La vela incantata Irene Bignardi  


Mingozzi, il rigore incantato



La prima volta l'ho incontrato quasi trent'anni fa, per interposta pellicola.

Ero al cinema, sola (e devo dire che non c'erano molte altre persone), e restai conquistata e respinta insieme dalla durezza e la tenerezza delle tre storie di Trio.
A vevo scoperto (da sola) un regista che mi piaceva. La seconda volta che Gianfranco Mingozzi entrò nella mia vita ci entrò attraverso il telefono. Cercava il mio moroso (e molti anni dopo mio marito) per una parte in un film (Flavia la monaca musulmana) dove doveva perdere letteralmente la testa. Fui io a incoraggiare Claudio ad accettare la parte, nonostante la brutta avventura che doveva correre nel film, in nome dell'ammirazione da cinefila che portavo a Mingozzi. Ma non ero in Italia quando il film fu girato e quando i due, alle mie spalle, diventarono amici. E fu così che Mingozzi lo incontrai alla terza occasione, in una tumultuosa casa di amici che, come molte cose belle di quegli anni, non c'è più. Era vestito - giurerei ora - di un maglioncino nero con tanti bottoncini rossi, come un abatino di Nino Caffè o un personaggio di Fellini. Gianfranco nega. Dice che sovrappongo i ricordi, che immagino così perché gli ho detto della sua amicizia con Fellini (e perché, aggiungo io, lui Gianfranco ha certo la grazia e il garbo di un abatino), perché vaneggio.

Fatto sta che in men che non si dica siamo diventati prima simpatizzanti e poi amici.

Ero una sua ammiratrice e lo sono rimasta, anche quando mi ha chiesto di lavorare con lui scrivendo il testo del suo film su Francesca Bertini, l'ultima diva. Perché così facendo ho scoperto che dietro la sua dolcezza, dietro la sua sensibilità, dietro la passione umana e civile, dietro il professionismo, dietro la cura e la filologia che rivela in ognuno dei suoi film, c'è un Mr .Hyde: anche lui dolcissimo e ben educato, per carità, anche lui colto e civile, ma stakanovista, perfezionista, implacabilmente minuzioso, capace di far l'alba - e difartelafare - per ricostruire la giusta sequenza di vecchi fotogrammi o di vecchie fotografie, per tarare allo spasimo il numero di parole che possono entrare in un determinano numero di immagini, per dire tutto il possibile al meglio.  

Anche se costa, a lui e ai suoi collaboratori, riscritture e veglie, lacrime e svenimenti. Non è stato, in verità, così terribile da non farmi venire la voglia di riprovarci quando, due anni più tardi, con Patrizia Carrano, abbiamo scritto per Gianfranco un film dedicato al cinema italiano che si è intitolato Bellissimo, e che è stato, come al solito, una piccola lezione sulla sapienza e il perfezionismo mingozziano. Come si intuisce, insomma, il distacco critico del critico Irene Bignardi non è in azione di fronte all'amico Gianfranco Mingozzi. Come se l'intimità unita all'ammirazione, il rispetto unito al timore reverenziale producessero una miscela acritica e affettuosa che impedisce ogni forma di distacco e ogni ribellione. Ma so per certo - nonostante questo handicap sentimentale - che Mingozzi è un regista unico e particolare, un poeta della storia recente, una sensibilità sempre all'erta, un regista - a suo modo - calvinista per rigore e indisponibilità al compromesso: ma sì, anche quando si diverte a disegnare una storia libertina e un po' sporcacciona come "L 'iniziazione". Che mi ha procurato l'ultima toccata da sala cinematografica della mia vita (finora) - quando uno spettatore entusiasta del Cinema Quirinale di Roma, indifferente alla presenza di un mio accompagnatore, non ha trovato di meglio che deporre la sua mano sulla mia coscia sinistra ...

Ma accanto ai film che la persona Irene Bignardi ama particolarmente anche per le memorie che vi sono legate (parlo di "Gli ultimi tre giorni", dove compare mio marito Claudio Cassinelli, che come si vede aveva preso gusto a lavorare con Mingozzi) ce n'è uno che il critico Irene Bignardi ritiene sia un piccolo gioiello: "La vela incantata". Ovverosia la scoperta del cinema nelle aie padane di tanti anni fa. Basterebbe, da solo, a raccontare la finezza e la sensibilità, la discrezione e la poesia, di quello strano autore rigoroso e gentile che si chiama Gianfranco Mingozzi.



 
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