l'uomo della grande casa rosa..

 

 


 

Ogni volta che rimettevo piede sulla mia amata isoletta e riaprivo la pesante porta di legno della grande casa rosa sapevo che in fondo al buio e stretto corridoio, l'avrei trovato là, seduto sulla sua sedia a sdraio, ad aspettarmi.

Con lo sguardo assorto in chissà quali pensieri, o sfogliando un voluminoso libro leggendo a fatica quelle lettere ormai troppo piccole per i suoi occhi stanchi, nascosti dietro alle lenti di vecchi occhiali dalla montatura nera.

Quegli occhi da cui lasciava trasparire tutta l'innocenza e la vitalità del ragazzino che non era mai potuto essere, costretto ancora bambino a vestire i panni dell'uomo di casa, dopo la prematura morte del padre.

Niente smancerie, niente coccole. E anche se la bimba che ero non capiva questo atteggiamento, mi sono resa poi conto che quella non era la dimostrazione di poco affetto, ma il chiaro sintomo della sua incapacità di regalare agli altri le carezze che forse non aveva mai ricevuto.

Lo ricordo al tavolo da lavoro, pantaloni scuri sorretti dalle inseparabili bretelle, occhi attenti e la punta della lingua stretta tra le labbra a significare che il lavoro stava richiedendo un'attenzione particolare. Si districava abilmente in ogni genere di impresa, maneggiando in maniera magistrale gli innumerevoli attrezzi che facevano bella mostra sotto al porticato di legno. Una volta, con una canna di bambù e un pezzetto di sughero mi costruì un flauto che conservo ancora, come conservo la miniatura di un giogo per buoi che si divertì a intagliare nel legno per me.

Gli animali sono sempre stati la sua passione, nonché il lavoro di tutta una vita. Da adolescente servo pastore, valorizzando un'intelligenza di certo superiore alla media e con l'aiuto della giovane moglie, riuscì ad ottenere un ambito posto presso l'ispettorato agrario regionale che gli permise di sostentare degnamente la numerosissima famiglia di nove figli.

Ricordo quando mi chiese di fare per lui il disegno di una mucca. E ricordo il suo sguardo profondamente soddisfatto quando ebbi finito, tanto da mostrare quella piccola opera a chiunque entrasse nella grande casa rosa. Fu quella la prima volta in cui sentii che era  davvero orgoglioso di me.

Quando, ormai grandicella, gli promisi che mi sarei laureata ricordo la luce nei suoi occhi, che lasciavano trasparire ancora una volta tutto l'orgoglio e la soddisfazione di realizzare attraverso di me qualcosa che la vita gli aveva impedito di raggiungere personalmente. Ancora oggi quella promessa riesce a darmi la forza di andare avanti quando tutto sembra difficile e la paura di non farcela fa capolino tra i miei pensieri.

Capitava di rado che parlasse del suo passato e mi stupii enormemente quando volle raccontare proprio a me della sua esperienza di minatore, e del tragico incidente che gli spezzò la schiena costringendolo a indossare un fastidioso busto ortopedico per il resto dei suoi giorni. Descrisse la scena nei dettagli sincerandosi continuamente che avessi ben capito, quasi ad affidare a me il suo doloroso ricordo perché la memoria di questo fatto non fosse un giorno morta con lui.

Non mi parlò mai della sua esperienza nella guerra d'Africa, non mi lesse mai le meravigliose lettere in rima che dal fronte scriveva all'amata, non mi raccontò mai della sua giovinezza. Non ce ne fu il tempo.

 

La notizia della sua morte ci colse tutti impreparati. Un infarto ce lo portò via in una mattina di febbraio. Ricordo il suo corpo disteso nella bara.. la carezza che mai gli avevo fatto prima di allora e le lacrime che trattenni a lungo e che sgorgarono tutte insieme quando il feretro lasciò la grande casa rosa insieme a tutte le cose che avrei ancora voluto sentirgli raccontare.

Ciao Nonno

 

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