrui passione, complice, migliore amica.

Cavalca da sola, Oscar François de Jarjayes, e la sensazione che mi trasmette ogni volta che rivedo quella scena è che, in quella sera gelida di pioggia, un po’ di calore lo avrebbe voluto per sé, solo che, come tante donne prima, durante e dopo di lei, lo andava cercando nel posto sbagliato.

Ma Dezaki non la lascia sola, ed è in questo momento che, provvidenziale come sempre, sopraggiunge il Grandier; prima solo una sagoma indistinta e poi è lui, di una bellezza insensata, che le va incontro con un mantello per ripararla dall’acqua.

Ecco, c’è tutto l’amore di André per Oscar in questo fotogramma breve e all’apparenza così banale, in quei due cavalli che si incrociano a metà strada sotto la pioggia, in quel gesto noncurante con cui lui le butta il mantello sulle spalle per proteggerla, coprirla, scaldarla.

I due amici di una vita non si dicono nulla, sorridono soltanto. Ed io, in quel momento, non sento più il freddo di Oscar, né la solitudine, né l’inquietudine, mentre torno a casa con André e insieme cavalchiamo nella notte e sono certa che con André la pioggia non potrà più bagnare la mia Oscar e la vita non le farà mai più paura. E forse, un pochino, nemmeno a me.

 

 

Luana – Osamu Dezaki – un commento all’episodio 25

 

Sguardi…

 

Una puntata dal titolo minaccioso. Io sono ingorda, mi butto a capofitto. E non lo capisco subito, presa come sono dal desiderio cieco di sapere che succede dopo. Fersen André Oscar… Di nuovo Fersen… Ci metto un po' ad accorgermene, ad assaporare il dettaglio. Poi osservo meglio. Gli sguardi... Sono diversi. Hanno qualcosa... Qualcosa che prima non avevo notato. O forse non c'era. E' qualcosa di liquido, di profondo. Un abisso in cui le emozioni annegano invece di raccontarsi. Ed a parlare sono i silenzi. Lunghi, dolenti. Ora guardali, sembra dire una voce. Non perderli d'occhio. Avrai tempo per capire, per mandare a memoria ogni espressione. Guardali e non avrai bisogno di altro. Non avere fretta. Con il tempo decifrerai ogni segno inciso sulle loro anime. Amore, dolore. Saprai esattamente quello che provano... Sentirai il loro cuore battere. No, non stupirti. Dimentica che siamo in un mondo di carta, tracce colorate su un foglio nudo. Lo dimenticherai perché li sentirai vivere. E le loro emozioni saranno tue per sempre.

Inconsciamente sottoscrivo il patto. E il mondo in cui fino a quel momento avevo vissuto da spettatrice, diventa il mio. Sguardi e silenzi. Posso comprenderli, voglio possederli. E' meraviglioso. E terribile insieme. Ecco, ora riesco a vederlo, posso vedere il desiderio di lui. Dal modo in cui la segue con gli occhi, le passa una mela o la prende in giro brandendo un martello come fosse una rosa. Dal modo in cui la sovrasta e diventa invisibile, per non obbligarla a curarsi di lui. Lo sento struggersi mentre la cerca, mentre cerca di non farsi dilaniare dal suo amore per lei. Il suo dolore è anche il mio. Sono dalla sua parte, me ne accorgo solo ora. Se potessi, prenderei lei per le spalle e… Lei, proprio lei... Perché lei fa così ora? Perché non sa più guardare oltre i ruoli e le convenienze... Perché lo evita o peggio lo usa per frangersi contro di lui come un’onda di piena? Perché non parla… Non parla più come prima… Dov’è quella ragazzina terribile dagli occhi scintillanti di qualche puntata fa, dove sono le sue sfuriate… Lei che sapeva sempre cosa dire, lei che non ammetteva repliche… Riuscivo quasi ad odiarla, lei. Ma questa… Sembra quasi timida a tratti… E tanto complicata, infelice. Questa vorrei solo abbracciarla. A volte penso di essere matta… Come si può provare qualcosa per chi non esiste? Poi mi dico che no, sono solo innamorata. Innamorata di Versailles no Bara. Un amore impossibile…

O forse no. Tutta colpa di Dezaki… tutta colpa della sua arte, della sua genialità, della sua grandezza. Versailles no bara non avrebbe mai potuto essere la stessa cosa, senza di lui. Sarebbe stato solo un cartone animato. Originale forse, ma non unico. E nemmeno io, sarei stata la stessa. La sera, finita ogni puntata sarei corsa fuori a giocare… Invece di starmene lì, con il viso tra le mani e lo sguardo puntato verso il nulla, per continuare a sognare ancora un po’.

 

 

Sydreana – ep. 25

 

... e tuttavia... a cosa è servito?
In questa notte che piange, fra le ciglia mie ed il gemere di una fontana nel vento, a cosa è servito mettersi a nudo in un abito bianco?

Un abito bianco, come quello di una sposa, bianco come il freddo marmo da cui non riesco ad alzare gli occhi.
Il freddo marmo in cui ho scelto di intrappolare la mia vita.

Una statua. Una dea. Un pezzo di ghiaccio che si scioglie dopo secoli.

... e tuttavia è servito.
Mentre soffia il vento e chiedo diventi bufera, mentre l'acqua scorre e chiedo diventi diluvio per salvarmi da questo dolore e da questa rabbia, è servito a capire che tornare indietro non si può, una volta che la tua anima l'hai consegnata al ghiaccio.

Notte, buio, oblio salvatemi e portatemi via.

 

Silvia Signorini – ep. 28

 

è nell'istante in cui abbassasti gli occhi che avrei dovuto capire dove stesse la mia luce: 

nelle tue mani che per me rinunciarono a se stesse,

che sole, come fu scritto (in seguito, anni dopo, d'identico amore),

sanno trasformare in pane un attimo di miele

e saprebbero far durare un bacio per l'eternità 

se questa altro non fosse che un presente senza domani,

presente in cui già sono, amata, senza dover diventare

la crudeltà di un lillà fiorito in terra desolata,

quella rosa che le tue mani svelano senza curarsi delle spine;

è nell'istante in cui abbassasti gli occhi, sulle tue lunghe ciglia,

che avrei dovuto realizzare che io possedevo il tuo sorriso,

quel mezzo sorriso che solo io potevo completare 

schiudendo la felicità tutta intera;

è nella stessa lacrima, che in quell'istante dividemmo inconsapevoli,

che avrei dovuto ricambiarti gli occhi, per non lasciarti credere di possedere solo il buio.

Ylenia

 

Dezaki è stato come un carburante potenziato per un'auto di lusso. Si potrebbe dire come la mezza banana che mangiava Boris Beker tra un set e l'altro a Wimbledon!
Ma è decisamente meno romantica della precedente. Si potrebbe semplicemente dire che ha portato quell'innovazione che mancava ad un prodotto che già era di grandissima qualità. Che le sue inquadrature penetravano nei personaggi e davano loro una dimensione, i fermo-immagine che sembravano sospiri sono indimenticabili come le sue cartoline.
Niente mi ha fatto sognare di più l'amore, quell'Amore, che le sue stelle negli occhi.

 

Laura – fine – ep. 40 e illustrazione "Farewell, Father"

 

Ringrazio le ragazze che hanno aderito al mio appello – e capisco quelle che non sono riuscite –. Ringrazio Alessandra per aver detto, subito, “Bisogna scrivere qualcosa per il sito o per il blog”.

Eravamo attonite.

Io ho detto spesso quello che amavo, tra il blog (momentaneamente out a mia insaputa a causa di Register) e i miei testi.

Se devo pensare ad una summa rappresentativa di Dezaki, mi viene in mente la musica finale dell’ep. 40, che è una delle più belle, non solo tra le mie preferite in Lady Oscar, ma in assoluto. E penso a quella scena. Sento i gabbiani. Sento il mare. Sento l’aria salmastra e bagnata, che batte sul viso, sferzata dal vento e dal volo degli uccelli. Gli spruzzi e la risacca.

Torno agli stessi luoghi ideali dell’ep. 21, di quella cavalcata sotto il sole. Rivedo i riflessi.

E rivedo la stessa spiaggia dell’ep. 29 e la solitudine di Oscar. Il relitto e il cane. Non a caso, in Insieme per sempre usate come immagini di chiusura.

Penso a Dezaki che ha esaltato con genialità quello che un europeo moderno poteva amare di una storia corale, di personaggi già straordinari. Penso ad Alain, a come aveva saputo innalzarlo, pur zittendolo. Alain che, senza quel trattamento d’urto, forse neanche in Eroica sarebbe stato così affascinante. Penso ad André, che ha beneficiato di un bellissimo restyling. L’ho detto tante volte…

Penso a quella scena, così bella e malinconica, al mix di inquadrature, di musiche, di montaggio – anche di momenti –, di com’è disegnato Alain, che è l’unico sul cui viso, nei cui occhi, tra i tre presenti, realmente si legga il dolore vero. La nostalgia, lo smarrimento, il non potere ancora credere, dopo anni, a quelle perdite.

Penso alla genialità di quella rosa di stoffa bianca che, ora, sì, fa da collante e lega le scene e la storia, e spiega la sigla (tante cose per noi italiani ed europei non erano note, non conoscendo il fumetto e quanto c’era dietro). Per noi, era tutto nuovo. Lady Oscar la scoprimmo col disneyano I episodio di Nagahama e la chiudemmo così. Commossi. Attoniti. Colpiti dai segni indelebili di un regista geniale.

E umile. Come ha ricordato Alessandra.

So che le mie parole sono deboli, rispetto a quello che di bellissimo hanno tirato fuori le ragazze, a cui sono profondamente grata. Ma non importa. Io mi sono svuotata col disegno, io ho sentito la perdita, come quella di una stella polare. Come quella di un altro padre, che ho perduto nel 1998, a fine novembre. Per questo ho voluto disegnare Oscar e André ragazzini, con Alain, che, forse, è stato il personaggio che più ha “avuto”, da Dezaki, che guardano in cielo, in un ultimo saluto al padre. E idealmente restituire ad Oscar quella rosa bianca. Che non aveva potuto avere.

Addio, dunque. Ai nostri amati padri. E grazie, per sempre, per quello che ci hanno donato.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del maggio 2011

 

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso degli autori

 

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