Sogno e psicosi, sogno o psicosi (Revue Française de Psycoanalyse, vol. XL, Genn.Febb. 1976) Traduzione del dr. A.M. Favero Sogno e delirio: analogie formali La funzione onirica negli psicotici Sogno contro psicosi 2 - Frammenti Clinici 3 - Spazio del Sogno e Spazio della Psicosi: Spazio e Schermo del Sogno Conclusione: essere o avere un sogno Se il delirio e' un sogno che prende ad abitare nella realtà, resta da chiedersi perché delirare invece di sognare? Vorrei dimostrare che il processo onirico e il processo psicotico, pur percorrendo strade simili, procedono in senso contrario. Si tratta innanzitutto di specificare perché delirare non e' sognare. Cosi', uno sguardo simultaneo sui processi del sogno e della psicosi, può chiarirli meglio entrambi. 1 - Rassegna preliminare I lavori psicoanalitici (in particolare Freud) considerano due prospettive: a) il confronto tra sogno e stato psicotico b) lo studio della funzione onirica nei processi psicotici a) Sogno e delirio: analogie formali La tradizione psicopatologica (in particolare quella francese, Moreau de Tours, Ey, Lasègue, ecc.) ha saputo trovare nel sogno la forma e la struttura del delirio. Anche Freud "nell'interpretazione dei sogni" ha ripreso questa analogia e, anche successivamente, gli studi psicoanalitici sul delirio hanno sottolineato come, al pari dei sogni, anche i sintomi siano una "via regia" per accedere all'inconscio (cfr. Nacht e Racamier,1958). Il delirio per costituirsi, impiega gli stessi processi di condensazione, spostamento, simbolizzazione, proiezione, ecc. che sono all'opera nel lavoro onirico. Il sogno sa dividere e sa condensare: queste caratteristiche del sogno si ritrovano nel delirio in cui il soggetto si rappresenta in un'altro e, talvolta, in tanti altri. E' cosi' che la proiezione si incarica di comporre in immagini tante tendenze o stati del soggetto. Egualmente, bisogna talvolta cercare in numerosi oggetti d'identificazione le parti disperse della psiche di uno schizofrenico. Si ritroveranno poi anche nel delirio le stesse differenze che vi sono fra semplici sogni e incubi. Infine l'analogia ci deve far cercare cio' che equivale ai "resti diurni". Ma, come nota Federn, mentre il vero sognatore non ha il minimo dolore nel ricordare i contenuti anodini e recenti che il suo sogno ha radunato nel proprio tragitto regressivo, il delirante mette invece in causa una rimozione della realta'. Se l'analogia tra sogno e delirio si rivela appropriata per gli accessi deliranti acuti e subacuti (onirici e oniroidi), ci mette in difficoltà per i deliri consolidati (paranoidi e paranoici). Al riguardo, nella "Meta-psicologia", Freud sottolinea come la proiezione immaginativa del sogno sia tutt'altra cosa della proiezione da cui deriva il sentimento persecutorio. In questi casi, il riferimento al sogno non risulta essere più utile di qualsiasi altro riferimento al sintomo nevrotico e no. Il sogno è una "via regia" ma non è l'autostrada riservata ai deliri. L'analogia tra sogno e delirio è troppo bella per poter essere veramente utile ma ci porta comunque a due domande essenziali : Se sognare e delirare sono la stessa cosa, perché a taluni non basta sognare? E se, d'altra parte, il sogno è guardiano del sonno, di che cosa è guardiano il delirio. b) La funzione onirica negli psicotici. Più direttamente clinica, la questione è quella di sapere che ne è dei sogni degli psicotici. Il fatto più rilevante è che oggi non ne si sa molto di più di quanto ne sapeva Freud, nonostante oggi gli psicotici in trattamento analitico siano più numerosi di un tempo. Le osservazioni al riguardo si dividono in due parti: - I) Freud aveva trovato due singolari eventi clinici. a) Un paziente, prima di delirare, fa un sogno il cui contenuto manifesto prefigura il suo delirio. Questo tipo di sogno premonitore applica la regola secondo cui per quanto riguarda la vita psichica del soggetto l'Io del sogno la sa sempre più lunga del Conscio. Katan ritiene che il sogno premonitore del delirio sia un tentativo dell'Io di contenere ed amministrare l'emergenza delirante. Il sogno diviene allora l'ultima prova d'appello contro la psicosi. Molti sono i casi in cui tale prova d'appello fallisce. Questi casi sono diversi da quelli in cui un sogno fornisce dei contenuti che saranno poi ripresi dal delirio (si veda l'esempio letterario della Gradiva e quello patologico di Schreber) e che sono talvolta sentiti dal paziente come un'istigazione a delirare, istigazione non molto diversa dall'impressione, talvolta corretta, che si può provare al risveglio quando si sente di aver risolto un problema mentre si dormiva. Ma, nel delirante, il sogno sarà immediatamente inserito nel tema d'influenzamento. Quest'ultimo caso è da riferirsi al fenomeno delle idee deliranti post-oniriche. b) Un delirante fa un sogno il cui contenuto manifesto, del tutto normale, contrasta nettamente con le convinzioni che egli ha durante la veglia. Al proposito, Freud riferiva il caso di un soggetto che di giorno delirava ma in sogno pensava normalmente, proprio il contrario di quello che (come tutti noi) si regalava ogni notte un delirio tra le parentesi del sogno. Si può vedere in questi fenomeni un'illustrazione della divisione dell'Io tra un funzionamento psicotico e un funzionamento nevrotico (Cfr. Katan più oltre). - II) Nella maggior parte delle psicosi a lungo decorso (allucinatorie e no) lo stato della funzione onirica è molto incerto. Soprattutto gli schizofrenici fanno raramente dei sogni ricordati e raccontati come tali. A volte, ci presentano come sogni quelle che sono delle "reveries" che proseguono di giorno o di notte in stato di veglia e di controllo a scapito dell'inquietante sonno che consentirebbe di sognare veramente. D'altra parte, un materiale chiaramente delirante si può rivelare generato da un sogno di cui il delirio si è rapidamente impossessato, oppure, come si è già visto, il sogno è distinto ma viene recuperato dal delirio per essere attribuito all'influenza delirante. Gli stati limitrofi del sonno (ipnagogici e ipnopompici) contengono matrici deliranti discrete e ripetute che divengono dei focolai di suffusione psichica (per esempio quando Schreber pensa che sarebbe bello essere una donna). Federn sottolineava come questi stati incerti dell'Io, tra veglia e sonno, dove le frontiere dell'Io sono particolarmente porose, costituiscono per gli schizofrenici delle inesauribili riserve per le loro formazioni deliranti. Secondo la sua idea dell' "igiene dell'Io" nella schizofrenia, Federn preconizzava di colmare proprio queste zone, questi momenti emorragici. Negli schizofrenici, i sogni appaiono privati di spazio proprio. Non sorprenderà dunque che il riapparire di sogni in quanto tali nel materiale di questi malati è sempre segno di miglioramento e di riorganizzazione delle loro funzioni mentali. - III) Si è finora considerata l'assenza di sogni e l'indecisione del sognare, ma tutti gli psicoanalisti sanno di una categoria di sogni che si usa chiamare "psicotici". Sono sogni drammatici d'aggressione selvaggia, sanguinante, sbranata e disumanizzata, sogni in cui l'oggetto è frammentato, sogni che talvolta angosciano il malato e sempre turbano, in sua vece, lo psicoanalista. Questi sogni "psicotici" sono fatti raramente da psicotici conclamati, sono piuttosto sogni di prepsicotici prossimi a piombare in un accesso psicotico. Prefigurano dunque l'irruzione psicotica, o meglio il tentativo di preservarsene mollandone la zavorra attraverso il sogno. Sono sogni che fanno da guardiani non solo al sonno ma anche all'integrità psichica. Tutto ciò riguarda anche i casi al limite e gli isterici ma, per questi ultimi, tali sogni (pseudo-psicotici) non hanno ne' la crudezza; ne' la cruenta glacialità di quelli descritti prima. Negli isterici l'oggetto non è frammentato bensì parziale e obbedisce; allo stile tipicamente isterico di lasciarsi affascinare dalle zone erogene e prendere la parte per il tutto. Infine, le scene cruente sono delle scene primitive in cui la violenza è chiaramente erotizzata. Insonnia, non si tratta ne' di sogni di psicoti ne' di "sogni psicotici". Occorre invece attribuire un valore veramente inquietante a dei sogni spesso incubi che non arrivano alla fine, voglio dire alla fine della funzione onirica (Fain e David, 1963) cioè che non riescono a formalizzare l'elaborazione fantasmatica delle pulsioni e dei conflitti inconsci. Si tratta di sogni di volta in volta molto densi o molto poveri, che traducono in immagini un'angoscia d'annientamento che non riescono a metabolizzare. I loro parenti più prossimi sono i terrori notturni. Eissler (1966) e Mack (1969) hanno sottolineato come questi sogni d'aspetto traumatico, che traducono l'angoscia ma non riescono a metabolizzare il conflitto che la genera, sono, propriamente parlando, dei sogni pre-psicotici. Così, ci appare come vi siano due fallimenti legati al dominio psicotico: il fallimento dello spazio specifico del sogno e il fallimento della funzione onirica. c) Sogno contro psicosi (Katan) Katan ha saputo studiare come si oppongono tra loro due processi (sogno e psicosi) che sembrano, a tutta prima, simili. Il suo contributo ha rinnovato e arricchito la concezione freudiana del processo psicotico. Nel normale sonno, l'Io ritira in modo reversibile i suoi investimenti oggettuali. L'Io di chi dorme si separa dal mondo esterno ma non si confonde con esso ne' lo perde. E' in questo stato che si produce il sogno, con la minima mobilitazione di energia psichica. L'Io rinuncia ad usare quei processi secondari di pensiero che produrrebbero il risveglio e accorda qualche piccola soddisfazione all'Es allo scopo di evitare il risveglio. In tutto ciò, l'Io rimane padrone. Non altrettanto avviene nel processo psicotico che si svolge nelle due fasi successive descritte da Freud: all'iniziale affondamento dell'Io segue un ristabilimento attraverso il delirio. L'affondamento dell'Io non ha riscontri ne' nel sogno ne' nei processi nevrotici, intacca l'Io nella sua stessa esistenza, tagliandolo fuori dalla realtà. Ed è proprio il legame con la realtà ciò che l'Io tenta di ristabilire in quanto tale legame è condizione della sua stessa esistenza. All'origine di questa situazione catastrofica vi è un violentissimo conflitto in cui l'Io è stato squartato tra le pulsioni e la realtà. Le abituali difese di tipo nevrotico hanno fallito. E' quindi per risolvere le conseguenze di questo conflitto e per ristabilire un vitale contatto con la realtà, che l'Io passa per la traiettoria psicotica, quella traiettoria che comporta una regressione allo stato di confusione tra l'Io (portatore di realtà) e l'Es, in un registro dove prevalgono i meccanismi primari di proiezione e introiezione. Il solo modo per rimettere la realtà al suo posto, per ristabilire un legame con essa e per alleggerire la pressione pulsionale, è quello di evacuare la pulsione nel mondo delle realtà esterne. E' così che si costituisce il delirio e nascono le allucinazioni. Queste ultime rappresentano degli scarichi pulsionali diretti, come se l'Io inviasse l'Es nella realtà allo scopo di sbarazzarsi dell'Es salvaguardando la realtà. Infatti, anche nella psicosi, lo scopo prioritario dell'Io è di preservare il suo contatto con la realtà e non di sbarazzarsene. Nella psicosi, cambierà la natura e la qualità della realtà ma senza perdere la realtà e questo processo è qualcosa di diverso dal "ritorno del rimosso" che troviamo nelle nevrosi. L'immagine del sogno è un affare dell'Io, l'allucinazione psicotica proviene invece direttamente dall'Es. Quello che bisogna capire è che la formula psicotica obbedisce al principio di sopravvivenza, mentre la formula onirica o nevrotica, mirando alla realizzazione del desiderio, obbedisce al doppio principio del piacere e dell'economia. Katan e io(Racamier, 1958) abbiamo in effetti sottolineato entrambi il carattere vitale che, per l'Io, riveste la "soluzione" delirante. Tuttavia Katan introduce un'importante precisazione: il movimento profondamente regressivo, più drasticamente restitutivo che si è appena descritto, ingaggia l'Io solo nella parte riguardante il conflitto patogeno. Per il resto, l'Io conserva il suo funzionamento nevrotico. Coesistono quindi due modalità di funzionamento. Ciò fa comprendere il fenomeno, a prima vista paradossale, per cui un sogno (che obbedisce al principio economico che sostiene la funzione onirica) può coesistere con delle produzioni allucinatorie (che obbediscono invece al principio di sopravvivenza che sostiene la funzione delirante). Non è malgrado le allucinazioni che il sogno riacquista i suoi diritti, ma è grazie ad esse. Se sogno e delirio sono fratelli, sono dei fratelli avversi. Abbiamo appena visto la loro antinomia e ci ritorneremo. Per esaminare più da vicino la questione, occorre disporre di un'osservazione in cui l'Io sia solamente sfiorato dalla psicosi: è il caso dei seguenti frammenti clinici. Annie ha dei genitori che se si fossero proposti di psicotizzare scienti-ficamente la loro figlia, non avrebbero certamente potuto agire meglio di così. Ciò che ha caratterizzato l'infanzia di Annie coi suoi genitori è il fatto che non le apparteneva nulla e nulla era lasciato a sua disposizione. Ne' tempo libero, ne' giochi, ne' oggetti, ne' nome, ne' sesso, ne' mondo personale. Per una sorta di processo complicato ma coerente nella sua assurdità paradossale, i genitori sembravano impedire ad Annie di sviluppare una vita psichica interiore. Dunque, il registro del fantasma, del sogno, dell'immaginario e del gioco fu sentito da Annie a volte come proibito, a volte come pericoloso ma comunque da reprimere con forza. Come vedremo, ella sognava molto poco e non aveva attività immaginative consce. Solo dopo molto tempo dall'inizio della cura, ella pervenne ad effettuare su di me dei fantasmi visualizzati che, ai suoi occhi, mi trasformavano e che la terrorizzavano. Alcuni di questi fantasmi erano portatori di un'aggressività che ella sentiva come mortifera, altri erano molto banali ma la terrorizzavano egualmente. Che ella potesse modificare la mia realtà tangibile attraverso delle immaginazioni, era qualcosa che le pareva attentatorio. Tutta la sua attività psichica interiore era potentemente controinvestita, mentre i contenuti positivi, il suo talento e le sue conoscenze subivano un contro-investimento relativo: ella li usava ma a patto di non sentirli veramente come suoi, erano insomma "impersonalizzati". Per sua fortuna Annie era stata in parte allevata da uno zio e una zia molto severi e capricciosi ma con i quali il suo giardino interiore aveva potuto un po' fiorire. Fu proprio mentre era da loro (a 34 anni) che cominciò a fare un incubo terrificante che si ripeté spesso e per molto tempo. Si può appena dire che fosse un sogno molto poco elaborato e molto vicino al terrore notturno: ella vedeva una palla chiara che si allontanava e diminuiva, sempre più inaccessibile, inghiottita da una massa scura che l'inglobava. Poco prima che sparisse, la bambina si svegliava terrorizzata, le braccia tese nello sforzo sempre vano di afferrare la palla bianca. Per scappare da questo sogno, dormiva pochissimo. Sveglia di notte, cercava di rassicurarsi e di ricostruirsi riponendo degli oggetti in una scatoletta. Comunque, Annie crebbe e riuscì negli studi. Sotto la coltre della difesa spersonalizzante, ella poté sviluppare un'attività professionale in cui eccelleva, una vita sociale limitata che si allargava e si arricchiva col procedere della cura. La cura era stata motivata da una serie di accessi psicotici evoluti in un'angoscia intensa tra la depersonalizzazione grave e lo stato oniroide allucinatorio. Nel corso della cura, che si svolse vis à vis, gli accessi non ricomparvero ma si modificarono. E' così che capita ad Annie di "cadere nel nero". Da quello che racconta, si potrebbe dire che ella cade e che dorme. Infatti piomba a terra lì dove si trova, oppure, se ne ha il tempo, si butta nel letto e affonda nell'assenza, un'assenza che dura qualche ora e, più spesso, un paio di giorni. Sembra proprio che dorma ma lei non sente questa assenza come un vero e proprio sonno. Sarebbe meglio parlare di un letargo dal quale si risveglia con molta fatica e le occorre del tempo per ritornare completamente in sé. Prima di cadere nel "nero", è estremamente angosciata: tutto le sfugge, tutto può accadere. Da quello che abbiamo potuto capire, accade che lei affondi così qualche ora dopo essere stata assalita da un fantasma d'aggressione verso un oggetto d'amore (madre, padre, zia, analista), un fantasma cosi' terrificante che ella "perde il filo" di se' stessa e lo ritrova, con grande pena, solo dopo essere uscita dal "nero". Il "nero" più nero che, per quanto ne so, ella attraversò, fu dopo aver sentito, alla fine di una seduta, che poteva distruggermi, sebbene il vissuto immediato fu ineffabile, impensabile e indicibile, e il suo contenuto nonché il suo carattere fantasmatico non furono ricostruiti che successivamente. Dopo questo episodio, e il lavoro che fu fatto nella cura, le cadute nel "nero" divennero più rare, più brevi, meno improvvise, più controllate. Lo stesso "nero" è diventato meno nero. Occorre specificare che le cadute di Annie non avevano nulla di epilettico e nemmeno di isterico (più oltre ne verrà considerata la differenza economica, topica e dinamica), erano semmai più prossime ad una catatonia catalettica. In realtà si trattava di una rottura degli investimenti, come potrebbe accadere in una casa che piombasse improvvisamente nel buio perché "salta la luce" a causa di qualche apparecchio che assorbe troppa energia. Con la dovuta cautela nell'usare questa metafora, si potrebbe parlare di un afflusso pulsionale pericoloso che va oltre la capacita che l'Io può sostenere. D'altra parte, anche se una casa è al buio, i mobili possono pur sempre essere toccati, mentre nel caso di Annie tutti gli investimenti erano slegati e spezzati. Più nulla rinviava a nulla ed è per questo che la paziente parlava di "nero" che e un colore che non rinvia alcun irradiamento. Un buco dunque (e la paziente ha anche parlato di un buco nero), un buco nella continuità della relazione oggettuale che garantisce la continuità della relazione col mondo. Questa paziente cade nel buco nero di un'assenza letargica per avere slegato catastroficamente i suoi investimenti, in quanto un 'oggetto privilegiato è stato minacciato di distruzione da parte delle pulsioni aggressive. Questo buco, questo "nero", è qualcosa di diverso dal sonno, e non è nemmeno un sonno isterico in cui vi sia una massiccia rimozione di una rappresentazione eccitante, rimozione che interessa una funzione dell'Io (la funzione della veglia) ma non modifica affatto la struttura del funzionamento psichico. Per queste ragioni, il sintomo "sonno" avrebbe un senso metaforico, in quanto risulterebbe dalla rimozione riuscita della rappresentazione temuta, sarà "lavato" da ogni angoscia. Questi ben noti caratteri della difesa e del sintomo nevrotico (Freud, 1926) non si ritrovano nella "caduta nel nero" di Annie. La rappresentazione, più che rimossa è cortocircuitata: il filo è rotto, il sintomo non ha valore metaforico (e i paragoni che ho potuto fare non sono affatto delle metafore, essi cercavano solamente di spiegare o di illustrare, ma non interpretavano nulla). La protezione contro l'angoscia, che è enorme, resta aleatoria, ed è questo che fa distinguere la difesa di tipo psicotico da quella di tipo nevrotico. Da questo "sonno" letargico, vuoto e senza schermo, non possono evidentemente uscire dei sogni in quanto tali. Una volta Annie è caduta nel "nero" dopo una visita alla zia, visita che aveva lo scopo di sanare un conflitto tra la zia e la madre. Al ritorno, un'amica le disse che aveva il viso sconvolto. Ella capì che stava per cadere nel "nero" e si potè un po' preparare: quella volta il nero fu meno nero del solito. Quando ne uscì, aveva visto un'immagine. Non è importante quale fosse quest'immagine (era una gerla intrecciata) che si collegava a un favore che le aveva chiesto la zia, uno dei mille favori assurdi che questa aveva l'abitudine di esigere. Annie aveva visto ma ignorava in quale registro ciò fosse accaduto. Lo seppe solo dopo un'attenta riflessione: certi dettagli dell'oggetto veduto la obbligavano logicamente a concludere che era qualcosa che non esisteva nella realtà, quindi non poteva essere altro che un'immagine onirica. La paziente aggiunse che trovava molto faticoso quel punto di cucito (per fare la gerla intrecciata). In effetti, qualche tempo dopo, cadde di nuovo nel "nero" e si vide morta. Di conseguenza ella si disse che doveva morire. Un fantasma aveva assunto il valore di una realtà imperativa. Va sottolineato che l'immagine vista dalla paziente durante il suo pseudo-sonno (determinato dalla completa rottura degli investimenti) aveva la costruzione di un'immagine onirica ma non possedeva per nulla il fondamento dell'immagine di un sogno. Proprio per palliare questa carenza la paziente fu obbligata a rimettere la sua immagine onirica alla prova della realtà. Pur essendo onirica, questa immagine non era nel registro del sogno. Intanto il processo terapeutico progrediva. Potemmo guadagnare del terreno sulla paura di Annie per tutte le attività fantasmatiche e rappresentative in se stesse. Fu così che si mise a fare dei veri sogni. Ne riporterò solo il primo di una serie feconda. Sogno: Si trova in una casa tutta di ferro, con una sequenza di stanze separate da porte chiuse a chiave. La chiave è su ciascuna porta, a volte dalla parte giusta, a volte dalla parte opposta, ma in questo caso basta rompere un vetro per prenderla. Fuori c'è sua madre (accompagnata da un provveditore agli studi) che la segue stando però all'esterno. Annie corre di stanza in stanza per distanziarli e riesce ad arrivare per prima in un luogo chiuso e in penombra in cui la madre non può raggiungerla. Annie si sente felice di questo sogno che esaudisce il suo desiderio di proteggere la propria vita psichica dalle intrusioni materne (il provveditore rappresenta a volte il padre e a volte la nonna, "due persone della stessa razza"). L'analista aveva già spiegato e sostenuto questo desiderio di Annie di avere qualcosa per sé, desiderio ostacolato dalla madre e rappresentato nel sogno attraverso le immagini della casa. Annie pensava anche alla storia dei tre porcellini divorati dal lupo, eccetto quello che aveva costruito la sua casa in mattoni. Lei, ancora più prudente, l'aveva fatta di metallo. In quanto allo stanzino in penombra, questo merita una particolare attenzione che rende necessario uno sguardo retrospettivo: non ci si vede nulla, si tratta dunque di un buon nascondiglio. Annie si concede uno spazio inviolabile in cui nascondersi senza paura ma non può ancora permettersi di godere di tali ricchezze. E' così che si instaura un compromesso tra l'intrusione materna e quel "qualcosa per sé" della paziente, in altre parole, tra il SuperIo materno e la libido dell'Io. Questo stanzino in penombra mi fa pensare al sintomo della paziente che consiste nel "cadere nel nero". L'ultimo di questi episodi si era prodotto in forma attenuata poco tempo prima del sogno. Quella volta era apparso chiaramente che il "nero" arrivava tutte le volte in cui Annie avrebbe voluto essere sola e libera nei suoi pensieri. Nulla le appariva più estraneo del poter essere sola con se stessa. E' quindi evidente la parentela genetica tra il sogno infantile in cui una massa nera fagocitava la sfera luminosa, gli episodi catalettici di "caduta nel nero" e quello stanzino in penombra nel quale terminava il sogno. Così, questo stanzino in penombra, oscuro (ma non nero), si sostituisce al buco nero e può formare una nuova rappresentazione di quella aspirazione essenziale che non poteva chiudersi se non in una vertiginosa caduta senza fondo. Il sogno di Annie, nella sua ultima parte, rappresenta uno spazio inviolato in cui sognare. A causa di un compromesso (nuovo per la sua esistenza) questo spazio è ancora in penombra ma i sogni successivi faranno uso di uno spazio libero. Certamente questi sogni successivi mostreranno dei personaggi di forma infantile simili a dei fantocci o a dei corpi amebiformi, ma questa specie di amebe, come nota Annie, restano intatte, cioè non si divorano a vicenda. Da questo momento si può prevedere che Annie ha recuperato uno spazio interiore per dei fantasmi e dei sogni, uno spazio che non si staccherà più da lei. A questo punto, il rischio di un'emergenza psicotica allucinatoria o vuota è ormai passato. Il senso del sogno, lo scopo del sogno, la tecnica del sogno sono cose che si conoscono bene e poco o nulla e' stato aggiunto "all'Interpretazione dei sogni". Qualcosa di piu' lo si e' saputo riguardo alla funzione del sogno ( cfr.Fain e David). Specialmente a partire dai casi in cui il sogno fallisce, la funzione onirica appare in tutta la sua importanza e necessita'. Ricordiamo come le organizzazioni psicotiche siano caratterizzate dal fallimento della normale funzione onirica. La psicoanalisi si e' innanzitutto occupata delle persone nelle quali la funzione onirica si svolge pressoché normalmente, ma negli ultimi decenni, il campo clinico della psicoanalisi si e' esteso alle nevrosi gravi, alle sindromi marginali, alla pseudonormalita', alle psicosi, alle malattie psicosomatiche, ecc., tutti i casi in cui la funzione onirica e' insufficiente, incerta o carente. Cosi' l'attenzione si e' rivolta alla capacita' di sognare e ora sappiamo che l'incapacita' di sognare (totale o transitoria oppure parziale e durevole) denota una grave perturbazione, carica di conseguenze patologiche. Dalla capacita' di sognare ,l'attenzione si e' spostata sull'apparato del sogno ( o, se si vuole, sul sognare). "Schermo del sogno" e "spazio del sogno" sono nozioni relative all'apparato del sogno. A) Dello spazio e dello schermo del sogno,ovvero della loro effrazione 1)Bisogna partire dalle proposizioni più elementari: l'attivita' onirica e' una cosa e il sogno un'altra cosa( cio' vale anche se non si parla dell'attivita' onirica durante il sonno ma anche se ci si riferisce alle differenze tra sogno e onirismo psicotico). Va da se che la produzione del sogno non va senza attivita' onirica (benche' si possa al limite concepire un sognare senza sogno) ma, comunque, l'inverso non è pensabile. L'attività onirica non equivale necessariamente alla produzione di un sogno. Per esempio, nel caso di Annie, la patologia effettua un taglio e, in seguito, una chiarificazione che il normale funzionamento non permette mai di distinguere. Potrebbe sembrare paradossale affermare che l'attività onirica non è una condizione sufficiente per fare un sogno (e non è forse neanche una condizione necessaria), ma è una tesi che si incontra in certi lavori psicoanalitici senza bisogno di trovare conferma nella neurofisiologia del sogno e del sonno. Questa tesi, formulata da Hartmann e ripresa da Diatkine, potrebbe essere riassunta dicendo che il sogno è ciò che si racconta quando ci si risveglia dalla propria attività onirica. Questo concetto non va però ridotto alla differenza banale, e ben nota, tra il sogno ricordato e il sogno dimenticato. Freud notava che il sogno perfetto, quello che compie al meglio la sua funzione di guardiano del sonno, è un sogno che passa senza farsi affatto scorgere, e a noi possono pervenire solo i sogni relativamente non riusciti. Gli uni e gli altri sono comunque dei sogni, o meglio, arrivano ad essere dei sogni perché partono per esserlo. Non è solo al momento dell'arrivo ma è sin dalla partenza che il sogno s'impegna e si inscrive nel registro che gli è specifico. 2) Questa annotazione solleva due questioni: quella del sonno e quella della prova di realtà. Se il sogno si da di primo acchito come tale, se fin dall'inizio porta con sé il suo marchio di nascita, come il racconto che si fa di questo avvenimento interiore che costituisce l'attività onirica, questo marchio gli resterà al risveglio. Quando al mattino la piccola Anna racconta fieramente che si è mangiata tutta la torta alle fragole, si può pensare che ella sappia, per averlo sempre saputo, che questo felice avvenimento s'era prodotto nel registro di una realtà tutta interiore. Non c'è bisogno di pizzicarsi per dirsi al risveglio che si ha sognato. Il registro specifico del sogno è un'evidenza vissuta, la prova di realtà non fa,, all'occorrenza, che aggiungere un'ultima mano complementare, più vigorosa solamente nei casi in cui il sogno tenda ad imporsi con l'insistenza del desiderio che soddisfa. Il sogno non richiede necessariamente la prova di realtà per farsi immediatamente riconoscere come tale. E' ciò che appariva nell'osservazione di Annie quando l'abbiamo vista uscire da un sonno che non era il sonno dove si sogna, con una immagine nata non da un vero sogno ma da un'attività onirica. Immagine costruita, è vero, secondo i processi del sogno ma deprivata delle proprietà specifiche del sogno. Annie ha dunque dovuto affidarsi ad una laboriosa prova di realtà per poter infine arrivare a riconoscere a questa immagine onirica il carattere d'illusione che di solito il sogno si porta in faccia. Questo lavoro si è svolto nel mio studio. Annie è stata come una cieca obbligata a palpare gli oggetti per riconoscerli nella loro forma e tessitura, quando invece al vedente basta un solo colpo d'occhio. In breve: ella ha dovuto fare un lavoro in più. In questo caso si trattava di un'operazione isolata e puntiforme. Immaginiamo quindi a quali sforzi e a quali lavori di prova di realta' i soggetti pienamente psicotici devono incessantemente affidarsi. E' da rilevare come essi non manchino a questo lavoro, anzi, ne abbiano da fare tanto di più. E' dunque da rivedere il concetto secondo cui l'esame di realtà è ciò che più manca agli psicotici. Ma se la psicosi impone tanto lavoro sull'esame di realtà è perché nel funzionamento psicotico il letto del sogno non è preparato. Pur avendo, come tutti, un'attività onirica, gli psicotici non sono, ciò nonostante, delle persone che sognano. 3) Siamo giunti alla relazione essenziale tra sogno e sonno. Sappiamo che si sogna perché si dorme e che si sogna per continuare a dormire. Ma quale dormire? Se diciamo "non basta avere un'attività onirica per sognare", si potrebbe aggiungere "non basta dormire per esser nel sonno". Per esempio, abbiamo visto che per Annie nessun vero sogno poteva entrare nel suo "sonno nero". Il proverbio dice: "come ci si fa il letto, così ci si corica", ma noi potremmo aggiungere che come ci si addormenta così ci si "insogna". Ricordiamoci dunque quel che sappiamo dello stato di sonno, del sonno vero, quello a cui si accorda il sogno. Se l'investimento conscio degli oggetti percepibili è ritirato, l'investimento pre-conscio delle rappresentazioni non è però estinto. Quando si entra nel sonno si estingue il radar orientale verso gli oggetti percepibili o esteriori ma non si estingue il radar orientato verso le rappresentazioni preconsce che sono allora "potenzialmente illuminabili" e ciò che le illumina è, come si sa, la spinta di un desiderio inconscio. Nel vero sonno, colui che dorme, ritirando gli investimenti oggettuali, si addormenta contro di essi (allo stesso modo in cui il viaggiatore si accosta e s'addormenta contro la sua borsa da viaggio), li deposita ma non li perde, il mondo è disinvestito ma non è disinvestita la rappresentazione preconscia della sua esistenza. Tutti sanno che non si dorme mai da soli: si dorme contro il corpo diffusamente investito della madre primitiva. Pre-investimenti latenti delle rappresentazioni preconsce, investimenti diffusi del corpo della madre primitiva e accogliente, in questi concetti cogliamo i lineamenti economici di quello schermo vacante del sogno che è stato descritto da Lewin preoccupandosi un po' troppo di concepirlo come un sottoprodotto metaforico del latte materno. E' dunque su questo sfondo e su questo sonno che interviene l'attività notturna, onirica, da cui procede il sogno. E' solo nel "sonno" nero e senza sogni come quello in cui cade Annie che si produce un completo disinvestimento del mondo e del Sé. Nel sonno in cui si può sognare, invece, gli investimenti sono deposti ma non sono rotti. Quel che appare allora nella psiche è un investimento specifico, minimo, continuo, stagnante, informale. Non mira a nessuno in particolare ma a tutti, mira all'oggetto e al Sé, o meglio, all'oggetto e al Sé riuniti nella soddisfazione del desiderio appagato. (Si sa che i neonati si addormentano dopo la poppata e gli uomini dopo l'amore). Questi investimenti minimali sono conformi alla nozione di "schermo del sogno" introdotta da Lewin. L'investimento minimo informale della realtà e dell'essere, manca agli psicotici sia di giorno che di notte. Secondo le tesi di Winnicott, questo investimento minimo e diffuso corrisponde all'interiorizzazione di quella relazione particolarissima che consiste nell'essere soli seppure vicini e in presenza dell'oggetto (l'oggetto materno). Si può supporre che il "sognare senza sogni" il sognare "bianco", recentemente descritto da M. Khan, corrisponde all'attivazione di questo investimento diffuso e informale. Secondo Khan: "questo sognare senza sogno e il sogno essenziale". Una caratteristica essenziale di questo investimento è il suo essere indistintamente narcisistico e oggettuale. E' sullo sfondo di questo minimo investimento diffuso, leggero come un cuscino, che si può proiettare l'immagine che nasce dal lavoro del sogno sulle rappresentazioni pulsionali. 4)Spazio e schermo del sogno sono delle nozioni e dei termini che utilizziamo per rappresentarci metaforicamente il processo organizzatore del sogno. Le metafore possono anche essere dei marciapiedi per la conoscenza ma non sono che delle metafore, metafore che potranno essere dimenticate o che saranno condannate a restare qualcosa di poetico o astratto. Bisogna dunque sforzarsi di precisare in che cosa consistono i processi e i fenomeni che queste metafore si fanno carico di evocare. In quanto allo spazio del sogno, è intessuto di rappresentazioni: rappresentazioni oggettuali, rappresentazioni di parole e rappresentanti pulsionali. Se questo spazio ha una struttura, questa è fatta ad immagine del corpo immaginario, se ha una genesi, questa sta nella rimozione primaria, se ha una storia, questa è nello sviluppo dei processi mentali in cui la madre, oggetto primario, appare in effigie. In effetti tra questa rete di rappresentazioni ve n'è una che svolge il ruolo di locomotiva: è quella dell'oggetto investito primordialmente, che a sua volta investe il soggetto come unità differenziata. Affinchè questa rappresentazione sia interiorizzata, bisogna che ciò che sta attorno non faccia da ostacolo con un eccesso d'intrusione o di esigenze narcisistiche. Era in questo modo che il controllo stretto, sottile e serrato che i genitori di Annie esercitavano sia sulla sua attività che sulla sua vita psichica, equivaleva ad una rigorosissima interdizione di sviluppare un mondo interiore e di muovercisi. Rappresentarsi l'oggetto in modo autonomo costituiva per Annie un crimine di lesa maestà o di leso oggetto. Così, la costituzione e l'investimento di un mondo interiore venivano vissuti come distruttore dall'intangibile realtà degli oggetti esterni. Questa paura si sviluppò nel transfert, poi Annie cominciò a permettersi una discreta manipolazione vedendomi sotto un aspetto fotografico ma al negativo. E' notevole che la capacità di sognare le ritornò assieme alla capacità di giocare con la sua propria rappresentazione dell'oggetto, appropriandosi di questa rappresentazione. Lo spazio del sogno è un'area interiore in cui poter giocare (cfr. Winnicott) con le rappresentazioni di cui la psiche si appropria. Uno spazio è una libertà, lo spazio del sogno è la libertà di sognare, la libertà di rappresentare tanto gli oggetti che se stessi. Ma uno spazio è orientato. I lavori di Guillaumin sull'origine dei sogno, sull'apparato del sogno, hanno ben evidenziato la struttura bipolare secondo cui il funzionamento dell'apparato del sogno si organizza per un gioco incrociato di identificazioni proiettive interiori in seno allo spazio del sogno tra il sognatore e il suo sogno. Potrà stupire il trovare nel funzionamento dell'apparato interno del sogno, un meccanismo come quello dell'identificazione proiettiva che si è abituati ad incontrare nel quadro dei più primitivi scambi fantasmatici con un mondo ancora incerto di oggetti esteriori. Ma credo sia importante in quanto ci aiuta ad afferrare meglio che, per colpa di questa organizzazione bipolare dell'apparato del sogno, è col mondo esterno e solo con esso che potrà operarsi il gioco proiettivo dei materiali psichici destinati all'apparato del sogno: e questa sarà la psicosi. Se il va e vieni proiettivo non può contenersi all'interno dello spazio e dell'apparato del sogno, non si può effettuare che nello spazio al di fuori. 5) Non c'è spazio che si possa concepire senza limiti, e questo ci conduce allo schermo del sogno. Tale schermo è qualcosa che rinvia le eccitazioni senza assorbirle e senza lasciarsi attraversare. Se si è detto che è uno schermo bianco non è per il colore del latte ma perché il bianco, fra tutti i colori, è quello che non ne assorbe alcuno. Concepisco lo schermo del sogno come il "verso" di un ben noto apparato il cui "retro" è costituito dalle para-eccitazioni ( che preferisco chiamare la "barriera dei sensi"). Così pure la barriera dei sensi ha la funzione di attutire le eccitazioni esterne e di registrarle (cfr. il "Notes magico"), allo stesso modo, lo schermo del sogno ha la funzione di arrestare e di registrare le rappresentazioni delle eccitazioni pulsionali. Dunque, durante il sonno l'elemento dell'apparato del sogno che e' lo schermo del sogno, adempie di fronte alle eccitazioni pulsionali una funzione analoga a quella che le para-eccitazioni hanno di fronte agli stimoli sensitivo-sensoriali. Questa doppia funzione e' evidentemente quella dell'Io, è in essa che consiste l'Io e per essa che l'Io si costituisce. Si può quindi rappresentare lo schermo del sogno come un rivestimento accogliente e riverberante che tappezza dal di-dentro la superficie della barriera dei sensi, una specie di pelle interna incollata contro la pelle esterna. Non bisogna ignorare il carattere altamente metaforico di tale immagine, ma è Freud che ce la suggerisce quando raffigura l'Io come una scorza tra il mondo esterno e il mondo pulsionale interno. E i lavori di Anzieu sull'Io-pelle non possono che incoraggiare questa strada. Che lo si dica in termini psicoanalitici o in termini neurofisiologici, il sonno è condizionato dal potente rinforzo della barriera dei sensi. In questo "muro del sonno" risiede la prima condizione del sogno. Questo schermo funzionerà come un vetro di cui le para-eccitazioni opacizzate costituiscono la foglia di stagno (cioè lo sfondo che rende riflettente lo specchio). Da Freud sappiamo che nel corso del sonno le eccitazioni pulsionali, il cui scarico motorio è sbarrato, risalgano contro-corrente verso il polo sensoriale dell'apparato psichico: è la regressione topica. Raggiungendo per questa via regressiva lo schermo dei sogni e la barriera dei sensi, l'eccitazione produce il fenomeno "allucinatorio" del sogno. 6) E' difficile immaginare una psiche privata di tutto l'apparato del sogno, in compenso nella psicosi osserviamo come un apparato del sogno insufficientemente strutturato possa fallire il suo scopo. In mancanza di uno spazio di sogno sufficientemente investito che possa contenere ed elaborare i materiali pulsionali pronti ad essere sognati, in mancanza di uno schermo di sogno sufficientemente investito che possa accogliere e rinviare come un buon guardiano le eccitazioni pulsionali, queste ultime proseguono il tragitto regressivo che le dirige verso il polo sensoriale, passano attraverso lo schermo del sogno e la barriera dei sensi per spingersi fino allo spazio extrapsichico in cui esse prendono piede sotto forma di allucinazioni propriamente dette. Si è passati da un processo immaginativo contenuto nello spazio interno della psiche, ad un processo allucinatorio estradato nello spazio esterno. E' quanto afferma Katan quando mostra che in mancanza di meglio, l'Io psicotico organizza al fine di salvaguardarsi un drastico cortocircuito tra le pulsioni non legabili ne legate e il mondo esterno. Si potranno distinguere i casi in cui l'apparato del sogno cede o lo schermo si lascia attraversare da una straordinaria massa di eccitazione pulsionale (psicosi acute), con i casi in cui l'apparato abitualmente debole cede in continuazione davanti a delle eccitazioni ripetute (psicosi croniche). In entrambi i casi, i rapporti di forza comportano una condizione economicamente traumatica. La nostra ipotesi lega la sorte dello schermo del sogno a quella della barriera dei sensi. Ne consegue che i fenomeni allucinatori dovranno sopraggiungere in seguito ad una debolezza relativa o assoluta della barriera dei sensi o dello schermo del sogno. Si può anche dire così: gli schizofrenici sono degli scorticati vivi (o almeno quelli che psichicamente continuano a vivere) e quelli che si lasciano trafiggere dal di fuori sono anche quelli che si lasciano trafiggere verso il di fuori. infine è legittimo supporre che i fenomeni allucinatori abbiano la funzione difensiva e preventiva di rimpiazzare le para-eccitazioni mancanti. Si inviano delle truppe al di là delle frontiere per supplire alla carenza delle proprie linee di confine. Gli allucinati fanno come quelli che gridano forte per non sentire i rumori esterni da cui sono estenuati. Gli allucinati uditivi talvolta si turano le orecchie: dicono che è per non sentire le loro voci. E se fosse perché queste voci non coprono ancora abbastanza i rumori del mondo? B) Conclusione: essere o avere un sogno. La conclusione a cui si perviene al termine di questo nostro itinerario è che il fenomeno psicotico (allucinatorio e delirante) costituisce il substrato estradato di un sogno che non si è potuto sognare. Vi è sia parentela sia opposizione clinica e strutturale tra il processo del sogno e quello della psicosi. Il processo di espulsione allucinofora è ciò che potrebbe sognare lo psicotico se avesse la capacità di contenere il suo psichismo entro la sua psiche e di costruire dei sogni con l'aiuto di un apparato per sognare sufficientemente strutturato. Tale processo di espulsione allucinofora potrebbe allora chiamarsi " dream-out" , "sogno al di fuori" o "trans-sogno" ( spero che i miei lettori abbiano confidenza con le mie tendenze neolocizzanti). Il "dream-out" usurpa il posto di una presa di coscienza. I due processi sono dell'ordine dell'evizione (termine giuridico che indica una sottrazione di possesso, n.d.r.)ma la differenza del grado regressivo e' evidente se si pensa che sognare e' qualcosa in piu' del prendere coscienza . Noi abbiamo dei sogni e Freud ci ha insegnato che avere dei sogni e' una fortuna. La disgrazia degli psicotici e' di non poter avere dei sogni. Abbiamo tentato di spiegare non tanto come, perche' e a che scopo si sogna (poiche' queste sono cose che si sanno), ma in quali condizioni , e con l'aiuto di quale apparato, si e' capaci di sognare. Pensiamo di aver constatato che queste condizioni non sono adempiute dagli psicotici, fatto, questo, che impedisce loro di avere dei sogni. Chi sono dunque gli psicotici rispetto al sogno? Suggerirei l'idea (gia' presentata nel 1969 e ancora da sviluppare) secondo cui gli psicotici, gli schizofrenici, piu' che avere dei sogni, sono dei sogni: sono i sogni incarnati del loro oggetto e vivono di quell'esistenza insistente e tuttavia aleatoria di cui vivono i sogni. Editing
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