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OSPEDALE PSICHIATRICO PROVINCIALE DI PADOVA


FERDINANDO BARISON

L'IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA PSICOLOGICO
DELLA SCHIZOFRENIA


Non ho la pretesa di esporre cose nuove in un argomento in cui si sono cimentati i più grandi nomi della psichiatria e che anche in questo Laboratorio è stato più volte più o meno direttamente trattato con maggior autorità di quanto lo possa fare io; ma intendo piuttosto riferire qualche riflessione - sfrondata da ogni appesantimento di citazione bibliografica - riflessione intesa a esaminare le vie che si prospettano per ulteriori ricerche, alcune delle quali in atto nel mio ospedale.
Quali i caratteri, quale l'essenza, quale il significato biologico della psicologia schizofrenica?
Quando gli psicologi si occupano per esempio di tests proiettivi nell'uso psicopatologico, a proposito della difficoltà di tale applicazione nella schizofrenia è quasi un luogo comune che essi rinfaccino agli psichiatri di non essere d'accordo su cosa si intenda per schizofrenia.
La discordanza infatti delle classificazioni nosografiche trova il suo corrispettivo nel polimorfismo degli elementi psicologici cui viene, dai diversi autori, data l'etichetta di schizofrenia, sia che si tratti di elementi puramente sintomatologici, sia che si tratti di elementi che assurgano al ruolo di deus ex machina della psicologia schizofrenica (come ad esempio la ipotonia della coscienza di Berze).
Chi voglia studiare la psicologia schizofrenica si trova pertanto perso in un giro vizioso interminabile.
Eppure tutti crediamo che esistano dei comportamenti e dei dati introspettivi che non sappiamo altrimenti chiamare che " schizofrenici ", anche se li troviamo in malati che schizofrenici non sono, come ad esempio paralitici progressivi malarizzati.
Lo studio psicologico della schizofrenia deve essere condotto evitando, anzitutto, il criterio flosologico: allo stato attuale delle nostre conoscenze sul decorso, sull'eziopatogenesi, sui sintomi biologici, sull'anatomia patologica delle sindromi schizofreniche, che permettono teorie che vanno dalla nosografia anatomo-patologica di Marchand a quella dissolutiva di Ey, al " reaction type " di Meyer, è vano sperare di potere in questo campo ottenere dei dati che ci dicano cosa dobbiamo considerare schizofrenico e cosa no.
Il metodo più sicuro è di studiare separatamente tutti quegli clementi che dagli autori più diversi e delle più diverse scuole vengono chiamati schizofrenici o implicitamente ammessi come frequenti nelle sindromi schizofreniche; cercare di indagarne l'intima essenza psicologica soprattutto in vista della, possibilità di ridurre il numero di queste categorie difatti nel senso di vedere se qualcuno degli elementi sia riconducibile, nella sua essenza, in un altro, sia risolvibile in esso. All'ideale risolvimento di tutti gli elementi in uno solo dovremo guardare con molta prudenza, come a un pericoloso miraggio: pericoloso perché implicante la possibilità di forzare i fatti ad entrare artificialmente in schemi aprioristici. Nessuna, forse, delle grandi teorie sull'essenza della schizofrenia sfugge a questa critica.
Si ha anche ragione di essere diffidenti verso siffatte unificazioni in quanto spesso esse hanno tutto l'aspetto di essere specie di lenti diverse colle quali si possano differentemente veder gli stessi fatti: Io stesso sintomo può essere spiegato di volta in volta coll'atimia, colla dissociazione, colla incomprensibilità, ecc.
Ma uno scetticismo a priori e totalitario contro ogni tendenza, se non unificatrice almeno riduttrice, dei modi di essere essenziali schizofrenici, deve essere rigettato anche perché in fondo potrebbe essere esteso a tutte le ricerche psicologiche in ogni campo della psicologia generale se vero che lo stesso fatto può spesso egualmente bene essere illuminato.. dal punto di vista delle teorie più diverse: dalla teoria della Gestalt alla reflessologia di Pavlov.
Cerchiamo di compilare una lista dei principali di tali elementi, in cui la distinzione se si tratti di " aggruppamenti di sintomi " oppure di una istanza profonda che può esprimersi attraverso i sintomi, è, per lo più, in dipendenza della concezione che di volta in volta anima lo studioso sul momento caratteristico e fondamentale della psicologia schizofrenica.
Così l'atimia può essere concepita come l'obbiettivo frequente presentarsi di comportamenti spogli di quel colorito affettivo che hanno analoghi comportamenti nell'uomo normale o invece come l'intima essenza caratteristica di tutta la psicologia schizofrenica, che ne spiega patogeneticamente il modo di essere.

Catatonia
dissociazione delle idee, schizof asia
dissociazione in senso lato o discordanza
autismo
atimia
incomprensibilità, bizzarria, Anders, irrealtà
manieratezza
delirio (a tipo Beziehungsetzung ohne Anlass)
allucinazioni, sindromi di influenzamento,
automatismo mentale di de Clérembault
depersonalizzazione, fenomeni soggettivi d'irrealtà
ipotonia di Berze
ambivalenza

Qualche precisazione su qualcuno di questi termini:
catatonia: sindrome che complica le più varie psicosi, secondo alcuni; essenza della schizofrenia secondo altri, se è vero che manieratezza, bizzarria, alterità di comportamenti anche solo verbali possono essere fini nuances della rigidità catatonica - Anello di congiunzione tra lo stupore catatonico e queste estreme coloriture dell'incompresibilità, il piccolo blocco.
La dissociazione delle idee: da elemento essenziale patogenetico quale era nella primitiva concezione di Bleuler, ha perso via via di importanza fino ad esserne l'esistenza stessa messa in dubbio. E' un fatto però che da taluni autori viene ancora, più o meno implicitamente, ammessa. Essa si palesa attraverso un'espressione verbale schizofasica ed attraverso la giustapposizione di due idee, la quale sia impensabile per l'uomo normale. Quando tale giustapposizione pretende d'essere sillogistica si ha il Beziehungsetzung ohne Anlass.
Nessuna prova però abbiamo che tale giustapposizione impensabile sia il frutto della rottura di normali legami pensabili: entriamo qui nella questione del " più " (capacità di creare strutture nuove) la cui spiegazione col "meno " è soltanto ipotetica.
Ritengo che uno studio accurato inteso a mettere in luce la reale esistenza o meno di tali vere interruzioni, studio che dovrà essere anche critico degli esempi dati dai vari Autori, sia ancora opportuno e attuale per quanto estremamente difficile. Esso è complicato dalla problematicità dei rapporti normali tra pensiero verbale e forme avverbiali del pensiero.
Che nella maggior parte degli schizofasici la schizofasia sia un comportamento che esprime qualcos'altro che non delle interruzioni della corrente del pensiero, è l'impressione che si ha più di frequente. Che il presupposto dissociativo di alcuni autori (vedi J. Delmond) appaia talora dogmaticaticamente ammesso, pure è vero. Ma è anche che talora si ha l'impressione che lo schizofasico si trovi in reali difficoltà nel seguire il filo di un discorso: e sono questi rari casi che si prestano ad essere approfonditi, specie ora che disponiamo di mezzi
alla portata di tutti per fissare le labili espressioni verbali.
Come ipotesi di lavoro di ricerche in atto da noi, vale che la- tendenza liricizzante, ermetica, vagamente ma sicuramente espressiva (all'infuori del significato corrente delle parole) ammessa come accessoria da taluni autori, sia a base della dissociazione schizofasica.
Il ruolo che nella psicopatologia daseinanalitica ha la parola, dà, d'altra parte ulteriori significati profondi alla schizofasia astratteggiante, in luogo della solita concezione che ravvisa in essa intrusione di banali ampollosi ornamenti: specie di nuovi spazi che il malato si apre o schemi del mondo nuovi.
Il fatto che ci si sia valsi dell'impensabilità dell'attuarsi della dissociazione verbalmente palesantesi, per dimostrarla un diretto effetto di lesioni organiche, vale ad accentuarne il carattere di inumanità, di irrealtà. Ed invertendo il ragionamento, si potrebbe pensare alla espressione verbale dissociata come espressione lirica dell'incomprensibile modo di essere schizofrenico.
Analogamente a quanto vedremo a proposito del manierismo, è tuttavia problematico se tale espressione sia secondaria ad esperienze interiori ineffabili (a prescindere dal fatto che l'ineffabilità di esperienze interiori è stato sostenuto essere la causa di tutti i sintomi mentali) o se non si tratti semplicemente del versante fasico della personalità alterata. Resta il fatto che noi vediamo malati, usciti da recentissimi episodi di schizofrenia acuta, descrivere efficacemente l'ineffabilità di esperienze interiori già provate senza aver bisogno di ridiventare schizofasici.
Sottocapitolo della schizofasia quello dell'astrazione formale del pensiero descritto tanti anni fa in un mio lavoro; la spiegazione che ne davo allora, come di compensazione d'una interruzione del pensiero, mi si manifestò presto arbitraria. E' vero che il malato che usa l'astrazione formale lo fa spesso per esprimere fatti concreti: ma è anche vero che osserviamo malati che mostrano di potere, se vogliano, esprimere concretamente ciò che preferiscono esprimere astrattamente. Espressione dunque affettiva anche l'astrazione formale, comportamento verbale accessorio, rientra nella teorica del manierismo, di cui diremo più avanti.
Per quanto riguarda il Beziehungsetzung ohne Anlass, il " vero "delirio seconda la scuola tedesca da Jasper in poi, si ripetono le difficoltà della dissociazione delle idee: il giudizio di " ohne Anlass " può essere, nel caso singolo, dovuto a difetto di conoscenza da parte dell'osservatore di motivi che il paziente nasconda, e un lavoro di G. Schmidt pur ammettendo l'esistenza della Wahnwahrnehmung primaria, ne nota la rarità nei confronti dei deliri secondari cioè motivati. L'elemento fondamentale del delirio schizofrenico risulta comunque essere la coscienza (li significato ed io ho creduto di dimostrare come esso sia fenomeno saliente e primitivo anche nell'interpretazione paranoicale non schizofrenica. Tutto ciò porta a scindere nettamente dal gruppo di fenomeni " dissociativi " il delirio, che una visione superficiale poteva ad esso gruppo riaccostare.
.Per finire le osservazioni preliminari sulla lista di sintomi su elencata, l'autismo può essere considerato come un'attiva tendenza a rifuggire dall'ambiente oppure come una perdita di capacità al contatto coll'ambiente. Le due cose si possono oppure no pensare reciprocamente condizionate.
E' da osservare anche che molte volte l'aggettivo " autistico " è usato come sinonimo di incomprensibile a descrivere comportamenti ostici alla psicologia normale; ma naturalmente adombrandone la psicopatogenesi.

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Di fronte alla varietà di elementi sia sintomatologici che patogenetici etichettati come schizofrenici, di cui abbiamo elencati i principali, l'assunto di questa relazione appare perseguibile nel modo migliore approfondendo lo studio di qualcuno di essi clementi per il quale l'etichetta di " schizofrenico " sia più universalmente, con accordo unanime, riconosciuto. E ciò colla prospettiva di tentare se altri elementi della lista siano in esso risolvibile.
Tale il gruppo di fatti cui si può dare il titolo di altro o incomprensibile o bizzarro o irreale o autistico nel senso su descritto.
In un mio breve lavoro del '49 mi ponevo il problema se i fatti psichici cui il concetto di dissociazione si riferisce e quelli cui si riferisce il concetto di incomprensibilità siano sovrapponibili. Si intende a questo proposito per dissociativo ogni elemento psichico che appaia scompagnato (relativamente alla contemporaneità o alla immediata successione) da altri clementi cui si accompagna nell'uomo normale oppure accompagnato da clementi diversi (la quelli con cui si accompagna nell'uomo normale. Concludevo che tutto ciò che è dissociativo è incomprensibile, ma non viceversa.
Pertanto della serie di fatti incomprensibili quelli che hanno un aspetto dissociativo potranno essere studiati a parte, senza che per questo si possa escludere che - come vedemmo per la dissociazione schizofasica - anche per tali fatti si possa sostenere un meccanismo patogenetico non dissociativo.
Anzitutto si deve cercare di separare tutto ciò che può risultare differente dal comportamentodell'uomo normale e inspiegabile con premesse psicologiche, in base a un apprezzamento puramente intellettuale. Per esempio una serie di movimenti inspiegabili scompaginati nella successione; qui è evidente da parte nostra un apprezzamento intellettuale dei fenomeni morbosi, che rientrano infondo in una categoria dei fatti dissociativi.
Ma mi pare evidente che il nostro giudizio di vera incomprensibilità, nel senso schizofrenico, di. qualsiasi manifestazione psicologica, è basato principalmente su fenomeni affettivi che tali manifestazioni suscitano in noi.
Lo studio dello schizofrenico - e non dico una cosa nuova - diventa così uno studio di noi stessi come risuonatori in un duplice modo e negativo in quanto notiamo la nostra incapacità immedesimiarci nei malati e positivo in quanto possiamo apprezzare clementi " positivi " della psicologia schizo. Esiste forse anche un "senso dello schizofrenico", non altrimenti analizzabile e definibile?
E' un paradosso che si complicherebbe coll'analisi di quanto possa esservi di innato e quanto di educabile in tale senso dello "schizofrenico".
A proposito dell'intervento della nostra affettività nell'esame del malato specialmente schizofrenico, non è forse superfluo accennare a un fatto lapalissiano ma spesso dimenticato: che l'essere i incomprensibile schizofrenico da noi affettiva' mente apprezzato non significa necessariamente che esso sia un fatto (positivo o negativo) essenzialmente affettivo. Un fenomeno della natura inanimata può suscitai e sentimenti in noi. Possiamo pertanto, almeno teoricamente, pensare che esistano modi di essere psicologici schizofrenici diversi dai normale e perciò suscitanti in noi reazioni affettive particolari, senza dover pensare che essi siano necessariamente cd essenzialmente di natura affettiva. (Dico " essenzialmente " perché per l'unità dello psichismo sia pure morboso non si può pensare ad una alterità (li un comportamento, ad esempio conoscitivo, che non si rifletta anche sull'affettività).
Ciò va detto agli effetti dell'interpretazione patogenetica dell'incomprensibile schizofrenico; mentre resta inoppugnabile che la tecnica per apprezzano si basa sulle reazioni affettive dello studioso di fronte ad esso.
Una difficoltà si oppone ancora allo studio dell'incomprensibile schizofrenico ed è che le eventuali chiarificazioni di fatti incomprensibili possono essere sospettate approfondimenti di elementi à côté, per così dire, cioè accessori rispetto all'essenzialità schizofrenica, appunto perché l'essere essi stati resi comprensibili può farci temere che il vero nocciolo schizofrenico ci sia sfuggito. In altre parole può apparire il compito di comprendere l'incomprensibile a priori infìciato di contraddittorietà e quindi condannato a un perpetuo inseguimento d'un punto di mira che si sposta. Pure non possiamo rinunciare a circuire da tutte le parti il misterioso territorio dell'Anders, anche se possiamo temere di non riuscire mai a penetrarvi.
Lo studio dell'incomprensibile schizo si incontra con vari problemi. La diversità che noi apprezziamo è dovuta a una diversità di tutta la personalità, oppure è l'espressione d'una esperienza soggettiva del paziente; oppure è l'espressione che è "diversa" primitivamente, traducendo esperienze in esperienze interiori patologiche affettive, confusionali, nevrosiche, analoghe a quelle di altre psicosi, in sè comprensibili, in manifestazioni incomprensibili? (non è raro il caso di schizofrenici che riferiscono contenuti introspettivi in sé puramente nevrotici, ove si eccettui dalla forma espressiva).
Altro problema: quali i caratteri dell'incomprensibile? Incomprensibilità è ovviamente un concetto negativo; è possibile determinarlo positivamente, anche se la positività dovesse basarsi su caratteri "minus"?
L'analisi atimica dell'incomprensibile schizo è la più facile. Suscitatrice di infinite polemiche, essa è anche facilmente oppugnabile come quella che meno soddisfa il nostro desiderio (di penetrare nello psichismo schizofrenico. Noi sentiamo che - per lo meno - essa lascia un residuo.
E a proposito delle polemiche sull'affettività degli schizofrenici, in generale, mi pare opportuno segnalare un errore che spesso, anche in studi recenti sull'argomento, si è compiuto trascurando il principio che il difetto di affettività non può essere sottovalutato o negato se non studiando il contenuto affettivo delle manifestazioni psichiche in sé e certamente schizofreniche come per esempio il manienismo. E' evidente che manifestazioni d'efficienza affettiva, in un singolo malato, che non ineriscano in modo essenziale a un sintomo specifico, possono essere dovute ad una incompletezza della demenza affettiva, ammesso che questa esista, oppure ad una contingente sintomatologia aspecifica.
Non è mio compito esporre una rivista degli studi dei diversi autori che per diverse vie tendono a ricercare i caratteri dell'incomprensibile schizofrenico.
MINKOWSKI, pur partendo da un minus, cioè dalla perdita del contatto vitale colla realtà, è arrivato a uno straordinario arricchimento della caratterizzazione dell'inconoscibile schizofrenico, all'edificazione del mondo del razionalismo morbido e all'approfondimento della Spaltung bleuleriana come rottura antropo-cosmica.
Gli esistenzialisti (BINSWANGER, GEBSATTEL) hanno compiuto il più notevole sforzo dopo quello di MINKOWSKI nel cercare di riempire il vuoto concetto di ANDERS con un apporto di dati e di approfondimenti.
Dati e approfondimenti illuminanti bensì modi di essere diversi dal normale, con complicate costruzioni psicologiche - vedi le nozioni di tempo e di spazio schizofrenico - ma in fondo implicanti sempre un minus, uno ischeletrimento vitale. E GEBSATTEL sottolinea la inconoscibilità della realtà schizofrenica il cui modo diverso di essere ci sfugge per una nostra specifica incapacità di conoscere. Questo attore ammette più o meno implicitamente un plus, che è dimostrato da quel nostro autoosservarci in iscacco di fronte a tale realtà.
GARGNELLO ha apportato un contributo notevole allo studio di questo problema accentuando il fatto di basilare importanza che l'alterità schizofrenica deve essere considerata alterità della personalità totale.
MORSELLI più decisamente e certamente più consapevolmente di ogni altro non si limita ad affermare una inconoscibile realtà nuova ma di questa realtà ricerca i caratteri nuovi, positivi, tentando di penetrare nella quarta dimensione psicologica schizofrenica.
E' questo il filone di studi più ricco di promesse: quello appunto che ricercando i caratteri dell'Anders nel singolo malato non rifugga dall'ipotesi - anche pura ipotesi di lavoro! - che esista una positiva realtà schizofrenica fornita di elementi nuovi rispetto alla psicologia normale, ricerca del " plus " invece del o insieme al " minus ".
E' qui che alla ricerca del caso singolo gioverà valorizzare al massimo la capacità di cogliere le proprie reazioni affettive di fronte al malato come reattivo segnalante le nuances più varie dei modi di essere schizofrenici.

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Una via che mi pare ricca di possibilità è lo studio del manierismo schizofrenico.
In un mio lavoro, che vuoi essere una premessa a ricerche più approfondite, ho messo in risalto tre qualità fondamentali del manierismo: la parassitarietà (esso cioè complica una condotta), il finalismo espressivo e l'aspetto intenzionale (come se, cioè, il soggetto " volesse " esprimere qualche cosa).
Il " come se " del terzo punto non intende naturalmente affermare un intervento della volontà col V maiuscolo, come ad esempio " della personalità totale "; ma si limita a supporre un'istanza che agisca intenzionalmente.
E' evidente clic anche lo stesso terzo punto è frutto dell'applicazione di quella intuitività cui mi sono sopra richiamato, né sarebbe opportuno rifiutarsi di prenderlo in considerazione quando colle parole " manierismo ", " affettazione ", universalmente usate dagli psichiatri, si viene implicitamente ad ammettere tale aspetto di volontarietà.
Del resto penso che sull'esibizione del manierismo da parte dei pazienti forse sarebbe opportuno indagare - dal lato introspettivo - più che non si sia finora fatto.
Il manierismo è dunque un attivo intervento a modificare l'espressione d'un atto non in senso quantitativo (come è caratteristica ad esempio, invece, del manierismo epilettico) ma qualitativo.
Anche qui la nostra ipotesi si scontra con quella atimica: il caso più frequente di manierismo, cioè il marionettismo, è visto, secondo la concezione atimica, come dovuto alla deficienza di quegli impulsi di natura affettiva che rendono souple, duttile, armonico, misurato, socialmente adattato l'atto normale, dal che deriva la legnosità del movimento marionettistico: " ungenügend modulierbar ", come dice BLEULER.
Secondo la nostra ipotesi, invece, anche nel marionettismo c'è qualche cosa in più, che si aggiunge alla condotta così complicata: è una complicazione, un'aggiunta che vuole esprimere qualcosa.
Il paziente dà attivamente ai suoi gesti il carattere legnoso, angoloso. Spesso domina nel manierismo quell'ironia schizofrenica che coinvolge e l'ambiente e il soggetto stesso implicante uno scetticismo sotto il quale non è, molte volte, difficile intuire un profondo pathos, che trae in gran parte la sua efficacia dal totalitario autonegarsi, dal non mendicare nè dall'ambiente nè da se stesso il minimo moto di compassione.
Specifica al caso del manierismo della " marionetta " è quell'intensità espressiva che il Roi ha analizzato in un recente lavoro. Riaccostandosi a vedute estetiche di G. CRAIG, l'A. vede nel marionettismo schizofrcnico una tendenza coll'assoluta disumanizzazione ad affermare una paradossale superumanità.
Non ci si meravigli di questi profondi significati che siamo portati a dare a comportamenti mostruosi: giova ricordare come Meyer, per via tanto diversa dalla nostra, sia arrivato oppugnando le dottrine organicistiche a interpretare le manifestazioni catatoniche come fatti estatico-religiosi.
Lo studio dell'espressività manieristica approfondito sarà ricco di risultati: ecco ad esempio un malato che al vedere il medico lo saluta con una scarica di inchinetti del capo, ripetuti e affrettati, in cui si può intuire la ricerca d'una specie di essenzialità concentrata del saluto, essenzialità non dovuta a un quantitativo rinforzo dell'atto del salutare, ma ad elementi che ci sembrano intenzionalmente affettivi, qualitativamente diversi, estranei ad esso atto, non tutti facilmente analizzabili (ad esempio: voler far capire che non si è stati abbastanza svelti nel salutare; una consapevolezza dell'esagerazione dell'atto; consapevolezza anche della sua importanza, con uno stacco dalle contingenze come se il saluto fosse il saluto-tipo, ecc.). Queste condotte espressive che si aggiungono all'atto hanno il carattere dell'intenzionalità e sono " false " per l'osservatore. Ne risulta un senso di irrealtà dell'atto di salutare, accompagnato da un vivo senso d'ironia.
Molti schizofrenici ritenuti indeboliti e disaffettivi sono, è noto, dei conformisti: sotto la rigida scorza che questi malati si impongono. l'analisi rivela spesso una ricchezza di fenomeni affettivi: l'apparente atimia è frutto d'un attivo sovrapporsi alle altre condotte di una condotta ispirata all'ossequio ad un astratta autorità, ad una burocrazia assoluta.
Il manierismo è dunque un attivo mimare di sentimenti estranei all'atto e che lo complicano; è una teatralità il cui scopo evidente è di annullare la realtà espressiva d'un atto con un continuo spostare l'accento espressivo sui sentimenti inerenti alle condotte parassite, la cui efficacia espressiva è a sua volta svuotata dalla stessa loro evidente ostentata intenzionalità. Teatro dunque disinteressato o almeno non interessato a realistiche contingenze (e in ciò diverso da quello isterico) che rappresenta un attivo sforzo per derealizzare la realtà, ecco l'essenza del manierismo. Sforzo che sentiamo completamente indifferenti nei riguardi dello spettatore contingente, ma che non possiamo d'altra parte non pensare diretto Contro la realtà in quanto capace di essere comunicata.
A spiegare il quale teatro è ovvia l'insufficienza della concezione atimica, in quanto - pur ammettendo la vuotezza affettiva delle espressioni parassite - l'essenza del fenomeno è l'attività che aggiunge tali espressioni (ed è questa attività che la concezione atimica dovrebbe dimostrare appunto priva di vita affettiva). Dire che esso è espressione d'un negativismo è, mi pare, accontentarsi d'una troppo generica spiegazione che non ci rende E dire che l'associazione di condotte parassite e condotte normali è condizionata dalla possibilità di unire elementi che normalmente non lo sono, possibilità a sua volta condizionata dalla frammentazione di normali totalità, è asserire cosa non dimostrata, e se la condizione frammentatrice fosse data anche per vera, si tratterebbe di un " meno ", solo rendente possibile un fatto il cui meccanismo propulsore resterebbe da spiegare.
Nella definizione stessa di manierismo è implicito che i sentimenti accessori mimati hanno più dell'esercitazione voluta e ostentata che della sincerità di pathos; pure noi sentiamo che in questo gioco ci sono profonde istanze di cui almeno a momenti, oscuramente apprezziamo la sofferenza. E ancora una volta ci opponiamo alle teorie che vedano in tali affettazioni di espressioni sentimentali specie di confabulazioni riempitive di vuoto affettivo.
Lo stesso essere la manieratezza l'esasperazione d'un comportamento espressivo che si fa straordinariamente invasivo e protagonista, ci suggerisce che la sua funzione negatrice (Iella realtà sia mossa (la istanze vitali efficientissime.
La profonda ironia che coinvolge soggetto e ambiente e universo; l'implicita negazione d'ogni umana realtà che raggiunge un drammatico senso dell'assoluto (come si disse a proposito della marionetta); il senso esasperato dell'essenzialità che giunge a una irrealtà (assolutizzazioni manieristiche: il saluto assoluto, il burocratismo assoluto, ecc.).
La teatralità manieristica è un modo di essere sul piano del mondo, rispetto agli altri, spettatori reali o fittizi che siano, nel modo più irreale possibile, l'espressione meno espressiva possibile per tutte le istanze che non siano quella della irrealtà, togliendo appunto realtà alla realtà sentimentale, aggiungendole sentimenti ostentatamente falsi. Esso dà al comportamento un chiaro significato di irrealtà, è una protesta Contro il reale e insieme un attivo modo di vivere l'irreale.
Sottinteso espressivo bensì; ma si potrebbe anche ipotetizzare, come vedremo, che il malato giochi a se stesso un ruolo che costituirebbe
il nocciolo primitivo della personalità schizofrenica.
Arrivati all'ipotesi di lavoro che il manierismo sia una teatralità irreale, possiamo porci altri problemi:
a) se a tutto il comportamento schizofrenico in quanto tale sia estensibile l'etichetta di
manierismo;
b) quanto di tutta la sintomatologia schizofrenica sia etichetta-bile di
comportamentistica cd eventualmente - quindi - di manieristica:
      1) in quanto noi conosciamo attraverso comportamenti ad esempio verbali, mimici, ecc., i fatti introspettivi del malato; possiamo quindi ipotetizzare che esperienze in sé aspecifiche (ad esempio sentimenti di spersonalizzazione quali si hanno nei nevrosici) vengano tradotte, deformate in comportamenti espressivi schizofrenici.
      2) in quanto si possa pensare che esperienze introspettive a tipo schizofrenico possano essere apprezzamenti da parte della personalità sana di un nucleo morboso che manieristicamente si comporta. Così il sentirsi " fatturato " potrebbe essere un provare in se stesso quanto noi apprezziamo nel modo di essere appunto " artificioso " del malato.
Si potrebbe cioè pensare che la teatralità sui generis fosse un fatto primitivo : si è schizofrenici in quanto ci si riveli teatralmente " e ciò senza voler applicare il principio di dare all'uomo il solo valore del proprio comportamento.
Mille obbiezioni si possono ovviamente pensare, tra cui quella relativa all'innegabile almeno apparente indifferenza schizofrenica di fronte a stimoli normalmente emotigeni.
Comunque, ritengo che il raccogliere indagini sulla visione che malati o guariti abbiano del proprio comportamento ander, possa essere cosa sempre utile.
Da un altro punto di vista potremo ricercare:
   1) se il manierismo sia espressione d'esperienze interiori, sia nel senso che il malato tenti di esprimere col teatro irreale una ineffabile alterità, sia che una irrealtà interiore direttamente voglia così esprimersi;
   2) se piuttosto non si tratti semplicemente del versante o d'una parte del versante comportamentistico della personalità alterata, senza che dobbiamo necessariamente pensare ad esperienze interiori che agiscano come impulsi a rivelarle e descriverle nel comportamento. Nel percepire, nell'immaginare, ecc., la personalità alterata si attua, forse, in altri modi, nel comportamento esterno essa " è" (o è in quanto manieristica) teatro irreale; per quanto il concetto di totalità della personalità alterata (su cui CARGNELLO ha felicemente insistito) non si possano non immaginare rapporti tra le diverse attività di essa. Si tratterebbe d'una " espressione pura nel senso che la personalità e irreale in quanto esprime l'irrealtà.
Che differenza allora tra l'attività artistica e questa espressione " schizofrenica? L'arte sarebbe un'espressione pura nel senso di affermare la realtà d'un sopramondo, il manierismo è espressione della irrealtà per l'irrealtà, fondamentale negazione d'ogni realtà.
Tornando alle ipotesi di cui sopra, la combinazione di diverse di esse può giungere a quella che l'essenza dello psichismo schizofrenico sia teatralità in funzione di negazione della realtà.

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Un altro, tutt'altro punto di vista per lo studio della schizofrenia e principalmente della produttività schizofrenica, non ancora, a mio modo di vedere, sufficientemente sfruttato, è quello dell'originalità Rorschach.
Negli schizofrenici accanto alle " Originali " assurde, semplicemente strampalate, accanto alle " Originali + " simili a quelle dei normali, vi sono delle Originali sui generis, né + né -, che hanno una loro " bontà ", una loro realtà. Qui stiamo studiando. Studio difficile e soprattutto abbisognevole di enorme cautela perché qui più che mai (nel campo delle Originali) bisogna ricorrere ad attività intuitive. Del resto la psicologia dello schizofrenico non può essere una scienza esatta: Verstehen non Erklären!
A proposito dello studio delle " Originali " schizofreniche, si può richiamare un modo di approfondire la natura dello Anders che è quello dli cercare i rapporti di esso coi fenomeni artistici e specie col surrealismo. Il Roi si sta occupando dell'argomento che abbisogna più che ogni altro d'essere chiarificato. A nostro modo di vedere questa via di indagini potrà essere ricca di risultati purché si mettano da una parte e lo studio di opere che vorrebbero essere o sono d'arte di schizofrenici e lo studio di artisti veri e propri divenuti schizofrenici, l'uno studio e l'altro ingenerando facili confusioni. Invece si dovranno studiare quelle manifestazioni di schizofrenici comuni, i quali non si propongono attività artistiche, manifestazioni però che per i loro caratteri irrealistici possano colla deformazione artistica della realtà essere paragonati (e proprio come avviene per certe Originali schizofreniehe).

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E infine a un ultimo modo di studiare la psicologia schizofrenica voglio accennare: e cioè quello attuato mediante l'applicazione della caratterologia dei " tratti ", di quel metodo cioè che tenta di cogliere la personalità di un soggetto con l'elaborazione d'una serie di tratti il più possibile organicamente strutturata.
Ipotesi di lavoro è che la schizofrenia sia più d'ogni altra psicosi capace di creare tratti nuovi non solo, ma anche di creare, in confronto colle altre psicosi, una maggior varietà di tratti nuovi.
Qui, a differenza dei problemi accennati più sopra, ci muoviamo sul terreno del comprensibile: è evidente che qualche luce può venire al soggiacente fondo incomprensibile.
Nel mio ospedale diversi medici applicando tests diversi negli stessi malati (delle varie psicosi) cercano ciascuno indipendentemente dagli altri di descrivere ogni. malato con delle serie di tratti. Confronteremo poi i bozzetti dei malati delle diverse psicosi sia tenendo isolati sia fondendo insieme i bozzetti fatti dai diversi colleghi. Speriamo così di ottenere dei dati sui rapporti tra psicosi e varietà di personalità Se una psicosi o una sindrome (supponiamo quella schizofrenica) dovesse statisticamente mostrarsi la più facile a condizionare quadri individuali ricchi di varietà di tratti, dovremmo affrontare l'ovvio problema se si tratti di creazione di tratti nuovi o di conservazione o di potenziamento di tratti premorbosi. Problema complicante ma non annullante l'interesse della ricerca.
Ho anche cominciato lo studio di schizofrenici inizialissimi, a sintomatologia appena accennata, coll'intento di seguire cronologicamente l'evolvere della personalità studiata col metodo dei tratti.
In questi studi dovranno essere distinti i tratti che hanno attinenza ad eventuali deliri da quelli che invece non ne hanno (e che da un certo punto di vista possono presentare maggior interesse).

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Concludendo: questa impostazione del problema dello studio della schizofrenia non offre certamente motivi nuovi e originali; pecca (l'altra parte di evidente unilateralità.
Essa ribadisce la necessità del principio che in questo strano e affascinante mondo della schizofrenia non possiamo sperare di penetrare se non coll'animo aperto a cercarne le più remote vibrazioni.
Il punto di vista antiatimico — che mi illudo essere non soltanto un postulato — e la ricerca del " plus " a spiegare l'alterità schizofrenica, sorreggono le ipotesi di lavoro che vengono via via presentate.
infine 'questa impostazione accentua l'importanza che può essere utile dare nello studio degli schizofrenici ai metodi comportamentistici (che si valgano soprattutto dell'analisi delle nostre reazioni affettive di fronte alle manifestazioni morbose).


( Relazione tenuta al Laboratorio di Psicologia sperimentale
dall'Università cattolica del sacro Cuore, il 18 aprile 1951. )