Ancora su "Marie Antoinette" di S. Coppola

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Il film, che è tratto da "To the Scaffold", biografia di MA della Erickson del 1991, nello stesso anno pubblicata in Italia col titolo Maria Antonietta presso Mondadori; che si affianca alla recente uscita del "Diario segreto", sempre della Erickson, e agli script del film annotati dalla regista, dà realmente l'impressione che la Coppola, che non ha problemi a dichiarare l'ascendenza da Lady Oscar anime, abbia guardato al personaggio con curiosità ed umanità. Il film salta - e credo faccia bene - tutta la parte pubblica dell'esistenza della protagonista, per concentrarsi sugli aspetti più personali ed umani. Al di là delle scelte musicali, comunque d'impatto, ne viene fuori un quadro straniante e bello. Davvero, se avessero fatto un film così su Lady Oscar, sarebbe stato straordinario. Certo, se ai tre quarti del film siamo ancora al 1781, ci si domanda perché non fare una prima narrazione e poi, tra qualche anno, una seconda, come accadde per "Prima del tramonto" e "Prima dell'alba", straordinaria coppia di film con J. Delphy e E. Hawke. Ma, a parte queste, che sono scelte dell'autrice, è davvero il ritratto di una ragazza narrato con curiosità, tenerezza, ironia. La scelta di narrare la separazione dal cane è metaforica, più dell'anello della madre: il cane è vivo, è un affetto, e per tutto il film vedremo MA circondata da cagnolini - come fu nella realtà. Bella la postura curiosa dell'attrice, che cammina in avanti, mentre scopre le sue stanze, i corridoi, le porte. Mentre impatta, lei, dalla più austera e familiare Schoenbrunn, coi cerimoniali fastosi, complicati ed inutili. Ironica l'assurda scena della vestizione. Belli i paesaggi, ispirati agli artisti del Settecento inglese. Le straordinarie, delicate e assieme intense, tinte pastello. Abiti e scene come da iconografia, con tanto di MA a Versailles con l'abito con cui invece è ritratta in Austria... Una posa di Fersen a cavallo che è la citazione di uno dei vari Napoleoni di David. Una Maria Antonietta che pare la Candy dell'opening originale, sulla barca-cigno. E la scelta dei momenti da narrare, davvero, con queste fughe, il nascondersi, e l'esplodere dei diversivi alle costrizioni. Straniante, poi tenera la relazione di coppia. Il povero Fersen, che viene da tutti i letti di Parigi, è come da ritratto (il più noto). Stesso abito, stesse sopracciglia, stessa piega delle labbra. Qualche anacronia: il quadro della culla vuota risale alla morte di Sophie, nel 1786, e non a quella di Joseph; Maria Teresa appare come una bambina di 5-6 anni quando dovrebbe averne appena 3, ma, insomma... Bella anche l'idea di reiterare la scena della cerimonia dei pasti in pubblico (che mi pare MA chiese fosse evitata il più possibile) sia per raccontare le distanze, prima, l'avvicinarsi e l'evolversi, poi, della coppia reale sia, sul finire, per significare, attraverso quel buio, l'avvicinarsi della fine. Laconico. Bello. E, soprattutto, la citazione della scena del balcone da Lady Oscar 40, qualcosa di emozionante, toccante.

pubblicazione sul sito Little Corner del dicembre 2006

prima pubblicazione su http://blog.littlecorner.it/ del 6 novembre 2006 http://blog.littlecorner.it/permalink/297457.html#commentil

 

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