Banzai o non banzai? A due voci su un’intervista di O. Dezaki - (Laura e Alessandra)

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Premessa: divagazione a due voci su suggestioni nate da un’intervista ad Osamu Dezaki inserita nella Lady Oscar collector edition, seconda edizione francese, uscita lo scorso 20 giugno 2006.

 

Laura: Banzai o non banzai? Questo è il problema…

Mi ha sempre messo un po’ in imbarazzo quella frase finale, eroica, sfacciatamente eroica (lo scrivo per provocazione), messa in bocca ad Oscar crivellata.

La morte di Oscar, tra le braccia di Alain e di Rosalie, quindi, i due che, a parte Girodel, l’avevano amata oltre André, nel manga è qualcosa che a volte può toccare corde impensate nella moderna sensibilità occidentale.

Lei tra le braccia di Alain (ho voluto riprendere questo particolare, citandolo, nella nostra doujinshi Liberté), lei che muore non con una parola per il compagno, ma, dopo un discorso hegeliano, per la nazione, la Francia. Si discuteva in quegli anni dell’idea di Francia come nazione moderna, ancora però impastoiata nell’Antico regime. La Francia degli Stati e non del re. Probabile, certo, che la Oscar del manga, che frequenta gli scritti politici, che si forma politicamente incuriosita da Bernard, si ponesse il problema.

Ma la Oscar dell’anime non è solo questo. Deve parte dei suoi dubbi politici alle varie bordate del Grandier, che insinua il seme del dubbio nella sua esistenza. Lo fa, commentando, sornione. Piccoli incisi sparsi qua e là. Ma lo fa da sempre, in fondo, con la sua presenza che costituisce un interrogativo stabile sulla differenza della condizione umana, nella altrimenti pianificata esistenza della erede Jarjayes.

E, così, suona molto, molto diversa la solitudine di Oscar, nel vicolo, sola a terra. Attorniata, sì, dagli “altri”, ma sola. Gli altri sono a distanza. Lei neppure risponde a Rosalie, cosa che nel manga fa. Rosalie parla a vuoto, la si subisce quasi con fastidio, come un’intrusione in un momento intimo, privato. Pare quasi di porsi dal punto di vista di Oscar, in quegli istanti, il desiderio di riposare, la pace, il silenzio. Tacere. Affidare il proprio lascito etico, poi, tacere. Dezaki ci regala un tocco intimistico, una visione quasi timida. Molto diverso quell’ultimo pensiero, quegli occhi che si chiudono su quelli di André, invece aperti (un contrasto da brivido), mentre lui, di spalle, va. Vengono in mente quelle ultime parole “Mi sono visto di spalle che partivo”, che ci regalava De André poco prima di morire, in una visione che, ex post, appare quasi chiaroveggenza.

Oscar parla poco, nella sua morte dezakiana. Quasi tace.

Al contrario, ci regala una delle frasi più belle, inaspettatamente toccante, proprio nel manga della Ikeda: “Seppellitemi con André, perché lui è mio marito” (cito da versione Granata). Straordinario outing che, nell’anime, invece, viene sdoppiato nel discorso ai soldati all’alba del 13 luglio “Io ora sono la compagna di André Grandier/ André Grandier’s wife” – che in inglese indica qualcosa di diverso che married; e, successivamente, in quelle brevi linee in cui, nel finale, ci ricordano che Oscar e André sono stati sepolti insieme “Sembra di vedere le tombe di Oscar e di André”… Scelte di stile, entrambe belle, ma quel banzai France proprio non mi va giù.

 

Ho apprezzato infinitamente la sensibilità con cui Dezaki si è immerso nel mondo di Oscar. È, come ho scritto in un mio testo, il trionfo del non detto, ma non per questo meno efficace. Il raccontare per immagini consente armi a molteplice taglio…

Dezaki, si sapeva, chiese alla coppia Araki-Himeno uno stile meno bamboleggiante, ed ecco lo straordinario episodio 19, e tutto sembra un passo oltre. Basta già cambiare la forma delle lucine negli occhi: quei triangoli, non più cerchi, paiono evocare la malinconia. Quell’André seduto nella torre, qualcosa di indimenticabile. La Himeno, da un certo punto in avanti, prende ad occuparsi personalmente di organizzare scenografie, disegni, e abbiamo immagini celeberrime.

Dezaki stesso, in un’intervista francese edita in occasione della Collector Edition di Lady Oscar, seconda edizione francese dei dvd, uscita pochi mesi fa, ricorda come dei personaggi di Oscar e André l’abbiano toccato l’umanità, quel loro amore straordinario e quasi quotidiano, che lui ha tentato di narrare in maniera quasi documentaria; il fatto che non muoiano da eroi, ma come due comuni soldati. Mi ha colpito quando ha detto di aver trovato che il personaggio di Oscar è molto moderno, e che forse Oscar non avrebbe amato André con altrettanta serietà, se avesse avuto una tipica educazione femminile d’epoca, più frivola. Dunque, il pensiero di una dedizione totale e seria all’amore, proprio in virtù di un’educazione sobria: è molto bello come pensiero, molto nuovo. Da parte mia, trovo che sia un punto di vista, nell’amare, molto moderno.

 

 

 

Alessandra: “Anche se è una donna che si veste e si comporta come un uomo, l’ho trattata come un personaggio femminile… Non si dava nemmeno il caso di farla parlare come un ragazzo. Non era questo il fine… Se Oscar avesse completamente adottato lo schema di pensiero degli uomini, questa storia d’amore non si sarebbe mai realizzata. Anche nascosta sotto i suoi vestiti da uomo, lei ha tentato di compiere al meglio i doveri che incombevano sul suo ruolo. Ma al fondo del suo cuore, l’amore che brucia è certamente più vivo che quello nel cuore delle altre donne. È senza dubbio questo che fa di lei una donna straordinaria. È cosi che io vedo le cose”.


Penso che siano state soprattutto queste frasi, estrapolate dalla parte finale dell’intervista a Osamu Dezaki, a colpirmi. Non come una sorpresa ma come la grata conferma di qualcosa che avevo sempre sentito e amato nella Oscar dell’anime: che mi fece a suo tempo innamorare della sua storia e più tardi – in modo più ponderato - apprezzare moltissimo l’opera del regista che la volle così. Averla vestita come un uomo, averle fatto svolgere un incarico da uomo e compiere azioni coraggiose, lasciandole sempre, in ogni suo gesto e pensiero, il suo carattere e il suo cuore di donna.
È bellissima questa intervista, fatta in giapponese coi sottotitoli in francese, con quest’uomo minuto dai sorrisi incredibili, che fuma come una ciminiera e, disperso nella giacca più anonima che si possa immaginare, risponde con la semplicità del genio alle domande che gli vengono fatte. Un metro e settantasette per 61 chili, capelli lisci cui tutto sommato non dispiacerebbe uno shampoo, occhi neri “come tutti i giapponesi”, occhiali leggermente scuri e dietro le lenti sguardi in cui lampeggia incantevole la luce dell’intelligenza non esibita. Spesso ride, quando risponde, ed è un riso modesto e autentico, pieno di spirito e d’ironia. Colori preferiti? Nero, verde, arancione… dipende dai momenti. Cosa ama di più? Il suo lavoro. Cosa odia di più? Il suo lavoro. Stagione preferita, autunno. Non sa usare l’e-mail sul PC ma sta imparando, ama i cani, non ama lo shopping, era un pessimo impiegato alla Toshiba e prima di arrivare all’animazione ha cambiato un sacco di lavori, anche se disegnava manga da sempre. “Rischiavo di diventare un poco di buono, se continuavo così”, dice scoppiando in una risata. Poi invece spiega che sul lavoro tende a fare tutto da solo, che bisogna che ogni immagine renda un’idea, un'emozione, che occorre trovare il giusto equilibrio tra la storia e la caratterizzazione dei personaggi, che le immagini ferme fanno emergere la bellezza dell’istante, che conta una base drammatica solida, poi il resto viene da sé. Che quella di Oscar e André è una storia d’amore magnifica, anche se finisce male “Quello che m’interessa sono queste due giovani persone che il destino conduce verso la morte – dice -. Infatti avevo l’intenzione di rappresentarli in maniera quasi-documentaria”. E tu capisci finalmente chi c’era dietro gli ettolitri di lacrime che hai prodotto guardando Lady Oscar.


“La bellezza del personaggio di Oscar è che affronta il suo destino: si allena alla spada, sopporta le difficoltà… questo genere di donna esiste anche nella realtà. Lo trovo magnifico. Non è davvero una donnetta, se si può dire. È questo che mi affascina nel personaggio".


Ecco, è stato bello ritrovare nell'intervista di Dezaki un riconoscimento come questo. "Penso che esistano molte donne come lei" è una frase che rende anche giustizia, a mio parere, di certe supposizioni inopportune sulla natura di Oscar, sul suo non essere mai, si è detto alle volte, una donna completa. Raramente invece, da quando l'ho incontrata, ho pensato di aver trovato così ben rappresentata, fin dall'inizio, l'essenza più autentica di una femminilità intensa e commovente. Di un certo tipo di femminilità, capace di coraggio e di azioni nobili, capace di controllo e di sofferenza, capace di distinguersi per la sua grandezza e di essere se stessa senza che ciò comportasse il bisogno di rinnegare l'essere donna, la capacità di sentire e amare come una donna, di avere pensieri e desideri da donna, e saperli vivere, al momento giusto, con completa naturalezza. È una cosa che ho da sempre in mente, da che la conosco. In qualche modo anche la conferma di un'affinità spirituale che, facendomi forse qualche illusione su me stessa, da allora sentivo o speravo di avere con lei.


Non ho mai creduto all'idea di una Oscar che per mostrarsi all'altezza sentisse di dover rinunciare alle cose che una donna pensa e fa. Non ho mai pensato che, se lei e André fossero vissuti ancora, non sarebbe stato facile per lei collocarsi nella dimensione affettuosa e costante della compagna. Oscar non è una donna incompiuta a cui manca qualcosa, è semplicemente una donna forte. Che fatica, alle volte, a dialogare con se stessa, ma nel suo cuore e nella sua mente non smette per un istante di essere intimamente, dolorosamente, struggentemente femminile. Non ha bisogno di rinnegare il suo essere e di scimmiottare comportamenti maschili per diventare la persona straordinaria che è. Straordinaria lo è, credo, proprio per il suo essere. È questo che la rende così bella e desiderata quando cammina impassibile, a viso alto, in mezzo a una confusione di uomini rumorosi, sudati, schiamazzanti, perduti, arrotolati sui propri sentimenti e sensi, violenti e poi pentiti, tristi, disperati, ubriachi. Ed è questo che la rende così umana quando, nel suo cammino, cade e si dispera anche lei: di una disperazione muta, straziante, repressa. È proprio allora che è capace di sorrisi dolcissimi e inaspettati, come quello che fa piangendo mentre parla ad André, davanti al ritratto che lui non vede. "Lo trovo magnifico", come dice Dezaki in quest'intervista, piegando la testa di lato e strizzando gli occhi in un sorriso sublime mentre tormenta la quindicesima sigaretta agitando una mano nell'aria.

"Ho detto ad Araki di prendersi più libertà: mi sembrava che la sua potenzialità non fosse stata stata sfruttata del tutto. Gli ho detto di smetterla di fare un disegno animato per ragazze con stelline negli occhi ovunque, di fare qualcosa di più realistico. Sapevo bene quanto era dotato. È sempre stato eccellente nel rappresentare la tensione e la drammaticità. Gli ho detto di smetterla di trattenersi".

 Realistico e toccante è l'anime, ed è davvero commovente - lo credo anch'io - la scelta di far morire Oscar e André come due persone qualunque, come due soldati anonimi. Soprattutto André. Penso a quanto mi abbia colpito il fatto che la sua morte, diversamente che nel manga, non sia avvenuta "eroicamente" nell'atto di difendere Oscar, ma così, quasi per un "incidente", per una pallottola vagante non destinata al lui, senza alcun preavviso, in un momento qualunque che diventa invece, da quel momento, il fulcro tragico di tutta la serie, il punto di non ritorno. Assurda e sconvolgente come la morte reale di qualcuno che amiamo e perdiamo all'improvviso. Aver costruito André in questo modo, averlo spogliato di una fittizia dimensione eroica per dargli invece, silenziosamente, l'eroismo della fedeltà e del coraggio non ostentato credo che sia stata una delle cose più belle e vere che abbia prodotto la gestione Dezaki. La morte di André non è ammantata di un alone epico: non è fissata nel bel gesto, nella battaglia, nel furore della prima linea nel divampare di Ares. Un proiettile improvviso lo colpisce in seconda fila, non ha in mano una pistola e non sta combattendo: niente lo ha preparato e niente può consolare di tanto assurdo. E quando si spegne su un letto da campo non muore dicendo "banzai" e nemmeno "addio". Muore con una straziante dichiarazione d'amore per la vita sulle labbra, per la felicità che ha appena conosciuto e che sta perdendo: "Non posso morire adesso, proprio non posso".

 
La sintonia perfetta raggiunta subito con Araki produce la svolta dell'episodio 19, il capolavoro del 20, e tutti gli altri a seguire. Araki smette di trattenersi e un magnifico André a testa bassa, seduto con una mela in mano mentre Oscar gli volta le spalle, dice di Fersen: "Doveva soffocare l'amore: c'è gente che ama una persona tutta la vita senza che questa persona lo sappia". Dolorosissimo e struggente epitaffio del proprio amore e di quello di lei. Oscar si gira, lo guarda. Lui abbassa gli occhi.
Dezaki ricorda, e quando parla di queste cose il suo sguardo affabile e spiritoso prende una forza e un'intensità straordinarie: "A partire dall’episodio 19 penso ci sia stato un cambiamento radicale. Ma è là che si esprime il vero talento di Araki. E anche lui era d’accordo con me. Fondamentalmente il disegno dei personaggi non è diverso, ma il modo di disegnarli e animarli è completamente cambiato. Se non lo avessimo fatto, non avrei potuto investirmi in questa storia".

 

Laura: Sì, sono d’accordo.

Cambiamento talmente radicale che Fersen, ex-alieno scintillante Actarus-clone, diventa belva da lupanare ufficialmente dichiarato (anzi, spettegolato, dal buon Grandier), e, astenendosi finalmente dall’abbrancare steli di rose (spinose: ardita metafora???), prima abbranca la sua regina, poi se la prende col povero Grandier, dicendogli che se non la pianta di mangiare diventerà una botte, scaricandogli addosso la facile ironia dei padroni sui servi e cercando la complicità di Oscar – che, invece, tace, e non raccoglie, non si unisce al sarcasmo. Ma che simpatico ospite! Verrebbe da dirgli “Ma guardati… lui è mille volte meglio di te!” Fossi stata Oscar, lo avrei mandato al diavolo, altro che invitarlo a restare… -_-; Il Grandier incassa, sublima, azzanna e stritola e palleggia la mela (metafora? E che dire di quando la passa ad Oscar con quel warning tra le righe?). Mille volte superiore, lui, a quel pavone verboso che non riesce a smettere di fare la ruota neppure davanti ad un‘anti-dama quale Oscar è…

E sono d’accordo anche sulla definizione una donna forte. Dice tanto. Donna, persona, essere vivente. Un essere umano, prima di tutto, con una grande forza interiore. E averlo saputo trasmettere, nelle mille sfaccettature che ognuno pensa di intuire, aver saputo creare qualcosa di unico e, assieme, universale, è un merito infinito. In Lady Oscar Dezaki ha davvero creato, con il suo gruppo, un capolavoro.

 

Laura, 12 novembre, 8 dicembre 2006                                                   Alessandra, 8 dicembre 2006

 

pubblicazione sul sito Little Corner del dicembre 2006

 

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