Ai grandi che fanno della tolleranza e dell’accoglienza il loro credo, non solo a parole
Ai grandi che diventano piccoli per aiutare chi vive nel disagio, non solo a parole
A chi saprà un giorno fare tutto questo.

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STORIA DI UNA MARIONETTA
- la ricchezza delle differenze -


Prima Parte

 

C’è una bambina speciale, là fuori. La sento spesso anche se non posso vederla. Ascolto tutto di lei, ogni sottile sfumatura della risata così genuina che di pomeriggio, sempre alla stessa ora, come un rituale che scandisce questo infinito tempo fermo e piatto, riempie il prato davanti a questa casa, riempie questo cielo di fine inverno e arriva più su, sino agli angeli dei miei sogni. Ti inseguo con la mente mentre giochi e rincorri la tua palla e l’odore di muffa di questa misera stanza si mescola con quel profumo che può essere solo il tuo, che sa di minestra calda e speziata, di pane appena sfornato, di latte e biscotti.

Ti sembrerà buffo che io, marionetta in pensione, dimenticata sopra questa seggiola in una casa di cui non conosco neppure il colore della facciata ne’ in che paese si trovi, io che passo i miei giorni su questo sbiadito quadrato di stoffa imbottita che mi fa da cuscino e che, almeno quello, mi ripara dagli spifferi d’aria, possa pensare a te. Spesso azzardo un sorriso, una mossa, cerco di strattonare questi fili con la forza del pensiero e mi sforzo di piangere lacrime di legno, ma pur sempre lacrime, perché il suono allegro della tua risata mi costringe a sperare. Quando sento la tua corsa lì fuori, in quel pezzo di verde che immagino troppo grande per te e pare inghiottirti, io mi sento felice: farei piroette, sberleffi e tripli salti mortali, inventerei le storie più fantastiche per divertirti e alla fine ascolterei il battere delle tue mani e quella risata che ti rende unica e speciale.

Una folata di vento tiepido entra dalla finestra. 

Cerco di proteggermi con le braccia, senza ovviamente riuscirci, ma sono fatta così: ogni tanto mi dimentico di essere solo una marionetta. Ricordo poco, quasi nulla. Mi sforzo di pensare ad un nome, un volto o un qualsiasi avvenimento del mio passato ma la memoria arriva sempre e soltanto al giorno in cui mi sono ritrovata qui, in mezzo alla polvere. Quando Beniamino varca la soglia, immagino di salutarlo e parlare con lui, per tenerci compagnia, prevedendo le sue risposte alle mie domande. Il sabato torna dall’osteria un po’ brillo e oltre al passo incerto diventa incerta anche la mente. Allora si mette a parlare: parla e parla e così mi faccio un’idea di cosa succede nel mondo, un’idea tutta mia che custodisco come un tesoro. 

- Perché non giochiamo più con i bambini, Beniamino -

- Perché interessa più a nessuno un burattinaio vecchio al pari mio, con quattro marionette per altrettante storie. I tempi cambiano, le mode anche. E anche le persone -

- Ma siamo sempre stati bravi insieme, i bambini si divertivano molto…-

Ecco proiettati sul soffitto ricordi in bianco e nero, come in un vecchio film. Immagini confuse e sovrapposte di ragazzini chiassosi seduti a terra, davanti al teatrino, impazienti di veder scorrere le tendine rosse ed apparire noi, le marionette, magistralmente guidate da Beniamino con la magia di qualche filo invisibile. Diventiamo vive, parliamo, ci inchiniamo, molleggiamo appena, dondoliamo la testa, un poco a destra, un poco a sinistra. Quanti sberleffi, scherzi e battibecchi mentre da lontano il suono dolce di un vecchio organetto riempie l’aria. 

- Che ne è stato di Poldo, di Giacomina, del Nobile Crociato e tutti gli altri? -

- In soffitta, nel baule dei ricordi. I bambini vogliono giochi nuovi e i loro genitori non hanno più tempo di portarli la domenica in piazza, allo spettacolo delle quattro. Hanno troppo da fare. Rassegnati, come faccio io -

Ed esce, Beniamino, con passo incerto e la schiena curva. Mi sento presa da una grande rabbia per la poco considerazione che mi concede e gli faccio una grossa pernacchia, tanto non la può sentire e neppure offendersi. Si degnasse almeno di togliermi la polvere dalle ciglia che continua a darmi un gran prurito!

Sento il paese che odora di buono, di zucchero filato, di giostrine festanti, di grida di bambini.  Accidenti, se è la fiera del paese dovrei essere sul palcoscenico per mostrare  la mia bravura! E’ pur vero che sono vestita un po’ fuori moda ed invidio gli abiti luccicanti che intravedo nella televisione di Beniamino ma in fin dei conti sono un’artista di tutto rispetto!. A pensarci bene  con qualche ritocco qua e la’ farei ancora la mia bella figura. 

In quel momento un passerotto sventato si precipita dentro la stanza volando scomposto attorno a tutti i mobili: - Attento! – grido col pensiero – per poco sbattevi contro il lampadario! E’ qui la finestra per uscire, ma sei tonto o cieco?– Naturalmente non mi sente, ma dopo aver svolazzato dappertutto, attratto dalle briciole sparse sul tavolo, si posa a becchettare goloso. Finalmente un po’ di tranquillità, non sono più abituata al trambusto. 

Neanche a dirlo.

Oh mio Dio! Ed ora che succede? Chi è questa furia di bambina? Lo dico sempre a Beniamino di chiudere la porta, mi spavento quando la dimentica aperta, ma è ovvio che è come parlare al muro. 

- Maria! Non puoi entrare così in casa d’altri! – fuori una voce un po’ allarmata mi fa sussultare.

Maria è sicuramente quel tornado di bimba che è appena entrata e che non fa cenno di preoccuparsi della voce che la richiama. Sorride in modo particolare ed unico, con i denti piccolini e stretti da un palato che fatica a contenerli tutti. Gli occhi scuri sono un po’ a mandorla, gli zigomi sono alti e il naso piccolo piccolo. Il viso rotondo è paffutello, un po’ schiacciato, e sulle prime non si capisce bene dove guarda, un occhio volge da una parte, l’altro appena meno e pare osservare qualcosa vicino a quello che osserva il primo. La punta della lingua, adagiata mollemente sul labbro inferiore, fuoriesce un tantino.  I capelli sono fini e nerissimi, dritti come fili d’erba. La frangetta, anche se corta, sembra quasi coprire la fronte stretta. Le piccole e tozze mani, con le dita paffute e corte, battono una contro l’altra fuori tempo, esprimendo felicità. Ovviamente il passerotto si terrorizza, prende il volo e infila immediatamente la finestra riconquistando la cima dell’albero di fronte.

- Allora tutta quella confusione l’hai creata apposta! - gli grido dietro. 

Maria non si dispiace per nulla della fuga precipitosa del passerotto anzi ride, ride e continua a battere le manine felice ed emozionata. Solo in quel momento riesco a riconoscerla! E’ lei! E’ la bambina che sento ridere dalla finestra!

- Perché non sei anche tu alle giostre? – le domando, curiosa.

La mamma di Maria bussa alla porta ed entra, abbassandosi per parlare con lei guardandola negli occhi. 

- Non si può entrare in casa d’altri così, Maria. Occorre bussare ed aspettare che ci facciano entrare. – Ma la bimba ha fissato su di me i suoi occhi scuri e profondi, o almeno uno di essi perché l’altro sembra osservare qualcosa alla mia sinistra. Dapprima mi sento un po’ inquieta, poi ricordo la sua risata e capisco che in lei c’è solo curiosità e tenerezza. 

- Bel burattino bello tutto impolverato – dice, puntando l’indice verso di me.

- Sulla polvere hai ragione, ma sono una marionetta, non facciamo confusione per favore – rispondo un poco irritata. Mi afferra delicatamente e mi tiene davanti al viso per osservarmi meglio. 

- Bel burattino bello – dice, e mi schiocca un sonoro bacio sul naso. Mi sento quasi svenire, il legno si accappona e sento i brividi in tutte le giunture. Poi mi abbraccia e mi stringe forte forte, mi viene quasi da piangere.

- Va bene, passi per burattino, a te posso concederlo. Ma solo a te, sia inteso – 

Cerco di mantenere un contegno anche se l’unica cosa che desidero è rimanere stretta nel suo abbraccio.

- Hai visto che bella marionetta, Maria? – interviene la mamma.

- Grazie signora – rispondo, lusingata dal fatto che la mamma sa distinguere una nobile marionetta da un burattino da quattro soldi.

- Ma adesso dobbiamo posarla e andare, piccola mia – continua con dolcezza – i padroni di casa potrebbero non essere contenti che ci siamo intrufolate qui senza il suo permesso. 

In quel momento Beniamino entra claudicante, e dopo un attimo di sorpresa sorride vedendo Maria che mi stringe al cuore.

- Buongiorno – dice con la sua vociona.

- Buongiorno, ci scusi se siamo entrate, ma .. -

- Lasci perdere, non ha importanza, la mia casa è aperta a tutti. Ciao – dice poi rivolgendosi a Maria – ti piace Serenella, la mia marionetta?

- Accidenti, ecco come mi chiamo! Ma era talmente tanto tempo che non sentivo più il mio nome che me l’ero scordato! – esclamo felice ma anche un po’ preoccupata.

- Burattino Serenella stanco di stare seduto– inizia a raccontare Maria – e si aggrappa alle zampe di un uccellino ma lui si spaventa così tanto che vola subito via.  Burattino Serenella vola nel cielo verso le nuvole e con un rametto le avvolge tutte facendo del buonissimo zucchero filato. Anche l’uccellino lo assaggia, senza avere più paura, perché è lo zucchero filato più dolce che si sia mai mangiato. Allora tornano tra le giostre e i bambini si siedono intorno a Burattino Serenella per mangiarlo tutti insieme -

Maria sorride e mi dondola davanti ai suoi occhi. Ascoltandola, mentre le sue mani mi sollevano in aria, sopra la testa, continuo il mio volo con la fantasia lassù, tra l’azzurro del cielo, e quando mi appoggia a terra, tra i suoi piedi, vedo tanti bambini che si siedono in cerchio per assaggiare lo zucchero filato fatto di nuvole. La mamma osserva Maria con un sorriso dolce dolce mentre Beniamino rimane a bocca aperta e se non fosse che all’improvviso si riprende passandosi il dorso della mano sul viso, giurerei di aver visto una lacrima.

- La sua bambina racconta delle bellissime storie – dice Beniamino. 

- Lo so, mi incanto ogni volta ad ascoltarla – risponde la mamma – ma vorrei tanto che potesse fare quelle piccole cose che tutti gli altri bambini fanno. Inventare storie non credo possa aiutarla nella vita - 

Il velo di tristezza che vedo negli occhi della mamma non riesce a cancellare la felicità che sento nel cuore. Poi prende la figlia per mano dicendole di posarmi sulla sedia.

- No ti prego! – grido con tutto lo zero fiato che possiedo.

Maria ubbidiente mi posa sulla sedia accarezzandomi i capelli di lana gialla.

- La prego signora – interviene Beniamino – sarei felice se Maria tenesse Serenella, lei saprà farla ancora vivere come ha fatto oggi. Preferisco pensarla dentro le sue favole che vederla immobile su quel cuscino- 

La mamma dice che non può accettare, ed io tremo, anche se mi sento in colpa nel voler abbandonare il buon Beniamino. - La prego accetti, mi fa un grande regalo - dice Beniamino, e io gli butterei le braccia al collo, se solo ne fossi capace. Alla fine lo saluto mandandogli mille baci con il pensiero ed esco tra le braccia di Maria, sicura che con lei potrò vivere mille storie, anche se saranno solo per noi due, anzi tre, se ci mettiamo anche la mamma.
 


Seconda Parte

 

Fuori il sole è accecante e d’istinto mi viene da coprirmi gli occhi con la mano. Ecco il mondo, finalmente! Mi assale uno stato di agitazione misto ad euforia, non so più cosa devo guardare per prima. Il colore della facciata verde menta, le petunie e i gerani nei grandi vasi che delimitano la stradina, gli oleandri fioriti e il profumo di salvia e rosmarino che arriva dall’orto della casa di fianco. Alzo gli occhi al cielo e vedo le nuvole, contenta di non averle usate tutte per lo zucchero filato. Rido tra me e me e mi lascio dondolare tra le braccia di Maria, liberando la mente dai tristi pensieri che ho avuto fino ad ora. Ho provato così tante emozioni in così poco tempo che sento il sonno avvolgermi piano, piano. 

Non so quanto tempo è trascorso ma ora sono certa di trovarmi nella cameretta di Maria. Il disordine regna sovrano! Sono comodamente seduta sopra una montagna di pupazzi che odorano di pulito. Lei è di fronte a me, la intravedo seduta sul letto disfatto con le gambe ciondoloni che si muovono su e giù con la regolarità di un orologio svizzero, con un libro sui ginocchi e l’indice della mano destra sulle belle figure. 

- Burattino Serenella questa è la storia che la mamma mi legge prima di dormire - E così dicendo scende dal letto come una furia, afferra il libro e me lo sbatte sul naso, ridendo divertita. In lei vedo tanta gioia e il desiderio di farmi partecipe del suo mondo che è la sua stanza, la sua casa, la sua mamma. Probabilmente anche la sua scuola.

Dalla cucina arriva un invitante profumino di patate al forno e la voce della mamma che chiama Maria per la cena. Lei batte le mani in quel modo tutto suo che avverto un tuffo al cuore dalla gioia. Anche le marionette hanno un cuore, signori miei, ed il mio batte per Maria.

Mi porta con se’ sotto braccio, quasi stritolandomi e mi scaraventa alla sua sinistra sulla tavola apparecchiata con gusto: dalla tovaglia color panna sembrano esplodere fiori di tutti i tipi e di tutti i colori e solo a vederla mi mette allegria e mi fa dimenticare i suoi modi maldestri. I piatti bianchi immacolati contengono già una fumante minestra.

- Mangia tutto, mi raccomando -  dice la mamma.

All’improvviso, con la coda dell’occhio, vedo precipitare in picchiata sulla mia bocca un cucchiaio colmo di brodo e pastina e la mano paffuta di Maria che me lo conficca nel legno spingendo a più non posso. Nel vedere la minestra colarmi lungo il collo, i suoi occhi si fanno vicini vicini, la fronte si  corruga, sbatte rumorosamente il cucchiaio vuoto sulla tavola e, con le mani sui fianchi come un comandante di vascello in procinto di redarguire la sua flotta, mi ordina: - Mangia, Burattino Serenella! –

- Maria calmati – dice la mamma, prendendola per un braccio e facendola sedere al suo posto. – E’ di legno, non può aprire la bocca per mangiare, capisci? Lascia stare e finisci la tua minestra, veloce! –

Cara mamma, quanto ti voglio bene! Cerco di rilassarmi ma mi sento tutta appiccicosa per via del brodo e delle pastine-stelline incastonate come diademi tra i capelli e sobbalzo ad ogni minimo rumore. Confido in una notte tranquilla, senza più pericolosi colpi di scena: la cucchiaiata sulla bocca mi è bastata!

Il fascio di luce che entra dalle persiane mi avverte che è mattino. 

- Buongiorno bimba mia, hai dormito bene? – la mano della mamma scompiglia la testolina di Maria che, furbetta e giocherellona, si rifugia sotto le coperte. Poi risale, come un pesciolino la corrente, e si siede sul cuscino, stropicciandosi energicamente gli occhi. Poi si ferma, con le mani sugli occhi ed un sorriso stampato sul bel visetto. Apre le manine come fossero finestre ed esclama: “cu-cù”, guardando verso di me. Come è bella Maria quando ride. Depone un bacio sul palmo della mano e soffia forte nella mia direzione, guardandomi con adorazione. Poi ritorna la saetta di sempre: toglie il pigiama scalciando come un asinello e lo butta sul tappeto; apre i cassetti e rovista cercando il vestito da indossare; rifiuta con un secco “no” l’aiuto della mamma e lesta corre in bagno; sento l’acqua scorrere nel lavandino e immagino schizzi dappertutto; operazione denti: - Mamma ho mangiato il dentipricio!– e si sente lo spazzolino cadere a terra e la mamma, dalla cucina: -Dentifricio, Maria, si dice dentifricio - ; operazione capelli: spazzola nella mano destra, pettine nella sinistra, mollettina con brillantini che non si sa a cosa serve, un po’ di gel che non si sa a cosa serve. 

- Siediti, la colazione è quasi pronta – dice la mamma, sfilandosi il grembiule.

E mentre sto cercando di capire cosa ne sarà di me in questa nuova giornata di metà maggio, ecco arrivarmi al naso quel buon profumo di latte e biscotti che mi è tanto familiare e ringrazio la sorte per essere ancora ferma ed immobile sopra questi pupazzi anziché sul tavolo in cucina! Come non detto: il trotterellare che proviene dal corridoio mi avverte che Maria sta tornando in camera. Si ferma ansimante sulla porta con le mani sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e farfuglia non so quali parole. Mi guarda, fa scivolare lo zaino che aveva già sulle spalle, lo apre. Allarga le braccia verso di me: è la fine, penso, questa volta mi stritola. Vengo scaraventa nello zaino, non vedo più nulla. Con un volo da montagne russe ribalta lo zaino sulle spalle ed esce di corsa dalla stanza. Ho il voltastomaco, un senso di panico mi avvolge. Detesto l’odore dell’inchiostro, i libri e i quaderni mi pungolano dappertutto. Vorrei piangere le solite lacrime di legno ma resto lì, come il miglior cow-boy da rodeo dei film preferiti da Beniamino mentre Maria, cavallo imbizzarrito, corre, corre, corre ed io sobbalzo implorando la tregua. 

Bacio alla mamma, autobus, bambini chiassosi, autista un po’ nervoso, gomme da masticare che diventano palloni giganti. La scuola, finalmente arrivati! Ancora una corsa per raggiungere la classe, dopo di che vengo sbattuta con tutto lo zaino sul banco di Maria la quale, farfugliando con le amiche, fruga alla ricerca di astuccio, libro e quaderno provocandomi un solletico indescrivibile. Però sembra si sia dimenticata di me: sospiro di sollievo!

Durante la lezione mi addormento e al risveglio la scena apocalittica che si presenta dinnanzi agli occhi mi vede protagonista di un rocambolesco volo, attraverso la finestra aperta, con doppio avvitamento, salto mortale e atterraggio di fortuna sul cespuglio di rose selvatiche del giardinetto della scuola. Insomma, un numero degno della donna cannone catapultata sul telo elastico del circo. Mentre volo sento Maria che urla - Cattivo, cattivo! – e piange e si dispera verso l’autore di questa brutta azione, un bambino dai capelli rossicci e col naso all’insu’ pieno di lentiggini che si fa scudo con le braccia per evitare i pugni con i quali la piccola tenta di colpirlo alle spalle. I compagni spingono e strattonano per affacciarsi alla finestra e godersi lo spettacolo. Non potendomi muovere, confido nella bontà di qualche persona gentile che mi riporti tra le braccia di Maria. Dopo pochi minuti una signora con un grembiule azzurro e un radioso sorriso, che immagino sia la bidella, mi solleva da quel fastidioso giaciglio e, spolverandomi, mi appoggia con noncuranza sulla spalla destra, dirigendosi verso le scale. Maria ci corre incontro con gli occhi arrossati ed il naso che cola, mi afferra e mi stringe in un abbraccio materno senza precedenti, riempiendomi i capelli di baci. 

La maestra, messa al corrente dell’accaduto, richiama gli alunni in classe, battendo le mani: - Quante volte devo ripetere che non si fruga nelle cartelle dei compagni e che bisogna avere rispetto per le cose altrui? Vieni, Maria, porta qui la tua marionetta, da brava - La bimba, come una diva in passerella,  raggiunge la cattedra ed inizia a raccontare tutta la storia, ovviamente colorandola di particolari di pura fantasia ed i compagni, guardandola gesticolare, così radiosa in viso, rimangono a bocca aperta ad ascoltarla. La maestra, visibilmente entusiasta, si alza, appoggia le mani sulla cattedra e dice: - Per il nostro saggio di fine anno potremo invitare il signor Beniamino e presentare il teatrino delle marionette, che ne dite bambini? - Un coro euforico di “si” riempie la stanza e Maria batte forte le manine, lasciandomi cadere a terra. La perdono: fortunatamente è quasi l’ora di ritornare a casa.

Nelle settimane che seguono, i bambini organizzano il loro spettacolo insieme alla maestra, Maria e la sua mamma, Beniamino e le altre marionette. La gioia di Serenella nel ritrovare i suoi compagni di avventura Poldo, Giacomina e il Nobile Crociato è immensa. 

Il giorno tanto atteso è arrivato. 
Con indosso il vestito della festa, Serenella riconquista la sua dignità e riprende a sperare. 

Mi sembra un sogno. Vi prego, qualcuno mi dica che sono sveglia e mi dia pizzicotti così sono sicura che è tutto vero e che Maria, in punta di piedi sulla sedia, con le braccia in alto e con i pugni ben stretti,  strattona proprio  i miei, di fili, ed io danzo e goffamente mi inchino ed inciampo sul piccolo palco di legno del ritrovato teatrino, con i drappi rossi e la scritta dorata, mentre la sua voce emozionata riempie l’aula e cambia tonalità a seconda se ordina, invita, ripete. I bambini la adorano e rifanno il verso alle sue smorfie e ai movimenti buffi della bocca che lei, per dovere di scena, regala generosa, inventandosi battute fuori copione. Gli alunni delle altre classi le fanno cenni e le mandano saluti per incoraggiarla, seduti accanto ai genitori sulle seggiole tutte in fila davanti al teatrino. E lei ride ed ogni tanto alza il viso per cercare approvazione negli occhi di Beniamino che le è accanto. – Attenta - le sussurra – non guardare me ma Serenella - L’applauso del pubblico sembra non finire mai e nessuno fa caso alle stonature del coro, alle battute dimenticate, al trambusto dietro le quinte. 

- Sei stato molto bravo burattino Serenella - mi dice una gioiosa Maria con le guance rubiconde al termine dello spettacolo. L’aula si riempie di festanti bambini che corrono e di euforiche mamme i cui discorsi, che sanno di vacanze, mare e sole, si disperdono nell’aria ancor prima di raggiungermi. La mia attenzione è tutta per Beniamino e la maestra che, in disparte, parlano fitto fitto. Penso a cosa ne sarà di me ma non voglio rattristarmi proprio in uno dei giorni più belli della mia vita di marionetta.

- Maria! Maria vieni qui, per favore! – la chiama Beniamino, facendo cenno con la mano.

La bimba lo raggiunge di corsa, insieme alla mamma. – Maria ti nomino mia aiutante in campo, tanto sei stata brava a condurre lo spettacolo! Ma bada bene: dovrai prenderti cura del teatrino e delle marionette, e soprattutto di Serenella. Dovrai inventarti nuove storie per nuovi spettacoli. Te la senti, piccola mia? – 

Da quel giorno di giugno la mia vita è cambiata, non perché lo sbiadito quadrato di stoffa imbottita che mi faceva da cuscino è solo un lontano ricordo, come l’odore di muffa e la solitudine. No, non per questo, e neppure perché sono tornata a fare il mio mestiere di sempre. No. La mia vita è cambiata perché ho incontrato quella furia di bambina che mi guarda con quegli occhietti piccoli e neri che parlano d’amore e mi accetta così come sono, sgangherata, di legno e senza voce. Io, piena di fiducia, spero di vivere sino al giorno in cui il mondo diverrà una casa per tutti, con grandi finestre aperte come le braccia di Maria quando mi stritola e dice “ti voglio bene, burattino Serenella”.
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GRETA BLU
con la preziosa collaborazione del Dott. Mauro Serio, sociologo
e con la consulenza del Dott. Sergio De Martino, pedagogista clinico
 


La piccola Maria esiste davvero.
E’ la diversità bambina,
è l’adulto di domani che mette la sua ricchezza al servizio degli altri.

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