Bene velle

 

 

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

Questo scritto è la rielaborazione un po’ più sistematica di riflessioni fatte nell’ottobre 2005, discutendo in rete con Luana e altre ragazze sul doppiaggio della scena della dichiarazione di Oscar, nella puntata 37. Il mio intervento e quello di Luana, che è stato pubblicato su questo sito col titolo di “Ti voglio solo bene”, in qualche modo si richiamavano perché scaturiti, per lo meno nelle circostanze della loro formulazione, l’uno dall’altro. Decido oggi di pubblicare e mi piace sottolineare questa relazione richiamandola nel mio titolo.

 

Ti voglio proprio bene

 

“Anch’io ti voglio bene, André. Ti voglio bene... ti voglio bene...”

Ep. 37


Il rovello di per sé mi frulla in testa da tempo immemorabile, ma di recente è stato rinfocolato da varie cose in vari luoghi lette, in merito alla dichiarazione d'amore della puntata 37. Oscar dice ad André: "Ti voglio bene", e non "Ti amo" come i fan sbavanti da 36 puntate (me compresa) avrebbero voluto, e la cosa delude. Oltretutto questa è una peculiarità del doppiaggio italiano, pare, perché nella serie francese la frase della Nostra è: "Je t'aime", così come nell'originale giapponese, e forse nelle altre lingue (sarebbe interessante fare una verifica).


"Vergogna! - si grida indignati di fronte a tale scempio - I soliti vecchi catoni di Mediaset, non se ne può più! Fate vedere col bollino verde le soap operas in cui tutti si accoppiano con tutti entro il secondo grado di parentela e poi censurate delle semplici e pulitissime parole d'amore, anzi, LE parole d'amore per antonomasia". Eccetera eccetera.


E devo dire che tale lettura del fatto, per lo meno di primo acchito, sembrerebbe abbastanza fondata. Cioè: "Ti amo" sarebbe stato troppo “osé” per proporlo a dei bambini (tra parentesi a me questa dei bambini che seguono Lady Oscar sembra sempre più una leggenda metropolitana, ma lasciamo stare) e quindi è stato edulcorato in un più tenue: "Ti voglio bene". Con tutto il biasimo che ne consegue per i censori.


Questa è l'interpretazione che si dà.

Però io devo dire che non mi convince. Non mi ha mai convinto.


Cioè... mi avrebbe convinto, forse, se si fosse riferita a una scelta fatta nei tempi odierni, visto che le ultime volte che “Lady Oscar” è stato trasmesso in Italia la mannaia della Buoncostume ha
colpito duro, tagliando alcune delle scene più belle e significative dell'anime. Se possono tagliare le immagini della scena d'amore, uno pensa, figurati se non possono ammosciare il sonoro della
dichiarazione. Ci avrei creduto, insomma, se il doppiaggio lo avessero fatto adesso. Ma, lo vedete bene, questa cosa non sta in piedi, per una semplicissima ragione cronologica: la versione italiana del doppiaggio non è di oggi, ma risale alla prima messa in onda della serie nel 1982, e allora non ci furono censure del genere.


In secondo luogo: anche volendo supporre che "Ti amo" fosse considerato troppo forte già dai pruriginosi revisori del 1982, come la mettiamo allora col fatto che la stessa frase compare già nove puntate prima, detta da André nell'episodio 28, e per giunta in una scena ben più forte di quella della 37, perché lì l'abbraccio dei due non è affatto consensuale, lei grida e piange e lui
le strappa la camicia e sta per saltarle addosso? Se uno vuole sforbiciare (e potevano farlo), qui di materia ce n'è a stufo, altro che paroline: invece nella 28 il "Ti amo" rimane intatto e anche la
camicia, si fa per dire.


E ancora, se fosse per prurigine e desiderio di attenuare che quel "Ti amo" diventa "Ti voglio bene" nella 37, come la mettiamo col fatto che tre secondi dopo i due tro... ehm... si uniscono nell’estasi suprema che è propria dell’idillio dell’amore come ricci, nudi nel bosco come mamma li ha fatti, davanti agli occhi increduli degli spettatori che, sì, ci speravano, ma proprio non speravano in tanta grazia? Se il "Ti amo" è stato tagliato per censurare, allora dovevano tagliare anche la scena, e invece non lo hanno fatto. E hanno lasciato le due cose così: 1)"Ti voglio bene" - 2) Immediata copula nel bosco. Come si spiegherebbe questa "contraddizione" nella ipotetica logica dei revisori-censori? Col fatto che certe cose si fanno ma non si dicono? Oppure che Oscar non tro... ehm... lo fa per amore ma per simpatia? Che André l'ha conquistata per sfinimento? Per la serie: "Mi stai dietro da trent'anni, du' palle, vabbè, ora te la smollo così la smetti di rompere"?

Eh no, le cose non quadrano, non quadrano proprio, sorry...  Ci dev'essere un'altra ragione, per quel "ti voglio bene".

O meglio: ci dev'esser un altro modo per interpretare quel "ti voglio bene". E allora torniamo un po' indietro nel tempo, giusto per curiosità, e cerchiamo di capire che differenza passa tra amare e voler bene.

Cerchiamo di capire cosa intendevano dirci i curatori del doppiaggio italiano, che in molti punti ci hanno regalato delle scelte veramente felici, che non contraddicono a mio parere ma sviluppano invece in chiaroscuri profondamente suggestivi dei suggerimenti impliciti nell'originale. E cerchiamo di capire cosa possiamo intendere noi.


La mia idea, lo dichiaro subito, è che la differenza tra "amare" e "voler bene" sia qualitativa e non quantitativa. Cioè che il voler bene non sia un sentimento analogo e di entità inferiore all'amore, ma un sentimento diverso. Non incompatibile con l'amore: diverso, e tale da poterlo includere o esserne incluso. Oppure anche da poterlo escludere ed esserne escluso. Credo che qui la distinzione, consentitaci dalla nostra lingua e non dalle altre, sia stata colta e sfruttata per comunicarci qualcosa. L'inglese e il francese non distinguono tra "ti voglio bene" e "ti amo". E in parte anche il giapponese, direi, sebbene qui esista un’espressione, “daisuki”, più vicina ma non uguale nella profondità al nostro “ti voglio bene”. L’italiano invece distingue, e con estrema chiarezza. E probabilmente, visto che ha un'espressione precisa per definire il concetto, la nostra coscienza linguistica ha anche una diversa consapevolezza delle sfumature in esso implicite.


Cerco di spiegarmi meglio. Io credo che in quel "ti voglio bene" non ci sia affatto un'attenuazione del "ti amo", ma una sua formulazione in termini più precisi ed estesi. Che definiscono il
sentimento di Oscar non solo - cosa che certo è - come passione amorosa, ma anche come qualcosa di più: l'amore di una donna verso un uomo ma insieme anche l'amore della compagna di una vita, della bambina, della ragazza, cresciuta insieme al bambino, al ragazzo. E' un amore che non si
consuma solo nel fuoco vivo della fiamma improvvisa - che sicuramente è presente (e lo è per lo meno da quando Oscar acquista consapevolezza di quello che prova, la sera di St. Antoine), ma anche nel bruciare lento e incessante di un sentimento profondo di unione, affetto, attaccamento, condivisione, che lega i due esseri da sempre, e che non è certo in contrasto con la passione, ma la arricchisce e la amplia di una gamma infinita e intensissima di sfumature.


Vediamo qualche prova a suffragio di questa tesi. Del fatto, cioè, che amare e voler bene siano due cose diverse. Tanto diverse da poter essere perfino incompatibili, in certi casi. Ma tali anche da poter convivere, nel caso dell'amore più pieno e vero.


La prima cosa che mi viene in mente, permettetemi di citarla, è un famoso carme del poeta latino Catullo, il 72, dedicato alla sua donna, amatissima ma infedele. Ne trascrivo il testo, perché è molto breve:

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,

Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.

dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,

sed pater ut gnatos diligit et generos.

nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,

multo mi tamen es vilior et levior.

qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis

cogit amare magis, sed bene velle minus.


Una volta dicevi di conoscere solo Catullo,

e che non mi avresti cambiato neppure con Giove.

Ti ho amato allora non come si ama un'amante,

ma come un padre ama i figli e i generi.

Ora ti ho conosciuto, e anche se brucio più forte,

ai miei occhi vali molto di meno.

Come può essere, dici? Perché l'offesa che tu mi hai fatto

costringe chi ama ad amare di più, ma a voler bene di meno.


Qui la cosa è chiarissima. Catullo, un tempo (quondam), amava la sua donna non come  comunemente si ama un'amante (amicam), ma come un padre ama i figli. Cioè l'amava di un amore appassionato che era non solo passione ma anche affetto profondo, condivisione, gioia. Perché
lei era soltanto sua, e diceva che non avrebbe mai voluto un altro al suo posto, nemmeno Giove in persona. Era l'amore perfetto, perché aveva tutto, passione e benevolenza profonda, nello stesso tempo.
Poi invece lei lo tradisce. E lui realizza (te cognovi) che le cose non stanno così come credeva: forse non lo sono mai state. E cosa succede? Questa magica unità si rompe: l'amare e il voler bene, che una volta erano uniti nel sentimento che li legava, rendendolo il più felice degli uomini, si separano. E il poeta è lacerato: perché continua ad amare, a bruciare (uror), terribilmente. Non può smettere
di farlo, anzi: adesso ama ancora di più, per gelosia, desiderio, senso di privazione. Ma nello stesso tempo disprezza Lesbia, la considera vile e dappoco, di valore infimo. Non le vuole più bene. Prima l'amava e le voleva bene, ora l'ama di più e le vuole bene di meno. Anzi, tanto più l'ama, tanto meno le vuole bene. I due sentimenti, da uniti e compatibili, tali da creare un legame meraviglioso, sono diventati divisi e incompatibili, inversamente proporzionali l'uno all'altro. E', questo, uno dei carmi del discidium, della separazione. Parola che, a differenza di divortium, non comporta un taglio netto, ma significa invece "strappo", e comporta una lacerazione.

Insomma, Catullo si accorge, avverte, lo strappo. E per primo ci dice che amare e voler bene sono due cose DIVERSE. Non sono la stessa cosa a livelli differenti di intensità: sono due cose diverse che per rendere felice l'uomo devono stare insieme. Ma perché possano stare insieme occorrono certe condizioni: la fiducia, la dedizione, la sincerità, la capacità di donarsi. Altrimenti i due sentimenti si strappano l'uno dall'altro, drammaticamente, e si dividono. Possono dividersi, perché non sono la stessa cosa. Si può amare e non voler bene. Si può voler bene e non amare. Ma si può anche, ed è la felicità, voler bene e amare.


Mi sono spesso chiesta come mai, alla luce di questo, molte lingue non distinguano l'amare e il voler bene con due espressioni diverse. In inglese si dice "I love you" anche alla propria zia. E tempo addietro, revisionando la traduzione francese del mio "Nelle mani", mi ha fatto un effetto ben strano sentire André che dice alla nonna: "Je t'aime", al posto del mio: "Ti voglio bene". E' come se in queste lingue, con la parola amore, si potesse intendere sia passione che affetto, come se i loro verbi "to love" e "aimer" (come del resto il nostro "amare", in senso lato), e magari - azzardo - anche il giapponese "aishiteiru", fossero in grado di esprimere entrambi i concetti. Non so se questo
significhi che per loro non c'è differenza tra amore e affetto, che loro non abbiano perso l'armonia che abbiamo perso noi. Ma credo di no, non direi. Non sono sicura, ma ho l'impressione che, semplicemente, in queste lingue spetti al contesto far capire come va inteso il "je t'aime", e non a delle parole specifiche. Se dici: "Ti amo" a tua nonna, insomma, è difficile che tu te la voglia portare a letto, quindi è ovvio che intendessi: "Ti voglio bene".


Se invece dici "Je t'aime" alla persona amata, che cosa intendi? Che l'ami e che le vuoi bene, entrambe le cose. Senza fare distinzioni.

Invece noi distinguiamo, eccome se distinguiamo. Fin dai tempi antichi. Distingueva la lingua parlata latina da cui pesca Catullo e distingue la nostra, italiana.


Ora, non è che col nostro "Ti amo" non si possano esprimere entrambi i concetti: se ami qualcuno gli vuoi anche bene, e se gli dici: "Ti amo", intendi anche che provi per lui dell'affetto, della tenerezza. Però è come se noi, quando diciamo: "Ti amo", ci riferissimo specificatamente all'amore-passione. E quando diciamo: "Ti voglio bene", sottolineassimo la dolcezza del nostro sentimento, l'affetto, la fiducia.

E siccome dolcezza, affetto e fiducia si possono provare anche per altre persone che non l'amato, applichiamo il "ti voglio bene" anche a loro, perché esprime bene un sentimento che può essere profondissimo ma è diverso dalla passione.


E torniamo a Oscar. Lei e André camminano nel bosco, il momento è drammatico, si trovano in un mondo allo sbando. Si amano. Si desiderano. Ma sono anche compagni da una vita, hanno condiviso tutto, li lega un affetto profondo e un'esistenza intera vissuta l'uno all'ombra dell'altro. Lei gli chiede timidamente (e non sottovalutiamo l'atmosfera dolce creata da questa timidezza, che credo sia, comunque, un'altra importante motivazione per l'uso di questa espressione in
italiano: se ci pensiamo bene la frase di Oscar nel doppiaggio italiano è molto più realistica, se rapportata al suo carattere, al suo riserbo, al suo grande timore di affrontare certi argomenti; e fa ancora più tenerezza, per questo); lei gli chiede, dicevo: "André, io una volta sono stata innamorata di Fersen, anche se sapevo chiaramente che tu mi volevi molto bene, che mi amavi. E' mai possibile che tu adesso... mi voglia ancora bene, André?" Lei sta parlando di amore ma anche di affetto, di tenerezza, di tempo passato, di anni, di emozioni e pazienza: di voler "ancora bene", insomma. E lui risponde, perfettamente in sintonia con lei: "Ma certo, Oscar, io ti voglio bene da sempre".

La risposta perfetta. Infatti è a questo punto che a Oscar si sciolgono le ginocchia e il cuore: non solo perché lui le ha detto che l'ama, ma perché le ha detto che l'ama ancora, l'ama da sempre, che lui - adesso, nel bosco - è lo stesso che l'amava da bambino, da ragazzo. Lo stesso dei lunghi giorni passati insieme, delle risate, dei silenzi, delle parole dette e taciute. Della dolcezza, dell'affetto e della fiducia. Non solo quello della passione bruciante, che l'ha gettata un giorno su un letto e le ha strappato i vestiti, ma molto, molto di più. Il suo volerle bene comprende anche l'amore, il suo amore comprende anche il volerle bene. E questo è un sentimento perfetto.

Ed ecco quindi che quell': "Anch'io... anch'io...anch'io ti voglio bene, André", che lei dice superando la distanza che li divide e gettandosi sul suo petto (gesto pieno di passione, pieno d'emozione) è
semplicemente ciò che lei doveva dire, non altro. Perché il suo volergli bene racchiude l'amore più profondo e totale. Perché il suo amore non è diviso dal volergli bene. E' l'amore più perfetto e più
puro, è l'amore che comprende tutto. Un "ti amo" forse, in italiano, non l'avrebbe espresso altrettanto bene. Non avrebbe detto tutte queste cose.


E' stata una scelta, semplicemente una scelta. Non dettata da volontà censoria ma da esigenze espressive. Il testo originale lo autorizzava, non è stata una forzatura. Perché nel testo originale il
verbo era uno, e nella nostra lingua esistono due modi per esprimerlo. Chi ha curato la versione italiana ha semplicemente ritenuto che quel modo fosse il più adatto a interpretare ciò che stava succedendo. Può piacere o no, può sembrare più o meno adatto, ma non è una cosa senza una ragione. Si stanno incontrando due esistenze che sono unite nel più completo e totale dei legami, da quando sono iniziate, fin dalla nascita. E il linguaggio che parlano è quello della totalità, della
completezza, del da sempre e per sempre.

E infatti cosa risponde André, prima di abbracciarla, prima di baciarla e far l'amore con lei? "Io questo l'ho saputo da sempre, Oscar, l'ho saputo da sempre, davvero". E in giapponese: "Questo
l'avevo già capito molti anni fa. Anzi, lo sapevo ancora prima di nascere".

 

***

E c’è un’altra cosa, tristissima ma struggente, che mi fa amare quel “ti voglio bene” anche se, come dice Luana, ho dovuto farci pace, prima di amarlo, perché a lungo avevo desiderato un “ti amo” romantico e appassionato. Me lo fa amare il suo sapore tenue e il suo retrogusto straziato di rimpianto.  Non la sentiremo mai, Oscar, dire “ti amo” ad André. Dirglielo, a lui rivolta, da soli. Glielo dice in terza persona, parlando di lui, lui presente, ai soldati della guardia, nell’episodio 38: “L’uomo che io amo, l’uomo della mia vita”. Glielo dice, se lo dicono, indirettamente, negli ultimi tragici istanti dell’episodio 39: “Ora anche l’amore ci unisce”, “Vorrei diventare tua moglie, “La nostra felicità è appena cominciata”, “ora ci amiamo” (e lui, qui, già non può più sentirla)... Glielo dice all’imperfetto dopo la sua morte, sempre nel 39, in un grido disperato che quasi esplode nella notte, dopo tanto silenzio, tanta negazione - una vita intera - di ciò che provava ed era: “Io ti amavo, André! Ti amavo davvero, con tutto il cuore!” Ma “ti amo”, non esce mai dalle sue labbra, per quanto ci è dato, e sottolineo ci è dato, sapere.

Certo, quanto avremmo voluto che avesse saputo dirglielo, gridarglielo con tutto il cuore quando poteva ascoltarla, quando poteva risponderle...

Eppure proprio questo rimpianto che ci lascia, poeticissimo, rende ancora più bella la storia di Oscar e quella di André, col suo sapore dolceamaro, teneramente straziato.

 

O forse, ancora, quel “Ti amo” glielo ha detto, sì, mille e mille volte nella notte del 12 luglio, dopo la dissolvenza, tra i mille baci che forse, certo, si sono scambiati, anche se noi non li abbiamo visti, non ce li hanno mostrati come non ci hanno mostrato i loro visi vicini nel darsi il primo, sospirato, bacio: ma solo, in un’inquadratura commovente e discreta, il loro abbraccio emozionato sulla riva del fiume, da dietro, da lontano. E sta a noi - la sceneggiatura ha lasciato a noi, accortissima -, immaginarlo. Prendo ancora in prestito una frase commovente, che mi scrisse Luana in una lettera, sul “suonare una sinfonia intera senza scrivere nemmeno una nota, solo suggerendo a chi ascolta come ascoltare, cosa sentire...”, sull’“essere così generosi con chi legge (o guarda, aggiungo io) da non riempire tutti gli spazi, ma lasciare qualcosa anche agli altri, che vedano e provino quello che è appena suggerito, con delicatezza...”

Ecco, credo che a questa scena, a questa situazione, si adatti meravigliosamente quello che ha detto Luana, e che queste ellissi struggenti nel tessuto della narrazione vadano ascritte a merito del regista che le ha volute, e anche dei curatori del doppiaggio che le hanno così profondamente capite e rese.

 

E forse quel “ti amo”, infine, non dovevamo sentirlo noi. Perché non era per noi, testimoni indiscreti e importuni, ormai, di un sentimento troppo vero e intimo per essere dichiarato a un pubblico. Non era per noi, quel “ti amo”. Era solo per André.

pubblicazione sul sito Little Corner dell'ottobre 2006

 

Mail to *alessandra*

 

Back to the Mainpage

Back to Essays's Mainpage