Acquaviva

  Tanti e tanti anni fa, nel Regno di Acquaviva, un superbo e vanitoso ranocchio si era messo in testa la strana idea di diventare re. 

Aveva fatto costruire una corona tutta d’oro con gemme e brillanti ed ogni mattina, al levar del sole, impartiva ordini agli abitanti dello stagno i quali, indifesi ed impauriti, ubbidivano senza mai lamentarsi. 

Il suo nome era Re Nocchio. 

Sua Maesta’ il Re Nocchio era solito trascorrere le giornate dondolandosi pigramente sulle delicate ninfee, rinfrescandosi e rimirandosi in quel limpido specchio d’acqua.
In disparte, sotto i raggi del sole, rane ed insetti lavoravano senza sosta per costruire il grande castello, con piu’ di cento stanze e cento specchi: la dimora reale piu’ sontuosa che fosse mai esistita ad Acquaviva.

Un giorno si trovo’ a passare da quelle parti il leone, il re della foresta.
La sua criniera era meravigliosa, il passo fiero ed altezzoso, la corona che portava sul capo era dieci volte piu’ preziosa di quella di Re Nocchio.
Insomma, un vero sovrano.

“Come ti permetti di entrare nel mio regno senza essere stato invitato?” 
sentenzio’ Re Nocchio, alla vista del leone.
“Torna nella tua foresta e non farti vedere mai piu’ ad Acquaviva !”. 

“Povero, povero rospo che non sei altro ! Che ridere mi fai ! Ma guardati: potrei schiacciarti come una pulce, senza il minimo sforzo” ruggi’ il leone, scotendo ancor piu’ la criniera per darsi un contegno regale.
“Sono io l’unico e vero re. Sono imponente, forte e tutti mi temono, proprio come deve essere chi comanda. Ti pentirai amaramente di quanto hai osato dire”.
E si incammino’ verso il regno dell’amico e alleato King Kobra, con in mente il solo pensiero di vendicarsi. 

Allora Re Nocchio diede ordine di costruire tutto intorno allo stagno una alta palizzata,  sicuro che nessun altro avrebbe così mai piu’ oltrepassato la sua proprieta’. 

Ma si sbagliava, ed ancora non sapeva quale sarebbe stata la sua sorte.

Strisciando lentamente ed in assoluto silenzio, un cobra dal manto nero come la notte  giunse al cospetto di Re Nocchio il quale, sonnecchiante ed ignaro di quella nuova e pericolosa presenza, non pote’ ne’ difendersi ne’ chiedere aiuto: il cobra lo inghiotti’ in un sol boccone.
“Deve ancora nascere chi pensa di essere piu’ potente di King Kobra”, sentenziò soddisfatto il grosso serpente che, con fare superbo, inizio’ a perlustrare tutto lo stagno, dando ordine di radere al suolo l’ala del castello che gia’ era stata costruita.

Ebbe inizio per Acquaviva il periodo piu’ buio e triste in assoluto. 
King Kobra si dimostro’ un vero e proprio dittatore, cattivo e crudele.
Fece costruire prigioni sotterranee per rinchiudere i sudditi che osavano ribellarsi al suo volere, furono abbattuti tutti gli alberi circostanti ed estirpati i fiori.
Acquaviva divenne una grigia e desolata distesa, circondata da rovi e spine: 
il regno delle tenebre. 

Un giorno, per caso ma non troppo, si trovo’ a passare da quelle parti un personaggio alquanto strano: uno gnomo re che, vuoi per la sua statura, vuoi per la sua indole, tutti chiamavano Piccolo Re. 
E il suo paese era Bosco di Rose. 

Portava indosso gli abiti che erano stati di suo padre ed ancor prima di suo nonno, d’estate e d’inverno. Sempre quelli.
 Le sue tasche erano piene zeppe di cose, a volte anche inutili: sassolini, foglie, fiammiferi, piume d’uccello raccolte qua e la’, ed il suo insostituibile fischietto.
Era un re anomalo e un po’ strano, non c’e’ che dire, ma amava il suo popolo, e Bosco di Rose era il paese piu’ bello e ammirato di tutta la contea.

Giunto ad Acquaviva, che ricordava terra fertile e rigogliosa, ebbe un sussulto nel vedere, al contrario, una distesa incolta e disperata.
Si fece largo tra i pungenti rovi e rimase a dir poco sbalordito: gli abitanti dello stagno erano diventati schiavi obbligati a duro lavoro e sorvegliati a vista dalle serpi sentinelle che, in nome del loro re, King Kobra, li spaventavano con le loro lingue biforcute cariche di micidiale veleno.

“Poveri amici miei!” disse il Piccolo Re.
“Cosa posso fare per aiutarli?”. 
Non fece in tempo ad aggiungere parola che alle sue spalle si alzo’ un’ombra scura e minacciosa: King Kobra lo stava osservando, con sorriso beffardo.
“Cerchi qualcosa, piccoletto ? O ti piace talmente tanto questo posto che stai pensando di prenotarti una vacanza…”.
All’improvviso la coda del cobra si abbatte’ sul piccolo gnomo che si trovo’ cosi’ scaraventato al suolo.
La lingua saettante del serpente era ad un palmo dal suo naso: Piccolo Re chiuse d’istinto gli occhi e recito’ un’ultima preghiera, non potendo fare altrimenti. 

Quando si riprese dallo spavento, si ritrovo’ in un posto molto buio, e molto stretto. Penso’ subito che era a dir poco scomodo e che gli mancava l’aria. Sentiva li’ vicino un rumore simile al battito del cuore. 
“Ma dove sono capitato? Sto forse sognando?”. 
Non percepiva alcun rumore, non fosse che per le sue scricchiolanti ossa, ammaccate e doloranti. “Ma che e’ successo?”. 
Cercava di muoversi, annaspando su quelle pareti che non aveva mai visto prima, umide e scivolose: un tunnel non era, una trappola per animali neppure. 
Sicuramente un incubo !

Piccolo Re era finito nella pancia di King Kobra, ingoiato avidamente in un sol boccone.
“Essere un sovrano e finire nella pancia di un viscido serpente: inaudito ! Alla mia età, poi…”. 
Cercava in questo modo di farsi coraggio e soprattutto di farsi venire qualche idea per uscire da lì, prima che la digestione avesse inizio.

Gli venne in mente di frugare nelle tasche: suo nonno diceva sempre che non bisognava mai buttare nulla: tutto, prima o poi, sarebbe tornato utile. 
“Vediamo, vediamo…” prese a dire Piccolo Re “cosa posso fare per tirarmi fuori da questo brutto pasticcio. 
Una noce, dei fiammiferi, un guscio di lumaca, il fischietto…” 
Rovistò per bene nelle tasche, cercando di fare il minimo rumore per non svegliare King Kobra che nel frattempo si era addormentato.

“Ci sono ! Accenderò un fuoco ! Il fumo gli riempirà la gola ed io come un razzo uscirò da qui e tornerò sano e salvo a Bosco di Rose. Almeno spero…”.
I minuti che seguirono videro il Re intento a preparare un piccolo falò con le foglioline che aveva ben riposte in tasca. 
Frantumo’ la noce, mangio’ il gheriglio ed uso’ il guscio come fosse legna da ardere. 

Quando tutto fu pronto, prese i fiammiferi e …

Mai fu cosi’ felice nel vedere un focherello tanto piccino quanto vitale. 
Tanto le fiamme crescevano e schioppettavano, tanto il fumo invadeva la pancia del serpente: il Piccolo Re si copri’ bocca e naso con la mano ed inizio’ il cammino verso la liberta’.

Un po’ scivolando ed un po’ annaspando, si rese conto che non avrebbe mai visto posto piu’ disgustoso della gola di un serpente.
Il fumo alle sue spalle sembrava rincorrerlo velocemente.
Pareva essere al luna park, un po’ sullo scivolo, un po’ sulle montagne russe che ogni volta gli creavano un fastidioso capogiro.

Il caldo ed il fumo iniziarono a diventare insopportabili per King Kobra il quale, svegliandosi di scatto, prese a dimenarsi come una trottola e a tossire, tossire e tossire…

Il Piccolo Re sembrava un marinaio su una nave in tempesta, tanto era il movimento e lo stato di agitazione che quella situazione stava creando. 
“Ce l’ho quasi fatta”, disse, vedendo poco piu’ in la’ uno spiraglio di luce venire dalle fessure dei denti del serpente.
Prese il suo fischietto e lancio’ un potente sibilo da far aprire immediatamente la bocca a King Kobra che, in subbuglio e spaventatissimo, si tuffo’ nello stagno cercando refrigerio e riparo. 

Ahime’ ! Si dimentico’ che non sapeva nuotare: fin da piccolo aveva sempre avuto molta paura dell’acqua dal giorno in cui, dondolandosi pigramente su un alto ramo, precipito’ in mezzo al fiume e se non fosse stato per la prontezza di suo padre sarebbe senza dubbio annegato.

Mentre l’acqua entrava nello stomaco dello sfortunato serpente, con un salto degno di un grande atleta, Piccolo Re guadagnò la riva. 
Era sfinito: tutte quelle peripezie non erano piu’ adatte ad una persona della sua eta’ e con le ossa scricchiolanti. 
Stanco e senza fiato, lo gnomo guardo’ lo stagno, alla ricerca del serpente. 
Nulla, non lo vide, ne’ seppe mai se riusci’ a salvarsi o se venne inghiottito dall’acqua.

Un raggio di sole gli illumino’ il viso.
“E’ ora di andare” disse sorridendo e pieno di speranza.

Quelli che seguirono furono giorni intensi per gli abitanti di Acquaviva.
Piccolo Re fece abbattere la palizzata e le prigioni costruite da Re Nocchio, furono estirpati i rovi e venne ideato un sistema di irrigazione per poter incanalare l’acqua dello stagno fino ai campi, freschi di semina. 
Poco a poco il regno torno’ all’antico splendore: i prati tornarono verdi, pieni di fiori dai mille colori e piante da frutto. 
Acquaviva riprese finalmente a vivere.


Dopo tanto lavoro, Piccolo Re pote’ riabbracciare la sua Regina. 
“Vedi, mia cara? Il bene ha vinto ancora. 
Mi chiedo pero’ quale sorte sia toccata a King Kobra: in cuor mio  vorrei fosse sano e salvo, e pentito per cio’ che ha fatto. 
Del resto sono certo che in ogni essere vivente –anche nel piu’ cattivo- ci sia, in fondo, un pizzico di bonta’. Lo voglio sperare”.

Mai le stelle in cielo brillarono come in quella notte.

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