Grandi Voci
 

L'esperienza schizofrenica nella sua dimensione storica, psicopatologica e fenomenologica


  1. Evoluzione del concetto di schizofrenia nel corso del ventesimo secolo
  2. Il mondo schizofrenico come mondo-altro
  3. La fenomenologia come filtro di comprensione della sofferenza schizofrenica
  4. Bibliografia
di Simona Mogni
Padova, Giugno 2001




1 Evoluzione del concetto di schizofrenia nel corso del ventesimo secolo

La schizofrenia come entità morbosa nacque nel 1886, quando Kraepelin scoprì che tre sindromi: ebefrenia, catatonia, paranoia, erano in realtà manifestazioni variabili di uno stesso processo. Tale condizione insorse molto precocemente dilapidando la persona e venne definito dallo stesso Kraepelin dementia praecox. Ci si accorse però successivamente che forme cliniche apparentemente molto diverse si fondevano in un'unica nozione e che le peculiarità sintomatiche e sindromiche di ciascuna di esse perdeva di valore.
L'abulia, l'indifferenza, la mancanza di emotività piuttosto che l'indebolimento intellettivo non caratterizzavano la demenza precoce, ma si evidenziava un'eclisse di ciascuna di tali componenti in relazione a particolari situazioni ambientali. Tutti i disturbi discordanti dalla demenza vera, vennero da essa distinti e nacque in contemporanea la necessità impellente di separare tutto il processo schizofrenico dall'indebolimento intellettivo.
Nel 1911 Bleuler modificò lo schema kraepeliniano, considerando la dementia praecox né sempre precoce né sempre con esito infausto. Una definizione di schizofrenia iniziò a delinearsi più chiaramente e questa patologia venne considerata come risultato di un processo avente come sistemi difensivi portanti la dissociazione e la scissione della mente. Bleuler iniziò a conferire maggiore importanza ai fattori ambientali, la mancanza di scopi reali, di idee direttive e l'assenza di contatto affettivo orientarono il concetto su di una nuova strada.
I suddetti disturbi che prima si tentava non solo di mantenere distinti dalla demenza vera, ma anche di delineare conversero verso la nozione di perdita del contatto con la realtà.
Delineando il termine di schizofrenia, sostituendolo a quello di dementia praecox, Eugene Bleuler spostò verticalmente l'asse della conoscenza della forma morbosa dal piano di un'esperienza psicotica riconosciuta in termini clinici, ed un'esperienza psicotica definibile in termini immedesimativi ed interiori. Egli intese inoltre sottolineare la “sindromaticità” degli elementi sintomatologici e l'importanza della dissociazione nel farne la diagnosi.
La schizofrenia venne contemplata attraverso la lente di questa perdita di contatto vitale (Minkowsky), anzi, questo concetto diventò uno dei punti fondamentali che la caratterizzavano.
La prima e fondamentale illustrazione dell'impostazione fenomenologia in psichiatria fu opera di Karl Jaspers , il quale, superando la distinzione offerta da Dilthey tra “spiegare e “comprendere” introdusse il concetto di “visione del mondo” schizofrenico, descrivendolo come modalità psichica di organizzare il proprio dasein (l'esperire nel mondo). Il pensiero jaspersiano non vede il mondo normale e patologico come distinti, ma come modalità diverse attraverso le quali gli individui progettano la loro vita. Egli si distanza dalle scienze naturalistiche considerando la malattia mentale non come oggetto naturale, ma come processo.
Si dispiega da questo punto un rinnovato interesse verso il paziente psicotico, il quale non viene più considerato come “demente” e quindi portatore di un ritardo mentale, ma come forma di esistenza nel mondo dotata di una propria identità, di una soggettività, con una “lebenswelt” singolarmente vivida.
Abbandonati cause e sintomi come strumenti di ricerca, la fenomenologia con L. Binswanger insiste sul tema (Wor
über) in cui l'esistenza schizofrenica si declina rendendosi comprensibile all'alterità. Da questo punto di vista non è più possibile parlare di schizofrenia come di “entità clinica” ma di esperienze schizofreniche di volta in volta individuate da condizioni trascendentali singolari per ogni esistenza perché esperite diversamente.
Considerando non più la schizofrenia un'entità clinica, ma un'esperienza umana, il metodo dell'osservazione, di stampo naturalistico, viene sostituito dal concetto di “penetrazione”, la Einfühlung tedesca o semplicemente empatia, nuovo strumento che consente di entrare nell'esperienza schizofrenica prima di ogni disaggregazione in sintomi che consegnano un'immagine astratta ad artificiale della patologia stessa.
Negli anni '50 Binswanger offrì a pieno titolo una comprensione dinamica dei sintomi schizofrenici proponendo il concetto di “mondo schizofrenico”. Questa denominazione posticipò un radicale mutamento avvenuto a livello epistemologico. Decenni prima la schizofrenia veniva letta attraverso le singole funzioni dell'Io: pensiero, affettività, comportamento, per poi poterne registrare i disturbi; ora si fa riferimento all'intera persona del malato, al suo mondo, alla sua identità.
Automaticamente si assiste ad un mutamento anche del ruolo dell'osservatore che non veste più i panni del freddo indagatore con la norma come punto di riferimento, ma diventa partner partecipe (Sullivan)che attraverso lo studio della lacune affettive volge lo sguardo anche a quelle sociali, studiando la loro interdipendenza.
L'importanza della relazione oggettuale, disturbata e singolare, vissuta dallo schizofrenico, resta. Il rapporto tra Sé e mondo esterno si specchia in un disturbo dell'affettività, anche se permane il quesito su ciò che viene prima e ciò che viene dopo: a causa del disturbo affettivo, il mondo appare estraneo al paziente o viceversa?
Nel decorso storico riguardante l'evoluzione del concetto di schizofrenia, l'introduzione della dimensione fenomenologica in ambito psicopatologico ha il merito di aver proposto una visione più intera ed “empatica” del paziente schizofrenico.
Tale approccio guarda la schizofrenia, al di fuori di ogni ricerca casuale o sintomatica, come ad un diverso modo di declinarsi delle strutture trascendentali che sono alla base di ogni esistenza.
L'incontro è asse portante di questa disciplina e consente di trasformare la slegatezza e la frammentarietà dell'esperienza attraverso un'immagine psichiatrica che non solo riflette questa, ma la organizza in una struttura con propositi costruttivi e positivizzanti la sofferenza psicotica.



2 Il mondo schizofrenico come mondo-altro

La schizofrenia è una forma di esistenza psicotica che si manifesta con una particolare costellazione sintomatologica e clinica in una realtà profondamente dilemmatica e sofferta.
La Lebenswelt schizofrenica si configura attraverso una sorta di “controrealtà” portante significati estremamente singolari, angustianti, persecutori. Il babelico dolore vissuto in modo vivido dal paziente schizofrenico è radicalmente diverso e lontano dai nostri abituali modelli di vita, enigmatico, struggente e profondamente umano. Nella dimensione ermeneutica dell'incontro si dispiega quello che Eugenio Borgna chiama “Autre monde”, cioè un mondo altro – dal- nostro , che si delinea attraverso una sorta di metamorfosi (o meglio anamorfosi) dell'alterità in alienità apparentemente irraggiungibile, enigmaticamente incomprensibile.
Le indagini fenomenologiche hanno in realtà dimostrato quanto questa incomprensibilità sia apparente e fittizia: all'interno della trama caoticamente tessuta dal paziente psicotico, risultato di difese ben consolidate, strutturatesi ed autoforificatesi nel tempo, è possibile intravedere orme di un'organizzazione interna in cui è possibile cogliere un nodo torturato di significazione.
Bleuler (1972) scrive che una vita schizofrenica latente, una forma di vita altra- dalla- nostra, sia nascosta nelle falde freatiche della condizione umana. Una Gestalt schizofrenica, riesce ad essere colta anche se osservata, con recettività attiva, attraverso l'osservazione della quotidianità del paziente. Egli infatti sostiene che nelle situazioni di solitudine, nelle esperienze mistiche, ma anche nelle forme di pensiero autistiche e nei sogni esistono analogie ombrate della pervasività-altra-da-noi tipicamente schizofrenica.
Questo tipo di realtà solo apparentemente così estranea, viene alimentata di sogni, desideri, fantasie sull'essenza delle cose e sullo stato di esse, si esaspera e si autonomizza, fino alla crisi devastante della possibilità di incontro.
A questo punto dell'argomentazione si dispiega autonomamente quello che risulta essere il sintomo schizofrenico per eccellenza , il delirio.
Cos'è il delirio? Fino a pochi decenni fa la risposta sarebbe stata “un errore incorreggibile”, ovvero un errore del soggetto dipeso dalla sua incapacità di correggerlo. L'indagine fenomenologica ha permesso di offrire alla disciplina psichiatrica, ma anche a quella psicologica, una nuova dimensione valutativa all'interno della quale questo “modus vivendi” può trovare una sua locazione.
Il delirio viene definito come una particolare esperienza del reale vissuta ed esperita con un atteggiamento radicalmente diverso dal resto del mondo-altro dal paziente schizofrenico. Nel delirio le possibilità, e non le capacità, si atrofizzano, soffrono, sono coercizzate dal labirinto setoso in cui si sono perdute.
Una caratteristica peculiare della patologia schizofrenica , citata in molti manuali scolastici è l'incapacità da parte del paziente di simbolizzazione, nel senso che molti significati simbolici attribuibili al mondo esterno nella schizofrenia vengono largamente perduti. Una caratteristica tendenza del pensiero schizofrenico è il trattare come identiche cose che hanno uguali predicati. Rispecchiandosi in cose che sono assonanti tra loro, timori e speranze si solidificano sapientemente in realtà ultime. Scriveva a tale proposito G. Benedetti: “Un delirio indefettibile cresce sui cocci della perduta identità del mondo e del Sé”. Perché allora, se si parla di atrofia simbolica del paziente schizofrenico, il mondo diventa per lui un unico, mastodontico simbolo? Perché l'Io specchiandosi nel mondo scorge solo quel pauroso potere intrapsichico che lo domina, che oggettiva il soggettivo, che appartiene e contemporaneamente non appartiene all'Io, che sa cancellare ciò che è oggettivo per creare tra soggetto ed oggetto un terrificante terzo piano psichico. Non esistono segni autentici o simboli reali, perché essi coincidono con le cose che designano e non possono più essere da esse distinte. La chiave di accesso terapeutica è proprio quella di offrire un senso al delirio, in quanto simbolo, e considerarlo l'esito finale di una sottostante ma delineata vita psichica
L'amore autoreferenziale del paziente è continuamente, costantemente adombrato dalla sua potente autodistruttività, mostrando agli occhi di chi con lui entra in relazione, una sofferta scissione, frammentarietà, disgregazione deformante la possibilità di esistere dell'individuo. Il delirio è simbolo sia che il paziente soffra e patisca nella sua Wansthimmüng delirante, sia che egli si limiti ad agire come se vestisse una maschera onnipotente. Esso rappresenta inoltre una sorta di atto d'autoaccertamento e di ricerca della propria identità; appare come un'incomprensibile comunicazione cifrata attraverso la quale comunque il paziente si racconta e contemporaneamente si nasconde.
Attraverso l'abile uso di allegorie e neologismi il paziente si propone alla relazione con le sue paure, le sue ansie, le sue perplessità ma anche con i suoi desideri. La metafora, l'immagine, il simbolo servono al paziente per raccontare la propria storia, e ciò che di essa è andato perduto, attraverso un'unica, grande idea, che gli permette di mutare la realtà in tutti i suoi termini generali e formali.
La lebenswelt delirante è irremovibile, pregna l'esistenza del soggetto, legittimandolo ad essere così esperendo il proprio vissuto attraverso particolari modalità piuttosto che altre. E poiché il paziente si riconosce nella sua identità delirante, grazie al delirio riesce a superare una storia interiore costruita su dubbi riguardanti se stesso. Attraverso il delirio egli raggiunge una sorta di “pass par tout” per esistere, non più simbolico, ma reale, che si cristallizza ed autofortifica nel corso del tempo.
Accostarsi al mondo delirante del paziente è impresa ardua e costosa, i contenuti vivi e singolarmente penetranti, travolgono, allampano, saturano l'atmosfera condivisa dell'incontro di irrazionalità, interrogativi, dolore.
L'intenzionalità del soggetto è frammentata ma comunque esistente,il vivido stato di angoscia esistenziale gela la sua individualità, ma non la annulla impossibilitandola ad un'eventuale relazione con l'altro. Vero è che la metamorfosi schizofrenica modella viziosamente non solo la sintomatologia clinica, ma modifica pure il modo di essere , nel senso di modo di fare parte del mondo, di ogni paziente. L'esistenza psicotica è strutturata di diversi elementi, i quali vanno a fare parte di una costellazione sintomatologia che varia da individuo ad individuo, nessuna schizofrenia da questo punto di vista è mai uguale a se stessa. Ci sono schizofrenie che hanno come sintomi radicali le esperienze deliranti, altre quelle allucinatorie, ma comunque entrambe fanno parte di un contesto che le modifica e le radicalizza: il contesto emozionale e della coscienza dell'Io.
L'allucinare e il delirare rappresentano due “Dasein” altamente importanti; essi sono due modi dialettici e complementari di una distorta comunicazione con il mondo che automaticamente distorce l'incontro con lo stesso. L' esperire allucinatorio schizo è l'espressione di un'alterata condizione intersoggettiva e comunicazionale. Ciò che il soggetto allucina appartiene al contesto del proprio in mondo interno, a lui solo appartenente ed appartentivo. Possiamo pensare alle allucinazioni come percezioni prive di un oggetto comune perché ciò di cui esse sono prive è ciò che comunemente non può essere visto, vissuto o percepito.
L'allucinare priva l'eventuale relazione con l'altro della dimensione”pubblica”, che permette la condivisione dei significati. La Lebenswelt allucinatoria è contraddistinta da questo “mondo privato” elitario e al contempo vizioso e coercitivo che esclude simultaneamente la Lebenswelt non psicotica.
Le allucinazioni uditive che caratterizzano ogni esperire psicotico rappresentano l'emblema della frattura (non rottura) comunicazionale e si ergono a testimoniare la disperata desertitudine del mondo schizofrenico. Non esiste più nulla nemmeno avvicinabile con ciò che è altro-da-sé , con cui sia possibile la contestualizzazione di un discorso fondato sull'intersoggettività e al paziente non resta che questo modo di essere nel mondo: il modo allucinatorio. Ecco che allora l'abbandono al potere del “suono” e della parola”infranta” diventa forma di esistenza, portatrice di un senso-altro che lontano dalla realtà comunemente condivisa si trasforma in controsenso.
L'ascoltare, il vedere, il toccare e l'essere toccati sono forme di comunicazione nel mondo e con il mondo che nella schizofrenia diventano regime, si radicalizzano ed attecchiscono in un'esperire sofferto e spasmodico.
La comunicazione verbale è altrettanto complessa; è auspicabile usufruire di un linguaggio sapientemente allusivo e friabile, discontinuo e tendente all'indicibile, attraverso il quale sia possibile intravvedere parti dell'alterità e parti dell'estraneità. Un linguaggio impoverito e spogliato dalla ragione poco servirà all'incontro con il soggetto schizofrenico, se non a renderlo calcolatorio e desertificato. Quello a cui si sta facendo riferimento è un incontro cercato e mille volte perso, che si intravede nel nostro cuore ed in quello dell'altro-da-noi su di una linea millimetricamente sottile ma non invisibile, la quale segna solitudine e desolazione, ma anche motivazione a continuare il cammino intrapreso e condiviso con il paziente alla ricerca di ciò che da lui è stato perduto.
Ferdinando Barison (1987) viene in aiuto a queste considerazioni, affermando come non si possa comprendere chi è nel gorgo della schizofrenia “senza entrare in un rapporto che è un primo passo nel territorio della psicoterapia, cioè di un mutamento esistenziale coinvolgente operatore e paziente, sia sul piano del Mit-sein in un mondo autentico, che sul piano del rapporto transferenziale e contro-transferenziale, anche se vi sia per avventura una sola intervista, qualsiasi siano nel tempo e nelle diverse circostanze gli svolgimenti di tale rapporto”.


3 La fenomenologia come filtro di comprensione della sofferenza schizofrenica

La fondazione fenomenologica della psichiatria consente di cogliere l'esperienza schizofrenica nella sua significazione più umana e nella sua più completa dimensione di senso.
Non è fattibile un discorso psicopatologico autentico e radicale senza avere la possibilità di liberarsi dalla consuetudine di considerare i fenomeni psico(pato)logici alla luce di una teoria, di un'unica angolazione di discorso, se non ascoltando empaticamente i pazienti nella effervescenza subitanea della loro parola senza pensare al “sintomo”, inteso come determinato “indizio”di malattia.
Il mondo della schizofrenia è caratterizzato dalla profonda ed enigmatica incomprensibilità, ma è altrettanto vero che questa incomprensibilità possiede linee autonome di organizzazione e di articolazione interna sulle quali si adombra un nucleo di sofferenza ma anche di lacerata significazione. Come questo nucleo possa essere scorto, compreso e scandagliato, è l'orizzonte di ricerca delle indagini fenomenologiche, con il rovesciamento di atteggiamento conoscitivo che essa ha in sé.
Effettivamente, le considerazioni cliniche e psicopatologiche di Manfred Bleuler, hanno cercato di dimostrare la dimensione di vita psicotica altra-dalla-nostra e la presenza di una condizione schizofrenica latente nell'esperire umano. Nella schizofrenia certe esperienze di vita, come il sogno o particolari vissuti mistici, che sono coglibili anche in situazioni umane non patologiche, sconfinano dagli argini e precipitano in mondi della vita-altri maggiormente inquietanti. La tendenza a creare una sorta di mondo non solo autonomizzato, ma anche uniformato ai propri timori e desideri, si esaspera, distruggendo o comunque frammentando i modi attraverso i quali si viene a contatto con la realtà, intesa come realtà altra-da-sé.
Non pare possibile quindi, convogliare un senso all'esperire schizofrenico se non si considerando, da una parte, le analogie in essa presenti con alcune comuni esperienze di vita, e dall'altra l'agghiacciante inconoscibilità nella quale scivola l'esistenza umana nella Lebenswelt psicotica.
Attraverso un'analisi fenomenologica, la schizofrenia appare come una sorta di rottura della comunicazione. Eugenio Borgna si riferiva all'esistenza schizofrenica in termini di “desertica solitudine monadica”, nella quale il soggetto schizofrenico si perdevaletteralmente, in quanto contrassegnato dall'inconconfondibile assioma presenza-assenza, tipico dell'esperire che si sta prendendo in considerazione.
Lo scacco comunicazionale vige su tutto il resto: nel contesto di tale comunicazione infranta, ma non definitivamente perduta, diventa impossibile articolare la spontanea reciprocità di gesti e significati, in quanto è già avvenuta a priori una metamorfosi radicale di quelli che sono gli elementi costitutivi del discorso. Le intenzionalità di chi non è schizofrenico e di chi lo è, si aprono al loro orizzonte di senso.
Come Binswanger (1957) scrisse che comunicare-con-l'altro non significa fermarsi alla comprensione delle parole del paziente, come se fossero veicoli di una sorta di decifrabilità intrinseca al discorso colloquiale. Si fa riferimento alle parole in senso più radicale, individuandole nel punto di partenza di un'interpretazione ermeneutica che conferisca loro un'esistenza vera e propria. Ecco che allora la comunicazione diventa una vera e propria “architrave” tra una soggettività e l'altra, dotata di senso e carica di significazione.
Il termine metamorfosi diventa pertinente all'argomentazione in corso poiché per scacco della comunicazione si intende un'intersoggettività che metamorfizzata si fa condizione radicale distruttiva sia di qualsiasi tipo di tentativo dialogico che di qualunque“accostamento empatico”.
Il fine dell'indagine fenomenologica non è comprendere cosa i soggetti schizofrenici possono rivelare di se stessi, ma come, nel suo manifestarsi, l'esistenza riveli qualcosa di se stessa. È una doppia comunicazione ermeneutica nella misura in cui tale indagine fenomenologica intende capire e sviscerare non solo il modo di essere rivelato dal paziente, ma quello in cui la vita in quanto tale, si manifesta nell'esperienza schizofrenica.
A proposito di questo, nel passaggio dalla trasformazione della fenomenologia in ermeneutica, Ferdinando Barison offre una citazione importante: “Nel dialogo ermeneutico non ci sono un soggetto ed un oggetto, ma c'è l'incontro di due orizzonti, che si fonde su di un orizzonte nuovo, costituito dal cambiamento di entrambi nel momento dell'interpretazione: si verifica un “aumento di essere” come dice Gadamer” ; e ancora” bisogna ricordare che l'essenza dell'esame clinico è l'ascolto, che può essere anche ascolto in silenzio del silenzio, nel mirabile nuovo orizzonte che abbraccia due orizzonti”.
L'esperienza schizofrenica, come scacco dell'intersoggettività e della comunicazione, riporta alla dimensione concreta dell'esistenza che sa sconfinare nel pozzo dell'incomunicabilità, potenzialmente in grado di sbarrare qualsiasi dialogo e colloquio. In realtà il dialogo continua nel silenzio della comunicazione condivisa e le manifestazioni psicopatologiche (l'esperienza delirante e quella allucinatoria, l'esperienza dell'estraneità dell'Io, del mondo e del corpo) a livello contenutistico rimandano all'esigenza effettiva di dialogo e di trascendenza.
La valenza che il silenzio assume nella capacità e nel desiderio di stare uno-accanto-all'altro conferisce importanza a quella sofferenza del paziente schizofrenico che deriva dalla sua incapacità di stare con e senza l'altro
La modificata costituzione intersoggettiva dell'esperire schizofrenico, porta alla formazione di una Eigenwelt, di un “mondo” privato, autonomo, con una propria significazione umana anche all'interno di una irrealtà immaginaria e di una solitudine artistica, spiccatamente propria di ogni Lebenswelt schizofrenica, benché in essa sia comunque presente una forte nostalgia di incontro e di contatto affettivo, di apertura alla speranza.
Nel contesto di una psichiatria fenomenologia ed ermeneutica, rinasce la possibilità di prendere maggiormente in considerazione un discorso sulla vita emozionale (sui desideri, le angosce, le paure, gli affetti) e rinasce la legittimità umana e scientifica ed etica che riconduca la psichiatria alle sue fondazioni emozionali.
Nell'esistenza schizofrenica, ci sono diverse ramificazioni nei modi di vivere e di esprimere le emozioni; l'essenza della clinica sta nel cogliere queste evoluzioni nascoste e mimetizzate, nonché importanti risorse interiori anelanti di essere riconosciute ed accettate dall'ambiente circostante, tali correnti emozionali ovviamente si inaridiscono se private dell'incontro e dell'interazione interpersonale.
Risulta questo punto pressoché inverosimile non essere sconvolti, nell'hic et nunc della relazione, della sensibilità emozionale, del desiderio bramoso di ascolto e della inaspettata disponibilità a cogliere il senso inatteso di eventi esistenziali, che si delineano negli orizzonti della Lebenswelt schizofrenica.
È necessario prendere in considerazione allora, da una parte, l'estrema singolarità dell'esperire schizofrenico, e dall'altra, le modalità con le quali ogni gesto emozionale o meno, possono venire accettate o rifiutate.
In questo senso, nella schizofrenia sia la vicinanza eccessiva sia l'eccessiva lontananza vengono vissute con grande incombenza di pericolo e di aggressione, come una sorta di oggetto persecutorio insomma.
Tale contraddizione carica di angoscia aumenta esponenzialmente nel senso che il paziente schizofrenico, se non può sopportare l'esperienza di una vicinanza per lui incombente, non può nemmeno tollerare quella della lontananza: nella misura in cui questa viene ad includere l'effettivo venire meno di qualunque reciprocità di comunicazione e quindi della caratteristica solitudine a cui prima ci si riferiva.
Questa straziante condizione di offerta e di smentita, di apertura e di chiusura, di desiderio e di rifiuto, connotano propriamente la modalità di esperire schizofrenica.
Ritornando al concetto pregno di significato di solitudine artistica, è d'uopo sottolineare che la crisi dell'intersoggettività non prescinde assolutamente da un'altrettanta e non meno grave disintegrazione radicale della soggettività dell'individuo. L'autismo è quell'atteggiamento schizofrenico che vive il mondo altro come un'immensa immagine speculare del Sé psicotico. Il mondo perde la sua pregnanza oggettiva e diventa indistinguibile; ecco che allora gli oggetti diventano parti dell'individuo stesso, ergo l'individuo si sente destinato ad incontrare sempre se stesso. L'indifferenza al mondo esterno, al mondo oggettivo, viene vissuta dallo schizofrenico in modo persecutorio e colpevole. “Specchiandosi”in questo alieno mondo oggettivo, lo schizofrenico è come se vi intravedesse il proprio Sé straniato, che gli si rivolta contro in senso distruttivo e che crea una dilagante confusione tra le connessioni del pensiero e la percezione di Sé. La natura demolitiva del ritiro autistico, si percepisce dalle resistenza attive e subitanee imposte dal paziente schizofrenico a chi entra in relazione con lui attraverso il proprio mondo consensuale ed obiettivo.
Proprio in contemplazione di tali struggenti dinamiche la dimensione dell'incontro diventa così radicalmente importante e pregna di significato. Bruno Callieri (1984) scriveva: “ Se la neutralità emozionale restasse come una modalità di esperienza, essa renderebbe impossibile ogni dialogo con il paziente ed ostacolerebbe seriamente ogni tentativo di recupero dell'alter nascosto nell'alienus da esso sommerso”. Un tale saper accettare l'altro principalmente come essere umano, sotto qualsiasi forma egli si presenti, costituisce la condizione preliminare per un incontro propositivo sul piano psichiatrico e psicologico.
Il Dasein dell'operatore viene ad accostarsi al Dasein del paziente schizofrenico annunciando la nascita di un Mit-dasein pregno di significanza che concede un confronto con le dimensioni sociali, interpersonali proprie di quel mondo così diverso e profondo, e permette un'analisi più agevole delle condizioni storico-vitali patogene alle quali è legata la possibile insorgenza schizofrenica.


4 Bibliografia

  • Barison F. -Comprendere lo schizofrenico, in "Psichiatria Generale e dell'età evolutiva", 1987 pp.3-13
  • Benedetti G- Peciccia M., Sogno, inconscio e psicosi, Métis 1985
  • Borgna E., Come se finisse il mondo- il senso dell'esperienza schizofrenica- Feltrinelli, 1995
  • Callieri B., Quando vince l'ombra, Città Nuova, 1984
  • Horacio Etchegoyen R., I fondamenti della tecnica psicanalitica, 1986
  • Minkowski E, La Schizofrenia, Einaudi 1998
  • Pessoa F., Una sola moltitudine, a cura di A. Tabucchi, Adelfi, 1979
  • Resnik S. , Persona e psicosi, Einaudi 1976