LETTERA AL DIRETTORE

Milano, 14/07/1998.

Caro direttore,

complimenti! Sei riuscito a farmi disamorare del posto in cui credevo e complimenti a tutti i tuoi lecchini, che mi hanno rovinato, senza mai farsi rispondere. Di Cattolico il collegio non ha più niente !!! Questo accade per colpa di chi doveva vigilare, come un padre, sulle nostre anime in formazione. A 23 anni è duro, dire al direttore che, soltanto una cosa ho imparato da lui: a non essere. Quando avevamo bisogno di conforto tu dov'eri? Bisognava ridursi ad un vuoto scambio di lettere, per comunicare?

Noi come gruppo siamo partiti dalla posizione più svantaggiata: quella dello studente, che ha un superiore da rispettare, il quale, da solo, si delegittima. Due i principi che ti hanno sempre contraddistinto: il divide et impera e il fare figli e figliastri. Dimenticandoci, vedi ho l'onestà di dirlo, che non sumus adversi, sed diversi. Quante volte t'abbiamo parlato con spacciata chiarezza e tu sei rimasto sordo? Perché tocca sempre a noi fare i primi passi, verso la riconciliazione? Io ho 23 anni e, forse, posso permettermi di sbagliare, ma tu che i galloni della maturità, non solo anagrafica, dovresti averli, come mi hai dimostrato di metterti al servizio?

Sappi, che sono pochi, quelli che, veramente ti rispettano, altri ti hanno usato e ti hanno puntualmente tradito. Io il coraggio e la forza di mettermi in discussione, pur raccogliendo quel poco che hai seminato, l'ho avuto e, negli atti, ho cercato di migliorarmi. Chiedere, puntualmente, le tue dimissioni non era, non è, una presa di posizione a priori, ma nasce dalla consapevolezza di una pochezza della tua azione, dello scoprirti, giorno per giorno, sempre più impreparato, a Vivere. Ho cercato in ogni modo, con l'antigrazioso, la provocazione, la rottura con le regole del senso comune, col silenzio che urlava: Niente. Dovevi ascoltare la voce del silenzio! A differenza delle tenebre, l'assenza di suoni, non è connotata solo per via di privazione, essa è una presenza. Il silenzio, ha una voce ed è linguaggio. Proprio per questo, esso esige d'esser compreso, altrimenti, non comunica nulla. Tu, invece di guardare alto, dai spazio ad obiettivi intermedi, che, spesso, prendono il posto dell'infinito.

Io, ho voluto, anche con i miei errori d'approccio ai problemi, avvicinarmi alla concretezza della quotidianità, non rifuggire e chiudermi nella bambagia della mia camera, cercare di capire i problemi della gente, in modo scevro da ogni intellettualismo, per quanto mi è stato possibile.

Infatti, sono qui a ricordarti, per l'ultima volta, che hai scelto, piuttosto che la chiarezza delle nostre, finanche, discutibili posizioni, la nebbia di una faticosa rielaborazione programmatica. In molte occasioni, abbiamo avuto la sensibilità d'indovinare, come muoversi nelle situazioni difficili. A te manca il fervore umano e insieme la bontà, la giustizia, la saggezza, flessibilità verso alcuni e limpidità. Durerai, forse, più di noi in collegio, ma passerai senza lasciare traccia.

Non hai voluto essere umano, ma dis-umano, non attento e prudente, ma cieco. Credevi, abbattendo noi, di poter ristabilire l'ordine, la giustizia, le istituzioni? Magari... Fosse così facile, come cambiare casa, non costruiremmo più case che ci autochiudono dagli altri! Ci hai, solo, rinforzato, perché, ogni tuo colpo, per fortuna, ci ridesta nuovi propositi di solidarietà, di civile convivenza. Con l'idea di far valere una durissima legge, dalla quale, t'illudevi d'ottenere il miracoloso riassetto del collegio, ne hai deciso, fulmineamente, l'applicazione, non ne hai pesato i pro e i contro, ti sei tenuto fermo, oltre ogni più ragionevole obiezione e la colpa del provvedimento, è, soprattutto tua, ne ho le prove: « ...sono già da qualche tempo un problema per la tranquillità di tutto il collegio ».

Il problema del castigo per chi infrange le regole e turba l'ordine sociale ha affaticato l'umanità fin dai primordi della convivenza civile; saltando le stagioni del taglione e del guidrigildo, possiamo affermare che, l'intuizione moderna di una pena emendativa e non puramente retributiva o intimidatoria, è patrimonio culturale, del mondo. Da noi in Italia, è codificata nella costituzione. Perché adontarsi? Proviamo, vediamo, cerchiamo di..., hai mai pronunciato queste parole, per aiutarci? No, spingevi, con ogni mezzo e persona, per farci condannare. Possiamo aver fallito, qualche volta, in quell'occasione NO, ma un 2% di fallimenti, non cancella il 98% delle speranze investite. C'era un'alternativa allo shock delle fosse dei serpenti "sospesi", potenziando la volontà di recupero. Ci saremmo sottratti al recupero? No, se ci fosse stato e, se tutto, fosse stato fatto, per bene, senza oscurità o falsità. Invece, si è preferito il più cinico degli approcci: l'onta dello spreco di dolore, da parte d'alcuni collegiali, che andava lavata. Si è fatta passare la linea che, se qualcuno aveva pianto, un motivo forte e scatenante, c'era. Puntare al nostro recupero non si è voluto, puntare a quel bersaglio, non è neppure una scommessa della mansuetudine, così vituperata da voi capoccia, in alcuni casi; è, né più, né meno, che, un calcolo d'utilità. Nell'orizzonte di questo problema, svaporano i tormentoni ricorrenti, in questa chiacchieratissima vicenda: se il provvedimento giovi alla maggioranza sana del collegio e condanni quella, supposta, minoranza fastidiosa e cattiva; se l'ombrello protegga i miserabili o gli eccellenti; se sono state ascoltate le nostre grida nel deserto. Il rimedio c'era! Chi lo doveva proporre e chi lo doveva irrogare, allinei il suo cuore sulla lunghezza d'onda del dovere cristiano, almeno per il futuro. Scriveva Seneca: « Dinanzi ad ogni punizione occorre guardare non al passato, ma al futuro », cercando una nuova vita, avviando, il peccatore, verso un orizzonte di giustizia. Continuava: « E' proprio del cattivo medico dar per spacciato il malato per non prendersi la briga di curarlo.. chi condanna in fretta è vicino al condannare volentieri e chi punisce esageratamente è vicino al punire ingiustamente ».

Irreggimentando in modo vergognoso il collegio, per farlo incapace di dissenso, hai rotto con la tradizione più alta, della quale potessimo andare fieri: quella Cattolica. In questo magma informe, ricco di mille complicazioni e favori, io non posso riconoscermi, rifiuto questa costumanza, questa pseudo-disciplina, ne auguro la fine e concludo, semplicemente, che ho finito d'esser collegiale. C'è, in sincerità, la valutazione su di te, come, per così dire, il più inetto, il più fragile direttore che abbia avuto il collegio, incapace di guidare con senso di responsabilità e di farsi indietro quando si è consapevoli, al di là della propaganda di regime, di quest'incapacità. Si parla di rinnovamento, di collegio del 2000, e non si rinnova niente! Occorreva andare oltre la partigianeria e seguire altre strade! Questo duro giudizio, ti rimarrà addosso, anche se ci saranno, per te, nelle pagine seguenti, belle parole e intenzioni.

Ci s'illude d'essere originali e creativi e non lo siamo. C'è l'illusione che, nel cambiare gli altri, l'insieme, cambi il collegio, come esso chiede di cambiare. Per cambiare, dobbiamo cambiare, anche noi! Bisogna guardare al domani, ma anche, al dopodomani. Tu, invece, sei incerto, pencolante, acquiescente. Certo, ho sbagliato! Tante volte te lo scrivo, ma l'avessi sentito dire, da te, una sola volta! La verità, quella sola che può farci liberi, è ancora lontana e velata. Ci si è appagati di verità parziali ed equivoche, ma i misteri del passato restano e finiscono per equivocare, anche, il nostro oggi e il nostro domani. La vasta campagna di mistificazione del mio nome e della mia persona è scivolata via. Certamente, ognuno, ha aggiunto il suo dado, al brodo di coltura delle falsità. Ed ho pagato e sto pagando tuttora! Hai fabbricato un capo d'accusa unico, letale, qualcosa d'insormontabile, inemendabile e, molti, ci sono cascati.

La crescita di consenso attorno a te, decisa attraverso piccoli strumenti di potere quali: azioni per riammissioni ad hoc, lettere mai spedite e sempre ventilate, connivenze, occhi chiusi dinanzi alla realtà, leggi applicate coi nemici e interpretate con gli amici, rientri mirati e allargati, chiavi del collegio distribuite ad iosa, camere assegnate per comodità, per eccitarti sempre più, l'esaltazione di un gruppo spettacolo, le conferme quotidiane di un odio occulto, l'intreccio tra posizioni di rendita e singoli amici, interessati ad operare in un quadro protetto e favorito con le sue cadute clientelari, questo abbiamo visto e denunciato. E' per tale intreccio, che il metodo della corruzione diviene inevitabile, proposto a sistema, perché questo era il premio cui avevano ormai diritto, i nuovi vincitori, in un crescendo in cui, la selezione, sarà sempre più vincolata da tale logica. Vogliamo dire no alle tue indulgenze mirate, perché non hai, né l'autorità, né l'autorevolezza, per fare qualsiasi cosa, in collegio. Le ombre, ora prevalgono sulle luci. Nasce da questa commistione, la sensazione di sporco diffuso, di piccolo e medio profitto, dell'indifferenza per le esigenze e i diritti dei ragazzi, di tutti i ragazzi. Un regime che si va corrompendo, attaccando l'uomo per distruggere, quello che sa o potrebbe far nascere. E' stato, puntualmente, deriso il mio pensiero, tortuoso, forse, perché cercavo di capire e definito polemico, solo perché, non accettavo le sicurezze imposte. Ma chi è più uomo? Io, la realtà non l'ho nascosta, tu la vuoi ignorare. Chi è più uomo? Io che denuncio le malefatte e porto avanti una certa politica o tu e i tuoi accoliti, che cercate di demolirmi, umanamente? Allora, condanniamoli pure, i miei cinque anni di vita collegiale, come un periodo allucinante, tanto non è così.

Torna ad essere te stesso!

Parti dall'uomo, dall'uomo vero. Hai davanti un futuro che può ritornare ad essere, anche, tuo. Dobbiamo esser lievito della storia e non, tritolo, fermento e non, veleno. La separazione tra queste due realtà antitetiche, è molto esile e, spesso, si parte col desiderio puro di cambiare il mondo, e s'approda alla sua demolizione. Il Concilio c'insegna che: « ...La coscienza è il nucleo più segreto, è il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona in quell'intimità... » (Gaudium et Spes 16). Grazie a Dio, non solo il male, ma anche il bene è contagioso!. Gli inganni mentali, sui quali hai costruito la tua adesione, a determinati modelli di vita, vanno aboliti. C’è un paradosso, in cui siamo immersi, e che la nostra esperienza ci fa toccare con mano: la vita umana non vale nulla, eppure in modo profondo e misterioso, è l’unica cosa che vale davvero. I valori che per tanto tempo hai compresso e negato, perché ti sembrava che così insegnasse la storia e che così si dovesse fare, per entrare ad esserne protagonisti, quasi che la storia fosse un idolo, sono stati dannosi per me. La persona è una cellula viva, in cui, ogni volta, si consuma l’intera storia universale, quella che è stata, che è e che sarà. Devi capire che, i cristiani dei tempi nuovi, non possono più permettersi di perdersi in sottili disquisizioni, ma devono scendere nell'arena e combattere, ad armi pari, la quotidiana buona battaglia della fede, come diceva S. Paolo. Chiediamoci, l'abbiamo fatto, sentiamo d'assolverci in pieno? Non si tratta di un altro sacramento, come dicesti tu! Certo, poi, la frittata puoi girartela come vuoi, assicurando che siamo noi che non ti salutiamo, che cambiamo strada quando ti vediamo, e via dicendo, ricreandoti quella cornice, che permetta di non ascoltare la coscienza, tanto non è così! C'era un gruppo che andava punito e l'hai fatto, poi se c'è acqua ogni giorno per il collegio, a te non risulta, tutto tace e d'esempi, ne potrei portare molti altri!

I sentimenti, i valori, i ricordi, tutto ciò, insomma, che rende la vita più accettabile, sono presenti, in ogni essere umano, anche quando, sembra essere sepolto da montagne di fango. In ogni persona, c’è del buono, che bisogna scoprire e valorizzare. Vorrei portare con te, insieme, un solido mattone, nell’edificio di un impegno civile e umano che escluda, per sempre, dal suo interno, la sopraffazione e la violenza. Credo che vi sia un momento in cui si trascende l’odio, che porta gli uomini uno verso l’altro e che, c’è una verità recondita, che alimenta la voglia di dare amore in ogni senso. Solo allora, capisci, che il potere conquistato o le lotte per il potere, sono un insieme d'idoli, un tentativo perverso d'evadere la vita reale, con le sue tristezze, ma pure con le sue innegabili forze del bene, che sono negli uomini. L’uomo non è creato per l’odio e la diffidenza, ma è fatto per l’amore di Dio. E’ fatto per Dio. Egli risponde a questa vocazione mediante il rinnovamento del cuore. Per l’umanità, c’è una via che conduce ad una civiltà della condivisione, della solidarietà, dell’amore: ad una civiltà che è la sola degna dell’uomo.

 

Gianpaolo Palazzo

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