Ballo a tre passi Regia e sceneggiatura: S. Mereu Interpreti: C. Ducey, Y. Abecassis, M. Sarchielli, M. Carboni Anno: 2003 Durata: 107 min Vincitore del premio della critica al 60° Festival del Cinema di Venezia |
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Il lento avvicendarsi delle stagioni scandisce il tempo della nostra esistenza, mentre ora il sole, ora la pioggia ci vedono protagonisti di nuove storie, o semplici comparse nelle vite altrui. E così il cielo sereno accompagna la gita di quattro bambini mentre un timido sole primaverile illumina i loro volti stupiti la prima volta che vedono quel mare su cui, fino ad allora, avevano solo potuto fantasticare. Ed è strano, quando si vive su un’isola. Il caldo sole estivo guarda da lassù l’amore e la passione dall’accento francese che travolge inaspettatamente Michele, burbero pastore silenzioso.. e lo stesso sole al tramonto asciuga le sue tristi lacrime, mentre il rumore del mare culla i suoi ricordi e i suoi sogni infranti. Compagno del breve ritorno a casa di una giovane suora è l’autunno, con le sue piogge.. ospiti ben poco graditi di un festoso ricevimento di nozze sul ritmo del ballo a tre passi. La solitudine del freddo inverno in una città che non è la sua si legge chiara negli occhi di Giorgio, che ormai anziano cerca la compagnia di una prostituta che possa regalargli non il suo corpo ma le allegre dolci note di una canzone. Un’ultima passeggiata con i compagni di una vita, poi un volo.. verso altri cieli. Scelta coraggiosa quella del dialetto sardo per dare voce ai personaggi. C’è chi la considera un’informe accozzaglia di suoni combinati senza senso a formare parole incomprensibili, ma nulla meglio della lingua sarda, con le sue sonorità ora dure, ora suadenti, riesce ad esprimere tutto il fascino di una terra misteriosa..la storia di un’isola antica, i suoi sapori, i suoi profumi. E i suoi silenzi, che spesso ne descrivono meglio delle parole l’intima natura. Per i “continentali” i dialoghi sono tradotti nei sottotitoli che accompagnano ogni scena, ma non c’è bisogno di dire che purtroppo molte splendide sfumature della lingua isolana si perdono inesorabilmente tra le parole bianche in perfetto italiano che spiccano in calce allo schermo. Altrettanto coraggiosa è stata la scelta delle musiche..ma a mio parere molto meno convincente e azzeccata. Sonorità portoghesi credo, che per splendide che fossero poco avevano da spartire con lingua, paesaggi e volti raccontati nel film. La Sardegna è descritta così com’è da chi la conosce nella sua quotidianità, quando i turisti sono ormai solo il ricordo di un’estate. Immagini dei colori caldi della terra accarezzata dall’infinito blu di un mare che laggiù, all’orizzonte, bacia a fior di labbra un cielo dipinto d’azzurro. Volti di chi quei posti li vive e ne conosce i segreti. Luoghi comuni e realtà si intrecciano nei diversi personaggi. Alla figura ormai superinflazionata del pastore sardo, rozzo e ignorante, si sovrappone quella di un uomo sensibile e profondamente rispettoso delle donne, qualità comune tra i maschietti sardi, ma spesso ben celata.. e si crea il personaggio di Michele. Che poi proprio personaggio non è perché Michele Carboni è un pastore vero, non un attore che ha imparato la parte. Dell’incontro tra Michele e la ragazza francese non è stato lasciato molto all’immaginazione.. scene a momenti un po’ troppo spinte per non vietarne la visione ai minori di 14 anni; e lo stesso quando uno dei bambini, di fronte all’emozione di vedere il mare, si allontana dagli altri per vivere fino in fondo, intimamente, quella sua eccitazione. A parte questo.. splendidi i bambini. Sulle spalle l’eredità di tradizioni antiche e di una lingua che si tramanda da secoli, ma sempre entusiasti e curiosi di scoprire ciò che di nuovo riserva loro il futuro, con la spensieratezza della loro età e una luce negli occhi che.. bisogna vederli per capire. E poi i turisti.. i “continentali”. Basta poco per scoprirli “diversi”. E non è solo questione di accento, si sente proprio che lì ci sono solo di passaggio, che quei luoghi non li hanno nel cuore. E in fondo probabilmente è giusto che sia così. Qualche erroretto lo ha fatto anche il nostro Salvatore Mereu.. un motorino che appare e scompare proprio nelle prime inquadrature.. verso la fine una fisarmonica che suona senza che le dita della musicista si muovano sui tasti. Piccole sviste che certo non rendono il film meno bello. Un film intelligente, lontano dalla banalità, capace di creare con sottile ironia un equilibrio quasi perfetto tra passato e presente: Un bel film. |
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