Alcuni spunti su matrimonio civile e divorzio all’epoca della Rivoluzione
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Nota: sulla scorta di questo progetto, è in corso una ricerca sull’argomento. Non prendetene, dunque, parti per citarle altrove. Queste note costituiscono l'appendice del X episodio di Un'altra stagione (dopo Autunno) di Alessandra.
L’antico diritto francese non ammetteva il divorzio, limitandosi a riconoscere due categorie di separazioni, definite divortium dal diritto canonico: il divortium quoad vinculum, cioè la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, con giuramento solenne pronunciato dagli sposi; ed il divortium a toro et mensa, che scioglieva il matrimonio, senza tuttavia romperlo, interdicendo una nuova unione.[1]
La legislazione rivoluzionaria sul matrimonio fu abbondante, il matrimonio fu menzionato nella Costituzione del ’91 e se ne parlò anche nei Cahiers, tra i quali, uno solo chiese che fosse introdotto il divorzio, in nome della libertà contrattuale.[2] Di fatto, si trattò essenzialmente sì di dibattiti di giuristi di formazione canonica, ma con spiccate tendenze gallicane e ben impregnati di quell’ésprit philosophique, che aveva contrassegnato le discussioni dei sessant’anni precedenti.[3]
Sotto l'Ancien Régime il matrimonio traeva validità dallo scambio del consenso tra gli sposi, mentre il prete fungeva unicamente da testimone di questo scambio. Con il decreto 20-9-1792 al funzionario municipale fu affidato non solo il registro dello stato civile, ma l'autorità di dichiarare la coppia unita agli occhi della legge.[4]
In realtà, già a partire dal 1789 e fino all'epoca del Consolato, i matrimoni civili erano stati parecchi. Celebrati in municipio, rappresentavano la forma laicizzata del matrimonio. Di conseguenza, questo comportava la possibilità di divorziare. Mentre nei cahiers si taceva, circolavano moltissimi pamphlet sulla riforma del matrimonio e sulla possibilità del divorzio, soprattutto per i cattivi matrimoni combinati dalle famiglie. Già Voltaire e Turgot si erano espressi in materia. Ma articoli comparvero anche sul Moniteur. E vi si intrecciava il problema legato ai preti refrattari, poiché, essendo i registri matrimoniali e dei battesimi in mano a questi, sposarsi di fronte ad un prete giurato significava non avere documenti a provare l'unione e privare i figli dello stato civile.
Le discussioni in materia iniziarono a partire dal marzo 1791: il corpo municipale di Parigi pose il problema all'Assemblea. Si arrivò a distinguere il consenso, che, in quanto negozio, poteva essere oggetto di atto civile, dal sacramento, per cui sarebbe spettato allo Stato fissare le condizioni del negozio, alla Chiesa la parte relativa al sacramento (ricordiamo la presenza non solo di Ugonotti, in Francia, ma di comunità di ebrei, riconosciute proprio negli ultimi anni del regno di Luigi XVI e poi dalla Costituente). Nel 1792, da marzo, si aprì la discussione per votare sulla legge matrimoniale: si decise che i registri sarebbero stati tenuti dai comuni e si arrivò al decreto 20-9-1792, per il quale gli atti di matrimonio dovevano svolgersi davanti agli ufficiali municipali, prima o dopo la benedizione religiosa, con due o quattro testimoni di almeno 21 anni e testimoni potevano essere anche le donne. I divorzio suscitava ancora opposizioni, ma la libertà non poteva che ammetterlo. Lo si accettò, nella medesima legge, per alcuni casi tra i quali demenza, condanna a pene infamanti, sevizie, ingiurie gravi, sregolatezza dei costumi, abbandono del domicilio coniugale, assenza di notizie per cinque anni consecutivi, emigrazione. Accettati furono anche il divorzio consensuale e quello per incompatibilità di carattere. Gli sposi divorziati potevano risposarsi.[5]
L'autorità pubblica veniva dunque a ricoprire una parte importante nella formazione della famiglia: lo Stato decretava gli impedimenti al matrimonio, regolava l'adozione, accordava diritti ai figli naturali (diritti che furono poi ristretti in sede di Code civil), conteneva la potestà paterna, istituiva il divorzio. Quanto alla potestà paterna, nell'agosto 1790 vennero introdotti i tribunaux de la famille, con lo scopo di favorire la soluzione interna dei conflitti in famiglia; essi, però, furono soppressi nel 1796. Furono anche abolite le lettres de cachet, a cui le famiglie ricorrevano allo scopo di far rinchiudere i figli ribelli o prodighi, spesso, dunque, per mere ragioni di comodo.[6]
Il divorzio era la logica conseguenza delle idee liberali espresse nella Costituzione del 1791, il cui art. 7 aveva provveduto a laicizzare il matrimonio: "La legge non considera più il matrimonio se non come un contratto civile" e, dunque, era possibile scioglierlo.[7]
La procedura prevista per il divorzio era contenuta nella sezione 5 del decreto 20-9-1792, in nove articoli.[8]
Se fossero insorte contestazioni, da parte dello sposo contro il quale il divorzio era stato chiesto, su qualcuno degli atti dello sposo richiedente, l’ufficiale pubblico avrebbe dovuto, senza prendere conoscenza della contestazione, rinviare le parti davanti al tribunale civile. Era punito l’ufficiale pubblico che avesse pronunciato il divorzio senza aver provato che le forme legali erano state osservate.[9]
La coppia doveva stabilire le condizioni del divorzio tramite un tribunal de famille o un'assemblée de famille, a seconda del tipo di divorzio richiesto, organi composti di parenti (o di amici, se non c'erano parenti), scelti dai coniugi per decidere sul merito della causa, sulla sistemazione patrimoniale, sui figli, se vi fossero stati.[10]
Sette motifs déterminés costituivano causa di scioglimento del vincolo.[11] Tra le cause: abbandono da parte del coniuge da due anni; assenza senza notizie per cinque anni; emigrazione; separazione ordinata con sentenza esecutiva o in base al decreto 20-9-1792.[12] Nel caso dei sette motifs déterminés il divorzio era concesso immediatamente. La coppia poteva divorziare consensualmente nel giro di quattro mesi e il divorzio per incompatibilità d'humeur et de caractère era concesso dopo un periodo di sei mesi di tentata riconciliazione.[13] Una volta pronunciato, poteva essere sottoposto solo ad appello.[14]
D’altra parte, non era tanto il problema della libertà, quanto quello portato dalle conseguenze della Costituzione civile del clero e della natura contrattuale del matrimonio; non era tanto voler attaccare l’ordine sociale, quanto piuttosto evitare numerosi abusi.[15] In molti rifiutavano di sposarsi di fronte ad un jureur, un prete giurato, per cui, laicizzando il matrimonio, lo Stato assumeva il controllo dell'État civil, subentrando alla Chiesa come autorità nelle questioni di vita familiare, ma, soprattutto, cercando di evitare la fuga verso il matrimonio religioso. Altre ragioni emersero dai dibattiti sul divorzio: la possibilità di sciogliere unioni infelici, l'affrancamento delle donne dalla potestà maritale, la libertà di coscienza per protestanti ed ebrei, le cui religioni non vietavano il divorzio.[16]
Nel Progetto dell’anno VIII (fine 1800) nel libro delle Persone un titolo era dedicato al matrimonio, il V, uno al divorzio, il VI.
Se nel primo progetto di codice civile il matrimonio era qualificato “convenzione”, qui, sulla scorta del progetto Jacqueminot, si dirà “contratto”. Così anche nell’art. 9 tit. III della Costituzione del 1791.[17] E’ evidente un rinvio esplicito alle Istituzioni di Giustiniano, al diritto naturale e ai Monarcomachi, nel rimando alla “istituzione di diritto naturale”. Quanto alla dizione “contratto”, il richiamo è alla Summa trecensis, a Rogerio.[18] Quanto al consenso, il richiamo è ad Ulpiano e a Sant’Ambrogio.[19] D’altra parte, vi era una tradizione in questo senso: estranea al diritto romano, essa risale ai Romanisti del XII-XIII secolo e fu adottata immediatamente anche dai canonisti, dai teologi, passando per le Decretali pontificie ed il Concilio di Trento.
Sul carattere consensuale del matrimonio i giuristi francesi si ispiravano più ai civilisti che non ai canonisti. [20]
Quanto alla forma, le pubblicazioni venivano affisse alla casa comunale per 10 giorni, poi l’ufficiale pubblico riceveva le dichiarazioni congiunte e, dunque, dichiarava in nome della legge che gli sposi erano uniti in matrimonio. Di seguito, redigeva l’atto di stato civile, che andava a sostituire i registri delle parrocchie.
Si tratta, a ben vedere, delle forme prescritte dal Concilio di Trento, adottate in Francia attraverso le Ordonnances regie, trasposte in un linguaggio laicizzante.[21]
Quanto allo svolgimento della cerimonia, dopo la lettura dei documenti relativi allo stato delle parti e alla legge sul matrimonio, ogni sposo diceva ad alta voce: "Dichiaro di prendere X in sposo" e l'ufficiale municipale pronunciava l'unione. Poi redigeva l'atto che gli sposi e i testimoni firmavano. Dunque, una cerimonia abbastanza rapida, perlomeno appena istituita la legge.[22]
Eppure, su un punto si ruppe con la tradizione – e si ruppe proprio rispetto alla tradizione reale: essa richiedeva il consenso dei genitori per gli uomini fino ai 30 anni, per le giovani fino ai 25 e la giurisprudenza dei Parlements era giunta a fare di questa esigenza una condizione di validità del matrimonio. Passata questa età, diveniva necessaria solo una “rispettosa ingiunzione”. Si trattava, insomma, di assicurare l’autorità paterna, il controllo della famiglia su di un atto che molti consideravano concernente più la famiglia, che non gli sposi. Su questo punto, invece, innovando, il Progetto dell’anno VIII portò a 25 anni l’età fino alla quale il consenso era richiesto.
Quanto agli impedimenti, qui i legislatori innovarono parecchio. L’esistenza di un precedente matrimonio non sciolto, ovviamente, costituiva impedimento.
Insomma, si legiferava in nome della libertà matrimoniale. E la naturale conseguenza era la libertà di divorziare.[23]
Il primo progetto Cambacérès (agosto 1793) ammetteva largamente la facoltà di divorzio, conformemente alla legge del 1792. Era possibile sia per mutuo consenso, sia a domanda di uno solo degli sposi (T. VI, art. 1). Alcune cause, se constatate, consentivano di farlo pronunciare a richiesta di uno degli sposi (art. 11).[24] Di fatto, di fronte all’instaurarsi di una gran facilità nell’ottenere il divorzio, si assisté ad un’opera moderatrice: il decreto 15 termidoro dell’anno III pose un freno alla facilità di ottenere il divorzio e, in seno alla commissione che attendeva ai lavori per il codice, il terzo progetto (messidoro anno VI) mostrava già i segni di quel rigore. Eppure Cambacérès si batté per conservare il divorzio per incompatibilità di carattere e riuscì nella sua opera. Il terzo progetto (artt. 325-69) conservava il divorzio per mutuo consenso.
Le modalità della procedura di divorzio occupavano gli artt. 331-56.
Il divorzio per mutuo consenso o incompatibilità di carattere (art. 331) era rifiutato se gli sposi erano minori.
Già il progetto Jacqueminot del 1799 aveva autorizzato sei casi di divorzio, ripresi dalla legge del 1792, conservando l’incompatibilità di spirito o di carattere e l’assenza, sia pure elevata a 5 anni, ma era sparito il divorzio per mutuo consenso, sebbene la formula dell’incompatibilità o dell’ingiuria grave potessero appunto fungere in luogo dei casi soppressi (mutuo consenso e adulterio).
Più restrittivo il progetto dell’anno VIII, erede delle limitazioni degli ultimi anni. Già sotto il Direttorio, Portalis aveva sostenuto l’eliminazione del divorzio per mutuo consenso e, dopo il 18 brumaio, l’offensiva si era rafforzata, soprattutto grazie ai cattolici. Si trattava di un attacco alla democrazia, al potere che, in quella maniera, la donna poteva esercitare nei confronti del coniuge.[25] Così sparì da questo progetto anche l’incompatibilità di spirito, mentre riapparve l’adulterio, sebbene in presenza di particolari condizioni.[26]
In base, dunque, al titolo VI del Code civil i motivi validi furono ridotti a tre: condanna, sevizie e adulterio. In linea con la generale riaffermazione napoleonica della potestà paterna, i diritti delle donne furono fortemente ridotti. Fu mantenuto il divorzio consensuale, ma con molte limitazioni:[27]
Tra il 1792 ed il 1803, in Francia i divorzi furono circa 30.000. Nel 1816 il divorzio fu abolito. Fu ripristinato solo nel 1884.[28]
Un problema molto serio, portato in discussione dall’affermazione della paternità naturale sotto la Rivoluzione, riguardò il riconoscimento della filiazione.
Quanto alla paternità all'interno del matrimonio, è interessante notare come, se vi fosse stata impossibilità fisica a che il bambino nato dalla moglie fosse effettivamente del marito legittimo, se i due non erano più uniti di fatto, allora esisteva il divorzio. Se fosse nato un bambino in queste situazioni si sarebbe stati di fatto in presenza di un divorzio. E, a ragione, il progetto Cambacérès sosteneva, a proposito dell'assenza del marito durante la durata legale del concepimento, che "il divorzio si considera aver avuto inizio il primo giorno dell'assenza."[29]
Quanto alla paternità fuori dal matrimonio, ciò che era determinante nel matrimonio, che fosse pubblico e solenne o privato e privo di forme legali, era la volontà di vivere insieme e le unioni che ne risultavano erano valide e conformi all'art. 7 del tit. II della Costituzione del 1791 e ogni bambino voluto era un bambino legittimo.[30] La volontà dell’uomo creava, sì, la paternità, ma essa poteva essere resa inefficace dall’esistenza di un matrimonio non sciolto, che ingenerava un caso di adulterio.[31] Il bambino, in quel caso, si considerava legittimo quanto a sua madre, mentre il padre, in caso di unione privata, lo avrebbe riconosciuto (formalmente o tramite susseguente matrimonio); ma se il precedente matrimonio fosse stato valido, il bambino sarebbe rimasto privo di padre, per il rispetto dovuto al matrimonio.
Oudot in proposito osservava che se due persone hanno già rotto il proprio matrimonio col fatto di non vivere più come sposi, se stanno per far pronunciare il divorzio legale, se ne hanno già fatto domanda, se stanno attendendo appunto la sentenza di divorzio e si sposano con un’altra persona, non appena la legge lo permette loro (dopo un anno di attesa - anno che, nel caso di assenza del marito, decorre dal primo giorno dell’assenza)[32], non si possono considerare adulteri.[33]
Osservava anche che se due sposi non vogliono più restare uniti, dal momento che non vivono più insieme, il matrimonio cessa per questo fatto stesso e quando formano una nuova unione, se la confermano appena la legge lo permette loro, non si possono considerare adulteri e non si può impedire loro di riconoscere i figli.[34]
Mail
to laura.luzi@email.it
[1]
BOUINEAU, «Le divorce…», cit., p. 309; FERRIERE, Dictionnaire de Droit
et de Pratique, (voce) Divorce.
[2]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 305.
[3]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 301.
[4] ARIES, DUBY, La vita privata. L'Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1988-2001, p. 25.
[5] BERTAUD, La vita…, cit., pp. 168-185.
[6] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 25.
[7] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[8]
BOUINEAU, «Le divorce…», cit., p. 312.
[9]
BOUINEAU, «Le divorce…», cit., p. 312; GUYOT, Ouvrage des plusieurs
jurisconsultes…, Paris, an. IV-1807, 24 voll.; ID, Répertoire
universel et raisonné de jurisprudence…, Paris, Dorez, 1775.1783, 64
voll.
[10] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 28.
[11] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[12]
BOUINEAU, «Le divorce…», cit., p. 312; GUYOT, Ouvrage des plusieurs
jurisconsultes…, Paris, an. IV-1807, 24 voll.; ID, Répertoire
universel et raisonné de jurisprudence…, Paris, Dorez, 1775.1783, 64
voll.
[13] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[14]
BOUINEAU, «Le divorce…», cit., p. 312.
[15]
LOTTES, «Le débat…»,, cit, p. 318.
[16] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[17]
MULLIEZ, “Révolutionnaires…”, cit. p. 384.
[18]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 307.
[19]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 307.
[20]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 303.
[21]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 304.
[22] BERTAUD, La vita…, cit., pp. 178-180.
[23]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 305.
[24]
FENET, Recueil complet des Travaux préparatoires du C. civ., 1827, T.
I, pp. 17 e segg.; GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 307.
[25]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 306.
[26]
GAUDEMET, “Traditions…”, cit., p. 307.
[27] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[28] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 27.
[29] MULLIEZ, “Révolutionnaires…”, cit. p. 378, n. 37, che cita il Ier Project, Titre IV "Des enfants" article 4: "L'absence d'un epoux telle qu'il ne puisse être présumé père, donne lieu à le desavouer. Le divorce est censé (si presume) avoir commencé le premier jour de l'absence du mari."
[30]
MULLIEZ, “Révolutionnaires…”, cit. p. 380.
[31]
MULLIEZ, “Révolutionnaires…”, cit. pp. 381-2.
[32] ARIES, DUBY, La vita…, cit., p. 26.
[33]
OUDOT, Observations sur l’article 9…, cit., p. 7; MULLIEZ, “Révolutionnaires…”,
cit. p. 384, 395, n. 93.
[34]
OUDOT, Observations sur l’article 9…, cit., p. 8; MULLIEZ, “Révolutionnaires…”,
cit. p. 384, 395, n. 94.