Elisa a palazzo Jarjayes

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Avvertenza. Il testo che state per leggere non è una guida turistica ma l’estratto di un diario di viaggio integrato da successive ricerche e discussioni. Per la sua natura, quindi, i giudizi estetici in esso contenuti sono da attribuirsi esclusivamente al gusto della scrivente, gli errori di francese alla sua ignoranza, le divagazioni alla sua voglia di ricordo.

 

Prologo: l’idea viene generata

 

27 luglio 2003.

Treno TER 4506 da Lyon Part Dieu a St.Pierre des corps (Tours).

Ore  17:30 circa.

Condizioni meteorologiche da schifo: ci saranno 12° e io sono in sandali, pantaloni di lino e canottiera, tutta la roba pesante è stipata a quaranta centimetri sopra la mia testa nello zaino di 11 kg approssimativi per difetto.

 

Viaggio da ore e non ho la più pallida idea di dove mi trovi; il mio fascinoso vicino di posto, un bel francesino invero, non sembra essere particolarmente interessato ad una conversazione con una stramba italiana vestita da sfollata, tutto intento com’è allo studio di un articolo di una rivista maschile che spiega come attrarre l’attenzione delle ragazze. Stufa di sbirciare parole sconclusionate come “prêtez-lui attention” e “plus de frisson”, fingendo di essere una viaggiatrice coscienziosa, inizio a meditare sulle prossime tappe. Un’opportunità potrebbe essere l’abbazia di Solesmes, ad ascoltare i migliori canti gregoriani d’Europa e a saccheggiarne la libreria, per la gioia del fido compare rimasto temporaneamente in Italia causa sevizio civile sostitutivo. Tuttavia, dopo lunga meditazione, concludo che è una perdita di tempo visto che 1) del gregoriano me ne frega ben poco, e 2) alla gioia del fido compare antepongo un bagno nell’oceano in Bretagna (vergogna!). Ad un tratto, da un angolino della mia mente, iniziano a baluginare queste parole lette chissà quando e dove riguardo ai viaggi in Francia:

 il tuo sogno è fare un viaggio-pellegrinaggio con queste tappe: Parigi, Versailles, Castello di Maisons (cioè quello utilizzato per ambientare Palazzo Jarjayes), Arras, Normandia… [1]

Posta così la questione ho cinque possibilità nuove di zecca! Scarto le prime due tappe perché mi ci sto giustappunto dirigendo; scarto le ultime due perché preferisco utilizzare il mio tempo in Bretagna (e daje) ad ascoltare quanta più musica posso e a bere il sidro. Quella di mezzo però sembra interessante… peccato che non abbia la più pallida idea di dove si trovi. Inizio a scartabellare furiosamente l’inesauribile Lonely Planet-Francia del sud. Nulla. Francia del Nord? Macché! Ma la Brumildina (cioè me) ha ancora qualche carta da giocare e così scatena un fitto scambio di sms svoltosi più o meno così:

-Ciao Laura, come va? Non è che sai dove sta il castello di Maisons? -

-Adesso mi informo. -

Tempo un quarto d’ora arriva il primo indizio (grazie a te, fonte d’informazioni).

-Maisons-Laffitte, sud-ovest di Parigi, poco sopra a Versailles. -

Se pò fa’.

 

Capitolo primo: la ricerca delle informazioni

 

30 luglio 2003 Ore 16:00 circa.

127, av. des Champs-Elysées

métro George V, ligne 1

Paris

France

Tempo brutto, necessità di mettersi le scarpe da tennis invece dei sandali da sfollata.

 

Appena arrivata a Parigi, munita finalmente del fido compare, decido che passare all’ufficio turistico non è un’idea così malvagia. Partiti da Place de la Concorde arriviamo indenni in fondo al centro commerciale con annesso viale alberato, fin quasi alla rotonda stradale con l’aiuola che ha l’arco in mezzo. Attraversiamo la strada, scattiamo la foto turistica per rassicurare gli amici, sopravviviamo al traffico e arriviamo nel posto in cui sanno tutto quello che c’è da sapere per girare Parigi e dintorni (UAO!). Naturalmente se scendete alla fermata indicata nell’indirizzo vi risparmiate la bolgia del centro commerciale ma rischiate di essere screditati al vostro ritorno perché, invece di fare un giro nella via più glamour-chic d’Europa e magari svuotare il portafoglio, avete passato il tempo ad andare su e giù in una vecchia via con vecchie case con tende della nonna di Robespierre, con le pantegane giacobine e l’odore residuo di: una rivoluzione settecentesca, un impero, due rivoluzioni ottocentesche, un’invasione tedesca, due guerre mondiali, una sollevazione studentesca e le attività probabilmente praticate nella camera con bagno in comune per tutto il piano ma bidet accanto al letto, tutto compreso nei 16€ a notte: vuoi mettere.

Comunque, arrivati all’Office du tourisme, scopriamo che le impiegate sono veramente gentili e preparate:

-Bonjour Madame, je voudrais un plan de la ville, SVP – “Vorrei una cartina per favore” Le cartine degli uffici del turismo hanno il grande pregio di essere gratis.

L’impiegata è pronta e scattante: mi porge l’oggetto senza bisogno di alzare gli occhi dal punto fisso, in basso davanti a sé, che sta osservando molto intensamente.

-Merci beaucoup. Et puis je voudrais des renseignements sur le château de Maisons. –  Chiedo le informazioni sulla meta.

L’affare è grave e importante e lei se ne accorge:

- à Paris? –

-Prés de Paris. Je sais seulement à sud-ouest de Paris, près de Versailles. –

"Vicino. " rispondo. E le do le notizie che so.

-Dans l’Ile-de France? –

"Nell’Ile-de-France ? "

Mia espressione interdetta:

-Oui, je le crois. – Credo.

Lei mi guarda intensamente, io la guardo speranzosa…

-Je ne le connais pas. –

"Non lo conosco. "

Cavolo!

Tento, melliflua:

-Vous ne pouvez pas le chercher? Dans votre ordinateur? –

"Non può cercarlo ? Nel computer? "

Mi guarda in cagnesco: la gente solitamente non ama essere distratta dalle sue meditazioni da questioni bassamente lavorative. Con il mio misero francese tento un’opera di convincimento.

Nel computer, comunque, niente: inesistente. Potrei abbracciare l’ipotesi che diverse persone abbiano preso un sonoro abbaglio ma propendo invece per quella dell’incapacità dell’impiegata. Adotto tutte le strategie di persuasione concesse dal mio francese.  Lei si innervosisce, il fido compare mi guarda sghignazzante, ben lieto, sotto questo punto di vista, di avere solo quattro giorni di ferie e di non potermi proprio accompagnare nella cerca. Dopo dieci minuti di infruttuose ricerche con le moderne tecnologie informatiche l’impiegata conclude che evidentemente i vecchi metodi sono sempre i migliori e mi lancia un voluminoso plico cartaceo accompagnandolo con qualcosa del tipo:

-Toh, cercatelo da te perché io mi sono scassata il cazzo. –

Piglio il plico e non ringrazio; lei torna alle sue meditazioni metafisiche.

Io e il fido compare ci sediamo su una panchina. Lui si immerge nell’osservazione cultural-antropologica di una giapponesina che si fa fare delle foto con lo sfondo  dell’arco, quello in mezzo all’aiuola, quello che non regge nessuna volta, che non ha dei muri ai lati e non fa da porta tra nessuna stanza, anche perché è all’aperto, e sotto comunque non ci passa nessuno, ci girano tutti attorno, mah. La giappo ne chiede una al vigile ma non è soddisfatta e la cancella, ne chiede una a due parigini frettolosi, non è soddisfatta e la cancella, ne chiede una a due turisti tedeschi, non è soddisfatta e la cancella, ne chiede una a due connazionali e non è ancora soddisfatta. Ma la tiene. Si guarda intorno. Il fido compare mi abbraccia appassionatamente. Crisi d’astinenza? No, lui è superiore a certe cose…

-Fai finta di essere assolutamente impegnata e di non aver tempo per nessuno: tra un po’ la chiede anche a noi. –  Solita tecnica diversiva.

La vediamo allontanarsi camminando all’indietro, guardando tristemente l’arco, la sua foto insoddisfacente e noi. E’ triste vedere allontanarsi una persona non appagata da un loco di cotale beltà.

Io nel frattempo avevo scartabellato il plico e avevo scoperto:

1-     che la località ricercata non è frutto di chimere ma un luogo fisico e reale (e anche discretamente pubblicizzato in Francia)

2-     le informazioni necessarie per arrivarci: RER A in direzione di Cergy oppure Possy.

 

Capitolo secondo: il viaggio

 

3 agosto 2003

Prima domenica del mese.

Tempo meraviglioso e terribile: nel cielo di Parigi non c’è una nuvola, il sole splende e infiamma tutto, i colori sono magnifici, ma si superano i 40° e l’umidità dell’aria aumenta; è rischioso girare a lungo all’aperto senza cappello e senza scorta d’acqua. Solo dopo qualche settimana ci si renderà conto di quanti anziani sono morti a causa di questa estate torrida.

 

Prima tappa

Ore 12:00 circa.

Porte Maillot

Métro Porte Maillot, ligne 1

Paris

France

Saluto al fido compare che riparte per l’Italia. Vi risparmio la scena lagrimosa e trista. I francesi sfottono perché il compare, nella comune commozione, stava per lasciarmi macchina fotografica, portafoglio, cellulare, documenti e biglietto d’aereo. I francesi ogni tanto sfottono a ragion veduta.

 

Seconda tappa

Ore 12:30 circa.

La grande arche de la Défense

Métro La Défense, ligne 1

Paris

France

Già che sono di strada, e già che è la fermata della RER A più vicina all’obiettivo, mi fermo a vedere questa famosa zona di Parigi.

Che dire? Le condizioni climatiche e l’orario di visita non sono l’ideale per  apprezzare un’immensa distesa di cemento rovente senza una pianta o zone d’ombra. E infatti non apprezzo. Soprattutto quando mi accorgo di aver consumato troppo in fretta le scorte idriche. A Parigi il mezzo litro d’acqua alle macchinette della métro costa 1,5 €, da cui la necessità di razionare l’acqua. La desertificazione avanza.

Dopo un distruttivo pranzo al McDonald’s, visto che non c’è altro in giro, e 18 (DICIOTTO!) € per una macchina fotografica usa e getta mi infilo nella RER A in direzione di Possy.

 

Terza tappa

Mi piace scrivere in treno. Oltre all’innegabile vantaggio che, scrivendo, in un modo o nell’altro il tempo ti passa, hai anche la libertà di pensieri che dà lo scorrere del paesaggio davanti ai tuoi occhi, per cui, fissando la tua attenzione su tutto e su niente, hai la mente sgombra per divagare a piacimento. Che pensiero contorto!

Ma penso piuttosto all’importanza di un servizio informazioni rivolto all’utenza di un ente o di un’azienda. E, in particolare, penso all’importanza delle informazioni turistiche al fine di un’adeguata promozione del patrimonio, della soddisfazione del visitatore e dei relativi guadagni in termine di immagine e denaro. Pensiero ozioso, forse, ma sarà perché sono una neo-disoccupata di un settore limitrofo a quello turistico e ho già un’embrionale deformazione professionale. Comunque: dal plico che mi hanno consegnato all’ufficio informazioni ho scoperto che, per arrivare a Maisons-Laffitte, dovevo prendere la rete metropolitana che collega il centro di Parigi con l’Ile de France, la RER, appunto. Cosa che ho fatto pagando il relativo biglietto non compreso nel mio biglietto inter-rail. Ora, in viaggio, scopro da una serie di indizi, [2] che potevo arrivarci anche con le linee nazionali SNCF sulle quali sarebbe stato valido il mio biglietto senza dover versare nulla in più. Il ritorno in denaro per loro c’è stato sicuramente, quello d’immagine non credo proprio. Dovrò tenerlo a mente.

 

Capitolo terzo: nordsudovesest.

 

3 agosto 2003; ore 13:20 circa.

Stazione RER di Maisons-Laffitte.

RER A, Maisons-Laffitte.

Maisons-Laffitte

France

Condizioni meteorologiche peggio di prima: con l’ora legale il sole ora è allo zenit e non si respira dal caldo. La pressione si abbassa, la sete aumenta e i sandali neri da sfollata sono già grigi di polvere; i piedi sono l’inverso. E dire che me ne sono venuta al nord sperando in un po’ di frescura! Ho scelto l’anno sbagliato.

 

Ogni volta che si esce da una stazione sconosciuta si potrebbero veder spuntare sulla propria testa molti punti interrogativi; se poi la stazione è di una località piccola e senza cartina, sulla testa ne appare una foresta. Tanto vale guardarsi intorno.

Non c’è anima criata. Di domenica, e con questo caldo, saranno tutti a casa a mangiare granite o a farsi una pennica; e fanno bene. Giusto una neo-disoccupata italiana può essere tanto pazza da andarsene a zonzo sfidando le temperature senza neanche una goccia d’acqua nello zaino.

Comunque: alla mia sinistra c’è una costruzione che potrebbe benissimo essere “l’incarnazione perfetta dell’architettura classica francese”. Di già? Così vicino alla ferrovia? Mah. Di targhe illuminanti neanche l’ombra (ombra… sì…), i nomi sui campanelli non mi dicono molto di più. So che le bandiere francese ed europea che sventolano dal balcone dovrebbero costituire un indizio per l’identificazione di un municipio, ma, sapete, il caldo, l’afa… E poi non sono mica Montalbano!

Dall’altra parte c’è una costruzione che sembra, e poi è, un Office du tourisme. Forte! Mi ci fiondo.

Col cavolo: è chiuso. Pensavo che a tenere chiusi gli uffici del turismo una domenica d’agosto fossero solo gli italiani e che i francesi non cascassero in certe defaillances.

Magari è chiuso per pranzo.

No, è proprio chiuso. Sulla vetrina fanno bella mostra meravigliosi libri pieni di fotografie dell’oggetto della visita. Il cuore della Brumildina comincia già a palpitare, quasi quasi il caldo le fa vedere miraggi: André che le fa ciao ciao con la manina mandandole baci da una delle finestre del castello.

Sarebbe bello ma altre sono le priorità: non perdersi in un buco di posto deserto quando ci si è bullati di poter dare indicazioni su Parigi a incauti turisti italiani. Per fortuna c’è un enorme pannello con la pianta della città!

Sì, ma dov’è l’amico pallino blu che dice “voi siete qui”?! Dov’è?

Non c’è!

Delle volte ci vorrebbe un sestante.

Comunque, tenendo l’Office du tourisme alla destra, si continua sempre dritto per l’avenue Longueil, si entra nell’avenue Egle, a place du Château si prende la prima a destra, che è avenue du General Leclerc e, se tutto va come deve andare, ci si dovrebbe trovare davanti al castello.

Sembra facile. Trascrivo tutto sul mio fido taccuino e parto.

Nessuno mi toglierà dalla testa che, in fondo, francesi e italiani non sono poi così diversi. Le uniche forme di vita circolanti, a parte una Brumilde, sono degli uomini, nel senso di maschi, al bar (le donne tutte a casa e visto il clima fanno bene) i quali, appena vedono un essere femminile al di sotto dei quarant’anni ammutoliscono e lo fissano come se non ne avessero mai visto uno simile!

 

Capitolo quarto: è proprio lui!

 

Ore 13:45

Meteo: che ne parlo a fare? ‘Na disgrazia.

 

Ecco, giro a destra a place du Château, quasi ci siamo… e questa è la visione che mi si para davanti. Sì, lo so, non è molto romantico. Come Laura mi ha fatto notare in seguito, uno si aspetterebbe un parco enorme, magari con due figure che cavalcano felici, aggiungo io, ma tant’è, questo è quanto. Avvicinandosi la situazione migliora. Eccome se migliora! E’ davvero lui! E’ davvero il castello che hanno usato per le inquadrature del cartone! Alcune cose sono diverse, e vorrei pure vedere, ma è proprio lui! Con la fontana e tutto!

Una cosa bellissima è che, pur essendo la fontana dal lato opposto, si riesce a vederla attraverso i vetri delle due porte principali. Fortuna delle fortune oggi è pure accesa.

C’è anche la torretta! Sbircio e scruto ma il Grandier non si vede. Va beh, sarà a farsi un giro.

L’ingresso è ancora chiuso: aprirà tra un quarto d’ora. Fortuna ancora più grande: oggi, prima domenica del mese, si entra gratis i tutti i musei di Francia. Mitico! Mi terrò i 6,10€ per qualcosa di più vitale: l’acqua.

Giacché devo aspettare mi faccio un giretto all’esterno cercando di scattare delle foto decenti con la mia Kodak usa e getta da 18€. Di sicuro verranno meglio adesso, con il sole a perpendicolo, che non al tramonto.

Prosegue intanto un fanatico scambio di sms con l’Italia: Fiammetta, santa donna, sopporta; Laura, invece, istiga alla ricerca delle camere da letto. Cosa speravamo di trovare? O meglio: chi speravamo di trovare? La fantasia viaggia all’ombra di un tiglio.

 

Capitolo quinto: dentro!

 

Ore 14:10

Meteo: un po’ di fresco grazie al cielo!

 

L’entrata gratuita è sempre un piacere, soprattutto quando te la offre un ragazzo moro, discretamente carino, con cui sei particolarmente sorridente per preparare il terreno all’eventuale uso della tattica “sono una ragazza sola e indifesa, oltretutto anche straniera, lei che è così gentile (captatio benevolentiae), per favore, mi farebbe vedere le stanze chiuse, sa, mi serve per la tesi, (sì, tesi…), le sarei veramente grata (frase da dire sempre), veramente, sarebbe il mio salvatore (idem) ecc… il tutto con sorrisi ingenui, carini, non troppo maliziosi, sbattendo le ciglia, capo inclinato verso destra, sguardo dal basso all’alto leggermente obliquo ma non troppo, quasi misterioso ma diretto, spalla destra che si alza leggermente e il corpo che si inclina un po’ in avanti se hai il vestito scollato è meglio”. Non si sa mai, magari avanza un po’ di tempo per una visita extra.

Insieme al biglietto vengo dotata di foglietto illustrativo (anche se un museo non è una medicina) in lingua italiana color lilla. ‘Sta cosa dei musei francesi, che mettono delle spiegazioni gratuite a disposizione, mi piace un casino. Peccato che in Italia non sia ancora una pratica diffusissima.

La visita inizia all’estremità dell’ala destra in un salone color ocra; sulle sedie due abiti settecenteschi di cui uno sui toni del marrone. Ma dalla lucentezza delle stoffe deve essere un abito padronale. Che viaggi malati!

Sulle pareti fanno bella mostra le stampe dei vari padroni di casa. In breve la faccenda andò così: nel 1640 a René de Longueil venne voglia di una casa nuova così chiamò l’architetto più alla moda del periodo, François Mansart. Per l’inaugurazione René diede una grande festa da tiratardi a cui partecipò persino il re anche se aveva solo 14 anni.

Evidentemente però Luigi si divertì un casino, perché decise che lì avrebbe avuto diritto di albergheria; ciò vuol dire che, invece di girare per ostelli o in tenda come ogni buon adolescente, avrebbe dormito in un castello a scrocco. C’è chi può e chi non può. Nel 1777 il castello passò di famiglia e venne acquistato dal conte di Artois; sì, proprio lui. Poi, sapete, “chi va a Roma perde poltrona”, e così, quando nel 1789 Carlo se ne andò all’estero, il castello venne riscattato dal cittadino Lanchère, mercante di cavalli, evidentemente interessato alle sue famose scuderie. Da questo momento Maisons-Laffitte passò per diversi proprietari, ospitò Napoleone, finché non venne acquistata da un famosissimo banchiere citato anche nei “Miserabili”: Jacques Laffitte. Si sa che spesso ai banchieri viene in mente la convenienza, e così il nostro Jacques pensò bene di lottizzare il grande parco e di demolire le scuderie. Dopo altre riduzioni del parco, il castello venne comprato dallo stato francese e questo è quanto: ora è un museo con dei bagni molto carini, con delle porte bianche e azzurre tutte in stile, subito dopo la prima sala.

Dall’Italia giungono messaggi di incoraggiamento. Per scrivere gli appunti mi appoggio al davanzale della finestra che dà sul retro e mi godo la vista e il suono della fontana, anche se fa venire una sete tremenda. Alla mia destra si intravede uno scalone bianco che muoio dalla voglia salire ma tutto con calma, visto che sono le 14:35 ed è aperto fino alle 18:00. Voglio godermele le cose che vedo.

Dalla porta sulla sinistra si entra nella Chambre des Captifs, sala d’apparato dei proprietari di Maisons-Laffitte. Vorrei trovare il camino che si vede nel cartone, quello davanti cui André l’aspetta vestita da donna, quello davanti cui le toglie i bicchieri di cognac, quello davanti cui si sarebbero potute fare un sacco di cose ancora più piacevoli. Ma comunque… In questo camino potrei quasi entrarci in piedi; non è lui. Ai lati della sala due grandi tele: a destra un’eruzione del Vesuvio dai toni sensazionalistici e romantici, a destra un paesaggio boschivo, cascate e rovine antiche con tre figure umane. Uh! qualche nascosto ingranaggio si smuove nella mia mente: il concetto di sublime e il concetto di pittoresco, Burke, l’estetica del settecento… la mia tesi. Rabbrividisco dall’orrore e distolgo lo sguardo.

In preda ad un’esaltazione descrittiva arrivo persino a sedermi sul prestigioso parquet per scrivere il diario. La gente mi scambia per chissà che studiosa e mi guarda con un misto di curiosità e disgusto. Potrei anche fingere di tirarmela ma penso che sia più dignitoso uscire dalla sala con l’aria di aver fatto la cosa più naturale del mondo.

Per arrivare al vestibolo d’onore c’è una specie di anticamera dal pavimento con le piastrelle di marmo alternate bianche e azzurre come una scacchiera. L’intonaco è chiaro, le finestre ampie lasciano entrare moltissima luce. Tutto è molto arioso, fresco e pulito; il contrasto con l’arsura esterna è notevole e qui si sta troppo bene. Si sente la fontana dal di fuori che gorgoglia. Il traffico non si percepisce, anche se in realtà è vicinissimo, qualche centinaio di metri oltre alla fontana.

Ottimo: sono riuscita ad imbrattarmi per bene la sacca e la sottana di calce. Vai a sapere dove, forse appoggiandosi al davanzale per scrivere.

Certo però che sul cornicione di spazio per camminare da una finestra all’altra e fare la spia ce n’è d’avanzo. Diciamolo, anche se crollerà un mito: se non si soffre di vertigini e si sta bene attenti non è un grosso rischio come si può notare da questa foto scattata sul retro.

Ed eccoci infine al gran vestibolo d’onore. E’ chiaro, luminoso, pulito. Regna il bianco incontrastato, sul soffitto con gli stucchi, alle pareti, brillante per la luce; l’unica nota di colore è la scacchiera biancazzurra del pavimento. Sono seduta sulla scala che collega il vestibolo con la stanza di prima. Davanti a me c’è una porta e, oltre, la scala che porta al piano di sopra.

Nel cartone indubbiamente hanno ampliato di molto i volumi di questi locali.

Senza dubbio si tratta di un ingresso molto accogliente, che invita a restare, a sentirsi a proprio agio e a rilassarsi, come se in questo posto sia tutto alla luce del sole e sia possibile essere franchi e schietti. L’ampia visuale verso l’esterno invita ad aprirsi. Decisamente mi piace. Forse perché sono io stessa un’ospite in questa casa. Questo vestibolo dà l’impressione di essere costruito per offrire un luminoso benvenuto e un invito a rilassarsi e lasciarsi andare in tutto questo immacolato bianco di luce.

Prima di salire la scala decido finire l’esplorazione del piano nobile. Sorpasso le scale verso il seminterrato, verosimilmente verso le cucine, e imbocco un corridoio con due stanze, a destra e a sinistra. Vado prima in quella di destra.

C’è un piccolo corridoio che dà su alcune porte azzurre ermeticamente chiuse che si apriranno sulle stanze attigue; le tengo buone per l’eventuale richiesta al bigliettaio se c’è tempo. Subito davanti a me c’è una stanza dai toni del verdino con un tavolino in mezzo. La salle des jeux. Ma, per quanto mi sforzi, non mi ricorda nulla.

Sulla sinistra c’è invece una stanza dalla tappezzeria verde acido che si affaccia sul retro e sulla fontana. Questa sì che mi ricorda qualcosa! Ma è il caminetto! Piccolo con due colonnine scanalate! E’ un caminetto molto più informale degli altri, adatto per scaldarsi ma senza dover scomodare tre persone per metterci il mezzo tronco d’albero necessario per gli altri. In questo, forse per mostrare il suo reale e pratico utilizzo, i curatori del museo hanno messo dei pezzi di legno. Potrebbe essere qui che la damigella si sbronzava all’epoca di Jeanne e forse è anche qui che ha fatto cena con Fersen tornato dall’america. Di fronte al camino c’è infatti una porta che si apre sulla sala da pranzo. Nulla vieterebbe ai padroni di casa di ambientare in questo salottino un pasto più informale.

La sala da pranzo attigua non mi dice nulla dal punto di vista oscariano: è la sala da pranzo del conte di Artois. Il camino è importante. In una teca ci sono tre piatti bianchi con una fantasia a fiori che sembrano quelli che usava mia nonna. Statue e stucchi di gusto classico e allegorie antiche; paravento di damasco azzurrino, sedie con identica fantasia; soffitto a cassettoni pieno di stucchi. Stucchevole il tutto: da far venire l’acetone.

Ho sete. Il giro sotto il sole cocente per fare le foto all’esterno mi ha provata. E qui non ci sono ne’ bar ne’ macchinette! Aiuto!

Scendo le scale viste prima sperando di trovarmi nelle cucine. Ho tutt’ora un po’ di confusione in merito: quelle erano davvero le cucine, ma il fatto che oggi siano adibite a “Museo del cavallo da corsa” confonde un po’ le idee; anche perché, qualche stanza più in là, mi pare di aver capito che ci sono le scuderie superstiti. Insomma, l’unica cosa certa è che in questi locali si trovano i pannelli didattici sul castello che ne vantano l’architettura “perfetta e classica”. Possono interessare per maggiori approfondimenti.

Vorrei spendere due parole sulle scuderie, un tempo vanto del castello e luogo che una certa scuola di pensiero vuole come regno incontrastato del Grandier. Pora stella. Va bene che doveva magari anche occuparsi del cavallo di Sua Grazia, ma era comunque un attendente e dunque un domestico d’alto rango, non certo uno sguattero. Verosimilmente, anche se ne era capace, nessun attendente si sarebbe abbassato a fare il valletto, cocchiere, stalliere ecc… più le prestazioni occasionali. Lui aveva certo un padrone eccezionale, ma questo non toglie che dall’attendente allo stalliere ce ne passi in termini di rango e prestigio sociale. Nel cartone gli fanno fare di tutto! Dallo stalliere al carrozziere, dal cocchiere alla spia. Insomma, neanche a casa Jarjayes fosse stato l’unico domestico! Fossi stata in lui mi sarei rivolta al sindacato.

Ed eccomi di nuovo sul secondo gradino dello scalone. Il foglietto illustrativo  dice che la scala è un elemento innovativo per la sua disposizione  con rampe dritte a pianta quadrata. E’decisamente bellissima. Se volete vederla nelle sue proporzioni guardatevi “Le relazioni pericolose” con John Malckovic, Glenn Close, Uma Thurman e Michelle Pfeiffer (la mia Oscar in carne ed ossa!). La scena in cui c’è il passaggio di chiavi tra Valmont e Cécile si svolge su quella scala.

Sono salita in cima, al primo piano. Mentre ero lì immaginavo che sopra ci fossero le chambres des bonnes, le camere dei domestici, ma torneremo poi su questo argomento. La scala è sempre bianca e accogliente. La scala al piano di sopra è circondata da quattro finestre, ha il soffitto a cupola e in cima si intravedono gli infissi di altre finestre per dare altra luce. E’ decorata ai quattro lati con coppie di amorini in gesso. Graziosi.

Sull’ultimo pianerottolo si aprono due porte ai lati. Alla mia destra si vede un salone da ballo, a sinistra degli appartamenti più intimi. Il foglietto illustrativo mi spiega che a destra si allineano tre sale dette “all’italiana”: sala da ballo (appunto), salone di Ercole, stanza del re. Decido di andare a destra.

Intanto che mi guardo attorno però mi sono seduta su una panca per riposarmi, le spalle verso il retro, i piedi distrutti e la gola arsa. Acqua per pietà! Quando esco giuro che mi butto nella fontana. E’ dura la vita del turista; ma ne vale la pena. Ai miei lati ci sono due finestre. Accanto a quella di destra c’è una porta anonima, mimetizzata. Chissà dove va! Mi incuriosisce più quella che la magnificenza che mi circonda. Ma è chiusa; da una fessura viene giù dell’aria. Ci aspettano scheletri urlanti? [3] Fatto sta che al piano superiore ci sono delle altre stanze, e forse, sopra ancora, delle altre. Ma la visita ai piani superiori non è possibile con un biglietto ordinario.

 

 

Il salone da ballo non c’entra niente con Oscar ma è interessante per motivi miei, quindi se la cosa vi annoia andate direttamente al prossimo paragrafo. Sulla parete deve c’è la porta, dal lato della scala, c’è un grande specchio sovrastato da un minuscolo balconcino, quasi all’altezza del soffitto. Il foglietto dice che è la tribuna dei musici. E’ piccolissimo e dovevano essere davvero pochi: forse solo un quartetto d’archi. C’ è una porticina di cui si intravedono i cardini ma, o si tratta di un passaggio davvero molto stretto o è in corrispondenza con il secondo piano delle scale ma… senza pianerottolo. Sono con il senno di poi ho concluso che deve essere l’ingresso per  la tribuna dei musici. Altrimenti come facevano a salire su? Mica volavano!

A tre quarti della sala (quasi a sezione aurea) c’è un arco di legno e due passaggi laterali. Una balaustra separa ulteriormente le due zone della sala. Evidentemente la sezione più grande doveva essere destinata al ballo vero e proprio e quella più piccola alla conversazione e quant’altro in modo da non intralciare le danze. Forte!

Guardandolo dai due lati, l’arco sembra quasi un altro sapiente gioco di specchi. Il divertente sta nel fatto che, entrando, non ci si rende subito conto se quello che si vede è un’altra stanza o il riflesso di quello che c’è alle tue spalle finché non ti volti a guardare se ti stanno prendendo in giro. Erano dei burloni, gli architetti per i nobili di una volta.

 

In fondo al salone da ballo, a destra, c’è una porta che dà sulla camera del re, quella pronta per il diritto di albergheria. Quattro lugubri manichini di cartone piatto senza testa (orrore!) mostrano altrettanti abiti d’epoca da nobili, due maschili e due femminili. Il letto di parata ha la tappezzeria di velluto scuro color rosso sangue con bordi, coperta e testiera giallo crema e azzurrino. Mi rendo conto ora che la tappezzeria l’ho notata solo nelle stanze più brutte. Volendo qualche inquadratura potrebbero anche averla ripresa da qui, ma spero bene che nessuno, oltre quel pazzo di Luigi XIV, la cui effige troneggia nella sala da ballo attigua, abbia mai avuto il coraggio di dormire in un letto rosso sangue e in una stanza dalle pareti dello stesso colore e disegni damascati color crema. Cercherò un altro letto su cui possono aver preso l’ambientazione.

Dall’altra parte della stanza da letto di parata si accede ad un salottino, anche questo all’italiana (secondo il foglietto). La volta è a cupola. Gli infissi sono di color crema, la tappezzeria (poca) di damasco azzurro, grande poltrona rossa, sedie vicino alla finestra color crema con una delicata fantasia a fiorellini. Commento? Insignificante. Senza dubbio finora il pianterreno è molto più armonioso, accogliente e vivibile. E’ anche molto elegante ma senza grandi eccessi. Queste sono però le sale che dovevano ospitare il re quando passava di qui, e, se pensiamo agli arredi di Versailles, questi ci si conformano a sufficienza senza averne però la pompa. Sono molto più modesti anche se alla resa dei conti non sanno di nulla.

Ma che carino! Il gabinetto degli specchi! Con tutte le pareti colorate, la stanza rotonda, una finestra e gli specchi ovunque! Peccato che ci stiano facendo dei lavori e che si possa vedere solo di sfuggita! Sembra essere una stanza molto divertente! La volta è a cupola tutta dipinta. Sembra un caleidoscopio!

Adesso esco dalle stanze del re e torno verso lo scalone.

Passando per un corridoio di un delizioso e tenue color celestino, un po’ più chiaro delle piastrelle (che sono le stesse delle scala e della stanza d’ingresso) si arriva in una stanza da letto in stile impero. Nonostante le tappezzeria dal prevalente color giallo (ODIO il giallo) la stanza è molto accogliente. Questa era la stanza della regina poi riadattata durante l’impero. Anche qui c’è un camino che potrebbero avere usato ma non è un gran che.

 

Capitolo sesto: la querelle delle camere da letto e alcune considerazioni

 

Nota: questo potrebbe assomigliare ad un capitolo serio.

 

La questione delle camere da letto è stata a lungo dibattuta. Di fatto la visita concede di vedere solo le due camere da letto da parata, ma quelle normali dove sono? Come erano?

Sicuramente nella parte delle ali del palazzo che non si visitano e sono abbastanza, purtroppo. Si può però desumere qualcosa osservando la costruzione dall’esterno. Inoltre la guida del Touring Club, consultata in seguito, informa che il palazzo è su tre livelli di cantine, da un piano terra, dal piano nobile, e da due piani mansardati, contenti il primo le volte del primo piano e piccoli appartamenti, e il secondo le stanze della servitù.

Intanto una foto d’insieme dal retro, giusto per una prima occhiata.

In questa foto si vedono abbastanza bene il piano seminterrato dove sono le scuderie residue e le cucine, nonché lo spazio per il passaggio delle carrozze. Pare, quindi, che sotto ci siano altri due livelli. Di sicuro non si dormiva nei seminterrati come invece si fa oggi nei palazzoni nuovi dei paesini della campagna collinare del centro Italia. Perdonate la polemica e torniamo a noi.

La conclusione sulla posizione delle camere da letto è questa e potete seguire la scaletta in questa foto.

Il piano terra non lascia adito a interpretazioni: praticamente è tutto visitabile e non ha camere da letto.

Il primo piano è più piccolo del terra, è quasi tutto visitabile tranne il lato della camera stile impero di cui dicevo prima. Si vedono le finestre di quel lato dall’esterno: la prima finestra a sinistra del primo piano è quella della camera da letto gialla stile impero, nelle due finestre centrali al primo piano si vedono delle scale di legno azzurrino. Inoltre, in corrispondenza della quarta e quinta finestra c’è la scala. Sopra queste finestre non ci sono camere perché c’è la cupola. Dall’altro lato ci sono la sala da ballo, la camera di Luigi ecc…

Il secondo piano, il primo dei due mansardati, è caratterizzato all’esterno da finestre importanti. Sono alternate: una rettangolare e una tonda. Ai lati, le finestre del piano sono tonde con la cornice a timpano. La stanza centrale è quella più decorata dall’esterno e immagino sia quella del padrone di casa. Le altre devono essere delle camere e stanze signorili.

Al piano superiore si può notare come sopra ogni finestra importante ce ne sia un’altra quasi mimetizzata nel tetto. Siccome man mano che si saliva di piano diminuiva il rango degli occupanti, queste dovevano essere le chambres des bonnes, le stanze dei domestici. Ora, come fossero organizzati non lo so, anche se è un pezzo che me lo chiedo. Nel film di Altman, “Godsford Park” l’ala per le domestiche è separata da quella dei domestici e questa potrebbe essere una soluzione applicata. Un’altra soluzione potrebbe essere che i domestici personali alloggiassero proprio sopra la camera del padrone. Me la vedo a sbattere sul soffitto con la scopa. Volevo farvi notare un’altra cosa di questo piano. Sopra la stanza centrale, quella che ho supposto essere la padronale, ce n’è un’altra con tanto di balcone: e questo sia davanti che dietro. Che ci si faceva lì? Ci dormiva qualcuno? Non sono ancora riuscita a scoprirlo. Ho immaginato la padrona di casa, il maggiordomo, un salottino privatissimo, una biblioteca, che ne so, ma la certezza non ce l’ho.

Le piccole aperture ancora sopra devono essere dunque delle prese d’aria per soffitte o cose del genere e quindi lo affermo pubblicamente: Laura, hai ragione.

In cima a tutto c’è la torretta, questa  benedetta torretta! Nelle foto si vede un’apertura. Forse l’ingresso? Immagino di sì. In ogni caso l’intero tetto ha una balaustra e, verosimilmente, è tutto un balcone. Anche la torretta sarà per la prossima visita.

 

In conclusione è proprio un bel posto, grande, elegante, ma, ad eccezione di alcune stanze, ancora a misura d’uomo e adatto ad una vita lussuosa ma relativamente semplice.

Molte cose sono ovviamente diverse, altre mostrano senza dubbio che questa è l’origine dei disegni del cartone. La parte più riconoscibile è senza dubbio l’esterno. I volumi in generale sono modificati. La fontana sul cartone sembra molto più piccola. Al telefono Fiamma osservò che dovevano averla ristretta per renderla adatta ad accogliere solo due personaggi e farne uno spazio intimo. La scala, e lo spazio che la contiene, nella finzione sembrano molto più grandi. Il giardino sul cartone sembra molto più esteso anche se le linee generali si ritrovano tutte. Le scuderie non sono esterne come nel cartone anche se lo erano in origine. Attualmente non c’è nessuna costruzione paragonabile ad esse, solo il cancello con delle case nascoste dagli alberi. Le scuderie rimaste sono nel primo piano seminterrato.

 

Capitolo settimo: fuori, di sera

 

Ore 18:00

Meteo: che bello! La terra gira e il sole si abbassa sull’orizzonte! Non ho mai desiderato il buio come in questi giorni.

 

Bene, ho visitato tutto il visitabile dall’interno. La tecnica adescatrice non l’ho usata perché, va bene la sfacciataggine, ma, visto l’orario, chiedere ai custodi di fare gli straordinari mi sembrava troppo. Sarà per la prossima visita, vero Fiamma?

Mi ci sono volute quattro ore e ci sarei rimasta ancora. Vedevo gli altri visitatori che se lo giravano in mezz’ora. Mi devo sempre far riconoscere.

Mi sono fatta un giretto nel parco gustandomi il verde  e il fresco serotino. Penso al fido compare e mi sento un po’ romantica. Ma è possibile che a quella stronza non siano mai venute idee del genere? No, eh? Lei è superiore a queste minchiate da innamorati, tipo girare in un parco mano nella mano. Troppo semplice: se non si complica la vita mademoiselle non è contenta. Affari suoi.

Mi metto a sedere sul bordo della fontana e chiamo Fiammetta: devo comunicare con qualcuno. Lei mi sopporta e mi induce a cercare la quercia del tesoro. Io, che sono un po’obnubilata dalla sete, sulle prime non capisco: stiamo parlando di Lady Oscar o dei romanzi di Stevenson? Poi collego: trottola e coltello. Sì, c’è anche la quercia.

Un gruppo di amici si avvicina passeggiando. Il grosso cane che è con loro  si tuffa nella fontana. Potessi farlo anche io! I ragazzi sono simpatici, si scusano per il cane, quattro parole e si allontano.

Che pace. Non ho voglia di riprendere il treno.

 

Capitolo ottavo: fine.

 

Ore 18:45

Meteo: non ci bado più.

 

Sto tornando a Parigi. Ho appena riletto gli appunti: aggiungo al viaggio reale quello mentale. Partire è davvero un po’ come morire: lasci occasioni che mai più si ripresenteranno e, anche tornando, sarà diverso. Una bottiglia di coca-cola abbandonata quasi piena sul sedile di fronte mi tenta ma resisto: berrò dalla doccia dell’ostello.

 

Sito-bibliografia

Solo due siti fondamentali:

 

http://www.maisonslaffitte.net Sito ufficiale del castello di Maisons-Laffitte utile per ogni ulteriore approfondimento. Ci sono delle bellissime foto dell’interno.

 

www.paris-touristoffice.com Hai visto mai che passando da quelle parti possa servire.

 

Per chi vuole fare il viaggio in treno:

http://www.sncf.com/indexe.htm

 

L’unica guida in mio possesso in cui ho trovato notizie è quella su “Parigi e dintorni” del Tourin Club Italiano.

 

[1] http://digilander.libero.it/la2ladyoscar/Funcorner/hai_visto_Fiamma.htm Grazie Fiamma!

[2] Confermati da successive ricerche su internet.

[3]http://digilander.libero.it/la2ladyoscar/Fanfics/Sydreana/cetera_desunt.htm Grazie Serena!

 

pubblicazione sul sito Little Corner del gennaio 2006

 

Mail to brumilde@libero.it

 

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