Nel 1665, nel giardino di proprietà del convento domenicano
annesso alla chiesa fu rinvenuto un piccolo obelisco lungo circa 5 metri
e mezzo, con iscrizioni in geroglifico sui quattro lati. Si tratta del
gemello di quello Macuteo, che con esso a Roma adornava il Tempio di
Iside e Seraipide.
Il papa Alessandro VII quindi decise di farlo erigere davanti
alla chiesa stessa. Uno dei progetti elaborati per realizzare il
basamento era di padre Domenico Paglia, un architetto appartenente allo
stesso ordine domenicano: l'obelisco avrebbe dovuto poggiare su sei
piccoli colli (gli stessi "montini" che apparivano nello
stemma di famiglia dei Chigi, a cui Alessandro VII apparteneva),
con un cane a ciascuno dei quattro angoli: il cane era il simbolo dei
domenicani, i quali dal latino Dominicanes venivano anche
chiamati Domini canes, cioè "i cani del Signore", per
sottolinearne la fedeltà. Ma il papa respinse il progetto, poiché
quello a cui mirava era un simbolo della Divina Saggezza. Fu dunque
interpellato il famoso architetto e scultore Gian Lorenzo
Bernini,
napoletano ma attivo a Roma, perché ideasse una base adatta.
Dei molti disegni presentati, fu scelto l'elefante, a rappresentazione
della forza: "...è necessaria una robusta mente per sorreggere
una solida sapienza" dice l'iscrizione su uno dei lati della
statua. In realtà Bernini si era ispirato alla Hypnerotomachia
Poliphili (la battaglia d'amore in sogno di Polifilo) di Francesco
Colonna, un romanzo del XV secolo molto conosciuto a quei tempi. La
prima edizione della Hypnerotomachia era stata pubblicata a
Venezia nel 1499 dal famoso tipografo-editore Aldo Manuzio. Nel romanzo,
pieno di riferimenti simbolici, Polifilo incontra un elefante di pietra
che trasporta un obelisco, e quanto Bernini sia stato ispirato
dall'opera lo si può intuire confrontando il suo monumento con
l'illustrazione tratta dalla prima edizione del testo.
Nel suo progetto originale però l'animale non aveva alcun sostegno, e
il peso dell'obelisco avrebbe gravato interamente sulle zampe
dell'elefante. Ma padre Paglia (piuttosto invidioso per essere stata la
sua idea scartata) obbiettò che in accordo con i canoni classici, che
prevedevano che "niuno perpendicolo di pondo non debi sotto a sé
habere aire overamente vacuo, perché essendo intervacuo non è solido né
durabile" (cioè nessun peso perpendicolare avrebbe dovuto
poggiare sul vuoto perché non sarebbe stato solido né durevole),
citazione dello stesso Francesco Colonna, era necessario inserire un
cubo di pietra sotto il ventre dell'elefante (come nell'illustrazione
dalla Hypnerotomachia).
Bernini si oppose fieramente a questa modifica, avendo oltretutto già
realizzato altre opere nelle quali elementi pesanti gravavano su spazi
vuoti (un esempio di ciò è la sua famosa Fontana dei
Fiumi a piazza
Navona), ma il papa decise lo stesso che il supporto venisse aggiunto.
L'artista tentò anche di mascherare il rude cubo di pietra scolpendovi
una gualdrappa, ma nonostante il tentativo la statua si mostrava in
complesso molto appesantita. Per questa ragione, dopo il suo
innalzamento nella piazza, la gente cominciò a chiamarla Porcino
della Minerva; il nome cambiò in seguito a Pulcino forse per
un semplice motivo fonetico: nel dialetto romano Pulcino è
pronunciato Purcino, un suono molto simile al primo soprannome.
E questa fu la vendetta di Bernini: nella versione definitiva (che poi
fu realizzata dal suo allievo Ercole Ferrata nel 1667) disegnò
l'elefante in modo che puntasse le terga verso il convento domenicano,
con la coda leggermente spostata, come a salutare padre Paglia e gli
altri domenicani in modo alquanto... osceno! |
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